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 2012  dicembre 17 Lunedì calendario

ECONOMIA USA SULL’ORLO DEL BURRONE

La scena è da episodio di «Er - Medici in prima linea».
«Dottor Bernanke!», urla la bella infermiera di origine indiana nella corsia del «Federal Reserve Hospital» a Washington. «Sì, sono qui… Cosa c’è?», risponde il dottor Bernanke - impersonato da George Clooney, con barba bianca, in un clamoroso ritorno alla serie televisiva che lo rese famoso.
L’infermiera: «Cosa facciamo? L’economia sta rispondendo ai farmaci ma lentamente. E’ molto debole. Se continuiamo con la cura, c’è il rischio che… che…».
Dott. Bernanke (la interrompe): «Andiamo avanti… E’ il nostro dovere». Fine dell’episodio. To be continued.
E la saga dell’economia americana continua. Nonostante anni di cure da cavallo da parte della Federal Reserve di Ben Bernanke, il sistema produttivo made in Usa non è ancora guarito dalla crisi del 2008-2009. Ci sono segnali positivi ma la prognosi rimane riservata. L’economia mondiale, depressa dall’inguardabile bailamme europeo e confusa dai messaggi provenienti dalla Cina, siede ansiosa nella sala d’aspetto.
Senza il contributo fondamentale del Pil made in Usa, nel 2013 non si cresce, o almeno non si cresce più di tanto. Il grande quesito dell’anno nuovo per mercati, investitori e Joe and Jane Schmoe - gli americani medi - è se le misure eccezionali prese dalla Fed basteranno. Le fatiche di Sisifo della banca centrale americana sono un esempio illuminante, e un poco allarmante, dell’inadeguatezza delle politiche monetarie quando i governi si rifiutano di aiutare con politiche fiscali dolorose ma necessarie.
Una lezione importante per chi, come Mario Draghi sta cercando di risollevare un intero continente senza tanta cooperazione da parte della classe politica.
Proprio questa settimana, Ben Bernanke - quello vero, non quello impersonato da Clooney - ha difeso la decisione della Fed di continuare a iniettare denaro nelle vene dell’economia americana. Circa 85 miliardi di dollari al mese, comprando beni del Tesoro e sperando che i soldi vengano utilizzati da banche, fondi e privati per spendere, investire e lanciare nuove società.
L’obiettivo è di ridurre il tasso di disoccupazione che sta asfissiando l’economia americana e frenando la ripresa. «Se avessimo la bacchetta magica», ha spiegato Bernanke alla stampa di Washington quasi sorridendo, «la useremmo per fare scendere la disoccupazione sotto il 5%». Per ora, la bacchetta magica è veramente l’unica speranza di raggiungere quell’obiettivo: la disoccupazione è al 7,7%, un livello altissimo sia dal punto di vista storico che nel contesto attuale.
La buona notizia - che il tasso di disoccupazione è crollato dal quasi 10% del 2010 - non è proprio buonissima. In questo periodo del ciclo - quattro anni dopo una recessione - l’economia dovrebbe essere nel suo «sweet spot», il suo punto di più «dolce» crescita, creando posti di lavoro ma senza ancora alimentare l’inflazione. Ed invece, il Pil americano sta crescendo al 2,7% l’anno, ben sotto la media storica del 3,2%.
Anzi, alcune Cassandre, quali Jeremy Grantham, il fondatore dell’enorme fondo d’investimento Gmo, e Robert Gordon della Northwestern University, predicono che gli Usa diventeranno un’economia «sommergente» (un gioco di parole sui mercati «emergenti»), incapace di crescere a più dell’1% l’anno.
Bernanke fa finta di non sentire e continua a pompare denaro sperando che, prima o poi, gli vengano in aiuto o i consumatori o i politici.
I consumatori sono un vero mistero: sono il tradizionale motore dell’economia americana - due terzi del Pil dipende da loro - ma questa volta mancano all’appello. Nonostante tassi di interesse bassissimi, un mercato immobiliare finalmente in ripresa e un’inflazione pressoché inesistente, i signori Schmoe non spendono più di tanto e si dicono preoccupati del futuro.
L’imputato principale in questo caso è proprio la disoccupazione, perché chi non lavora non solo non fa l’amore, come cantava Adriano Celentano, ma non compra nemmeno macchine o televisioni a schermo piatto.
Forse, però, i grandi spendaccioni del pre-crisi - gli americani che si abbuffavano di carte di credito e veneravano il consumismo - non torneranno mai più. Gli economisti di Harvard e Yale e i banchieri di Wall Street lo sussurrano senza ammetterlo pubblicamente, ma è possibile che il trauma di una crisi che ha distrutto le ricchezze (o le illusioni di ricchezza) di milioni di persone porti a cambiamenti epocali nella psiche dei consumatori Usa.
Non siamo ancora a livelli del Giappone - un paese paralizzato da decenni dalla passione ossessiva per il risparmio - ma siamo già anni luce dai livelli di consumo sfrenato dei «maxed-out Americans», gli americani senza più credito sulle carte di credito, del 2005 e 2006.
Nel lungo periodo, questo è uno sviluppo positivo - un’economia fondata sulle sbornie di consumi non è sana - ma nel breve termine rallenta la ripresa. L’industria manifatturiera e quella del terziario non sono in grado di mettersi l’economia più grande del pianeta sulle spalle ed incominciare a correre.
Starebbe quindi a Washington tentare di mettere ordine nel caos di un paese in cerca d’ispirazione economica. Ma Washington in questo momento è l’epicentro del caos: la sede di una classe politica che sta temporeggiando sull’orlo del «burrone fiscale», il pacchetto di aumenti di tasse e tagli di spesa che arriverà a capodanno se democratici e repubblicani non si mettono d’accordo.
Una visita della capitale in questi giorni è un viaggio nella disorganizzazione di un sistema politico diviso, indeciso e inquieto. Un posto in platea ad un dibattito tra sordi tra la Casa Bianca di Barack Obama e i repubblicani al Congresso.
L’America che critica l’Europa, a ragione, per non «avere messo la casa fiscale in ordine», non riesce nemmeno a entrare nella sua dimora fiscale perché la porta è bloccata da una montagna di debito e il giardino è rovinato da liti meschine tra i parlamentari dell’opposizione ed il Presidente.
Dopo il pranzo di Natale, politici investitori e gente comune dovrebbero rivedersi vecchie puntate di «Er» e ricordare che non sempre l’eroe-dottore riesce a salvare il paziente.