Paola Jadeluca, Affari&Finanza, la Repubblica 17/12/2012, 17 dicembre 2012
MADAM SUN L’INGEGNERE GLOBALE CHE VUOLE HUAWEI PIÙ GRANDE DI NOKIA
[Sotto la sua guida il colosso cinese dell’ICT ha conquistato quote di mercato in tutto il mondo e ora si è insediato anche in Finlandia da dove vuole sferrare l’attacco al settore smartphone e tablet] –
Roma «Così non rovineremo il Colosseo»: Sun Yafang, presidente del board di Huawei, colosso cinese dell’Ict, information and communication technology, guarda all’Italia come uno dei mercati più promettenti in Europa grazie alle novità messe in campo dal governo Monti con il decreto “sviluppo bis”. E per crescere nel nostro paese l’azienda di Shenzen, nel sud della Cina, punta sulle tecnologie “non invasive”. «Proprio l’agenda digitale ci spinge a confermare i nostri interventi nel Belpaese per 1,1 miliardi di euro, trasfor-mando il nostro centro di ricerca in Italia in un centro di competenza europeo», ha affermato Sun in un incontro a Pechino con il ministro Passera, il presidente dell’Ice, Riccardo Monti, e quello di Sace, Giovanni Castellaneta. Sono passate solo due settimane, sembra un secolo. Con la crisi di governo nubi nere si sono addensate sul settore. La paura è che il passaggio al nuovo esecutivo ostacoli il procedere degli interventi. Sarebbe una catastrofe: siamo ben al di sotto della media europea per penetrazione di banda larga, alfabetizzazione informatica e numero di imprese online. «La trasformazione tecnologica del sistema produttivo e la digitalizzazione dell’Italia farebbero risparmiare l’1% del Pil in termini di spesa pubblica, migliorando la vita dei cittadini» ha detto Neele Kroes, commissario europeo all’Agenda digitale. L’Europa ci incalza. La Cina pure. Madam Sun vuole essere in prima fila
nella spartizione del grande business della “crescita 2.0”, come è stato ribattezzato il pacchetto di misure che, se messo in atto, dovrebbe colmare il gap infrastrutturale. Cinquantasei anni, una laurea in Tecnologia e scienze elettroniche all’università di Chengdu, Sun Yafang è tra le “donne più potenti del mondo” secondo Forbes e Fortune. Preparata, forte Sun è pur sempre una manager di apparato. In tutte le multinazionali cinesi le figure chiave sono vicine al Partito comunista e al governo, e questo vale sia per gli uomini che per le donne. Ma alle donne viene richiesta una marcia in più, per farsi largo tra il folto esercito di maschi. «Nonostante il detto coniato da Mao “le donne portano sulle spalle la metà del cielo”, in Cina, come in Giappone e Corea, la presenza femminile nei Cda e nei ruoli di vertice della magistratura è molto più bassa che in Europa, ma ora le cose stanno cambiando», spiega Romeo Orlandi, vicepresidente di Osservatorio Asia. Racconta Orlandi:«Una nuova classe di donne manager sta scalando le gerarchie, donne che hanno studiato nei migliori atenei, parlano perfettamente l’inglese, sanno di finanza, hanno fatto esperienze all’estero e contribuiscono a cancellare la vecchia immagine del dirigente grigio burocrate di origine contadina ». Menti eccelse, ma fedeli al Partito: i nuovi dirigenti sono lo specchio del partito comunista, un mix di saggezza confuciana e struttura rigidamente organizzata alla Lenin. Sono figli e nipoti di chi ha fatto la lunga marcia guidata da Mao per sfuggire alle truppe del Kuomintang di Chang Kai Sheck. La scuola di partito apre loro le porte degli atenei più illustri. Ma quello che un tempo era il canale preferenziale oggi non basta più: bisogna anche essere bravi. E tanto. La competenza di Sun Yafang è fuori discussione: «Ha contribuito a trasformare Huawei da business locale a network globale » scrive Forbes. E la sua capacità di leadership non è passata inosservata: quest’anno l’Itu, International telecommunication union le ha conferito il World Telecommunication and Information society award, il più prestigioso riconoscimento