Andrea Tarquini, Affari&Finanza, la Repubblica 17/12/2012, 17 dicembre 2012
LEGO, LA RIVINCITA DEL VECCHIO MATTONCINO
[La multinazionale di Billund, fondata nel 1932, completata la complessa ristrutturazione partita dopo la crisi d’identità della metà degli anni 2000, vive un nuovo momento di grande fortuna grazie alla combinazione fra tecnologia e tradizione] –
Billund (Danimarca) «Gentili passeggeri, benvenuti a Billund, bambini ancora un po’ di pazienza, restate allacciati fino a che il segnale sarà spento. Buon divertimento e auf Wiedersehen ». La hostess della Lufthansa adatta spiritosa l’annuncio ai piccoli passeggeri impazienti e chiassosi. L’Airbus con la gru sul timone atterrato da Francoforte si dirige lento verso il modernissimo terminal danese, nulla da invidiare per modernità e comfort all’enorme aeroporto di partenza. La vacanza comincia per molti così, nella piccola città danese che con appena 6200 abitanti, grazie a un’azienda-simbolo e global player ha il secondo hub del piccolo regno. Benvenuti a Billund, andiamo a vedere come un’impresa storica che poco fa stava sull’orlo del fallimento ha saputo rilanciarsi alla grande, riassumere i licenziati in nome dei risparmi nella casa madre e ora in vista di Natale affronta ordini in tale crescita da temere di non riuscire a consegnare tutto. L’avrete capito, parliamo di Lego, il gigante danese dei mattoncini da costruzione, numero uno del comparto giocattoli in Europa. Lego che, in un’Unione europea in crisi anche nelle vendite dei balocchi, prevede per questo Natale un aumento del fatturato di oltre il 20%. La crescita dell’azienda nell’anno che sta per chiudersi è stata del 17%, molto più di ogni concorrente. Risollevarsi dalla crisi e tornare di successo non era scontato, fanno capire i manager del gruppo. L’artefice principale
della svolta è il giovane manager Joergen Vig Knudstorp, chiamato dal 2004 a soli 35 anni dal proprietario Kjeld Kirk Christiansen come ammini-stratore delegato. Lui, i cui quattro figli erano allora in età da giochi Lego, provò dapprima con misure drastiche. Stop alla produzione a Billund, lo stabilimento madre, vendita dei parchi, delocalizzazione della produzione in Europa orientale ma soprattutto presso Flextronics negli Usa, e in Messico. Ma poi, ha spiegato Knudstorp ai media danesi, mi sono reso conto che era stato un errore. E allora ha riaperto lo stabilimento originario e ha fatto riassumere i 3500 dipendenti, che sono più d’un quarto degli undicimila in tutto il mondo. Si lavora senza sosta, alla vigilia di Natale, i sofisticati macchinari per iniettare la robusta plastica in tanti colori diversi nelle forme dei mattoncini o dei kit ispirati a Guerre stellari o altre serie famose sono attive in tre turni, 24 ore su 24. Dal 2004 della crisi, il fatturato è triplicato. «Allora non ce lo saremmo mai aspettati», afferma Dirk Engenhausen, responsabile per le vendite in Europa. Persino in un paese in crisi come la Spagna, dove il mercato dei giocattoli è crollato del 25%, Lego aumenta le vendite del 17. Ma qual è il segreto del successo? Semplicemente, il ritorno alle origini: basta puntare tutto su produzioni low cost e prepensionamenti, o sul trasferimento dei giochi in Internet. Proprio nei momenti di crisi come quello che l’Europa sta attraversando, dicono gli esperti di marketing del gruppo danese, i genitori preferiscono non far vivere i sacrifici ai figli, o quantomeno far soffrire i bimbi il meno possibile. E puntano a regalare loro giocattoli reali piuttosto che giochi virtuali. Giocattoli a prezzi accessibili, ma di qualità, solidi e che durano anni e passano magari in scatoloni dei traslochi familiari da una generazione all’altra. Come i mattoncini Lego, appunto. «Possiamo rischiare anche problemi di produzione, per questo abbiamo accelerato le consegne in Europa», spiega Herr Engenhausen, che da Monaco di Baviera dirige le vendite nel vecchio continente. La formula è diversificarsi di continuo nella gamma di prodotti, lanciare sempre nuove serie, ma nel contempo restare fedeli a qualità e tradizione. Ci sono i Lego più tradizionali, quelli con cui compri tanti mattoncini e dai libero sfogo alla fantasia del piccolo costruttore. Oppure i kit ispirati a personaggi e astronavi di Guerre stellari. Tanto di successo che ora i danesi si preparano già a produrre i modelli dei prossimi film della serie, annunciati dopo che George Lucas ha venduto a Disney. Oppure Lego Duplo per i più piccoli. E soprattutto per il mercato americano ecco la serie friends, personaggi pensati come amici di Barbie. E ancora, Lego City che ti consente di ideare la tua città dei sogni, o Lego Technic, sofisticatissimi veicoli del futuro o del presente con motori elettrici. O i trenini in plastica su grandi binari, che riproducono convogli ad alta velocità o locomotivine a vapore delle fiabe. Lo sviluppo e il design delle varie serie di nuovi prodotti è stato accelerato, nel reparto segretissimo del campus Lego a Billund, non lontano dal Legopark sempre affollato di bimbi e famiglie, ma rigorosamente off limits, il segreto industriale va protetto. Fino a poco tempo fa Lego si concedeva tre anni per ideare una nuova linea, adesso al massimo un anno. La lezione degli errori del 2004 è stata imparata a fondo: troppi tagli, troppa delocalizzazione, avevano portato a un calo di qualità, a troppa meno fantasia della creazione dei prodotti, e a un crollo della domanda. Un po’come succede nel mondo dell’auto, ma ora i danesi sono tornati a stile e strategie vincenti, e a valorizzare la casa madre anche perché come ambiente produttivo e offerta locale di dipendenti qualificati ha le spalle coperte dal welfare e dal sistema scolastico danesi. E la piccola Billund circondata da casolari con lo spesso tetto in paglia, come quelli del memorabile film Il pranzo di Babette, guarda prospera e tranquilla al futuro.