mondiale del settore. Sun è approdata in Huawei nel 1989, dopo un periodo di lavoro al Bejing research institution of communication technology e prima ancora presso la Xin Fei Tv. In dieci anni e dopo diversi incarichi ha fatto il grande salto al ruolo di presidente. Dalla sua poltrona controlla un gruppo che conta 140.000 dipendenti e ha chiuso il bilancio 2011 a 32 miliardi di dollari, con una crescita del 18% sull’anno precedente. Ma la meta è arrivare a 100 miliardi di dollari entro il 2020. I prodotti e le soluzioni Huawei sono utilizzati da 45 dei primi 50 operatori mondiali e impiegati in oltre 100 paesi. Un’avanzata basata su una sapiente rete di alleanze. Che prosegue senza sosta. L’ultima è dei giorni scorsi: 70 milioni di euro per R&D stanziati in Finlandia: “Huawei si è insediata nel cortile di Nokia” ha subito scritto il Wall Street Journal. Un’invasione che infuoca la battaglia sul mercato degli smartphone, uno dei segmenti di business di Huawei. L’intenzione del gruppo di Shenzen è di raddoppiare il personale in Europa, dove ha sei centri, arrivando a 14.000 entro tre-cinque anni su tutti i fronti: carrier, enterprise e consumer, le tre unità di business della compagnia. Il trend è esattamente opposto per Nokia: aveva 24.000 dipendenti, dopo i tagli sono diventati 18.000, e il futuro è ancora incerto. In Italia Huawei - che ha le sedi centrali a Milano e Roma - ha costruito il suo centro pilota per le tecnologie microwawe, sistemi all’avanguardia per il collegamento tra le stazioni base e la rete. «Quando si fa una telefonata, o si naviga su Internet, oppure si trasmettono dati aziendali, il 30% di tutto questo avviene attraverso la tecnologia Huawei», racconta Roberto Loiola, vicepresidente Huawei Western Group. Racconta Loiola: nel 2004, quando è arrivata in Italia, contava una decina di dipendenti. Oggi ne ha 700, molti tecnici superqualificati, destinati a crescere. E’ di questi giorni la notizia dell’acquisizione di due rami di azienda Fastweb, «L’Italia ha chiuso in seconda posizione subito dopo Uk per risultati di crescita », racconta Loiola. Un successo osteggiato. In passato qualcuno ha accusato Huawei di dumping. In parte non a torto. Huawei fa parte dei cosiddetti “campioni dello sviluppo cinese”, aziende selezionate dal Consiglio di Stato in settori ritenuti strategici e per questo motivo ammesse a crediti a tassi più bassi. Diverso il motivo che ha fermato l’avanzata di Huawei in Usa. Huawei ha tentato più volte di acquisire società tcl e di sistemi informativi, ma è sempre stata stoppata dal congresso Usa: «Pone un problema di rischio sicurezza a tutto il paese», questa la motivazione. Ponti radio, reti di trasmissione: il confine tra tecnologie civili e quelle per Difesa è labile. Come insegnano alcuni casi giudiziari italiani, labile è anche il confine tra questi sistemi e i servizi di intelligence. «E’ solo un problema politico. Siamo una compagnia privata, siamo rimasti schiacciati nel mezzo delle tensioni tra governo Usa e governo cinese», ha dichiarato Sun a diversi giornali. Per tutta risposta la Cia ha accusato Sun di essere una spia al servizio del Kgb cinese. Una Mata Hari con gli occhi a mandorla? Il caso non è ancora risolto. Certo è che Huawei non fa scuola di trasparenza. Il fondatore del gruppo è Ren Zhengfei, 68 anni, un tempo ufficiale del People’s liberation army. E’ uno degli uomini più ricchi della Cina, ma le origini della sua ricchezza sono poco chiare: detiene poco più dell’1% di Huawei il resto, secondo la versione ufficiale, è di proprietà dei dipendenti. Una formula oscura che, come spesso succede nelle grandi multinazionali, sembra voluta per coprire il vero azionista di riferimento, che si pensa sia lo Stato. A rafforzare i dubbi il fatto che un gruppo così grande non sia quotato e non intenda farlo. Per quotarsi bisognerebbe mostrare tutte le carte. A partire dalle quote societarie.