Mario Gerevini,, Corriere della Sera 17/12/2012, 17 dicembre 2012
DAL NOSTRO INVIATO
SORBOLO (Parma) — «Wanted Persons». La foto segnaletica dell’Interpol è negli uffici di polizia di mezzo mondo. Ritrae un uomo anziano, vestito da prete, con il collarino bianco che spunta dall’abito nero. C’è un mandato di cattura internazionale.
Non è un truffatore in uno dei suoi tanti travestimenti. È davvero un sacerdote, compirà 75 anni la vigilia di Natale. È di Sorbolo in provincia di Parma, due passi dal Po. A 11 anni, nel ’48, si trasferì con la famiglia in Argentina dove poi divenne prete, curando per decenni la sperduta parrocchia di Salto de Las Rosas, vicino alla cittadina di San Rafael, due passi dalle Ande.
Si chiama Franco Reverberi. L’accusa è tremenda e arriva dall’esito di un’inchiesta della procura federale di San Rafael che pochi giorni fa ha ordinato l’arresto di 35 persone: crimini contro l’umanità. Sono quasi tutti ex militari o agenti dei servizi segreti che avrebbero ordinato, coperto o eseguito sequestri, torture e omicidi compiuti sotto la dittatura militare di Jorge Videla oltre 30 anni fa. Don Franco, sentito tempo fa in tribunale, aveva giurato di non saper nulla di desaparecidos o torture a San Rafael.
Ma come ci è finito in questa storia un parroco di campagna, un «missionario distaccato dalla diocesi di Parma» come si autodefiniva? Chi è don Franco Reverberi? E dov’è ora?
L’immagine di quel colletto bianco che spunta dal clergyman si è impressa negli incubi di alcuni uomini torturati, più di trent’anni fa, dai militari del regime argentino. Affermano che il sacerdote fosse don Franco e che era lì, in piedi, davanti a loro, insieme ai torturatori. Per circa due anni, dal 1980, don Franco fu cappellano militare con il grado di capitano a San Rafael.
«Iba vestido — ha raccontato Roberto Rolando Flores, ex detenuto torturato — con zapatos, pantalón y camisa y saco de color negro y llevaba la cintita blanca en el cuello». Le testimonianze sono agli atti dell’inchiesta della procura, avviata nel 2010.
Tra gli arrestati vi sarebbero anche responsabili diretti dei crimini della dittatura. Erano quelli che con i famigerati Ford Falcon verdi del regime seminavano terrore nei villaggi: incappucciati piombavano di notte nelle case e sequestravano i dissidenti. Molti giovani venivano incarcerati e torturati. Di altri non si seppe più nulla. Tra il 1976 e l’83 si conteranno complessivamente 30 mila desaparecidos. L’ex dittatore Videla, 87 anni, oggi è in carcere a Buenos Aires, sconta due ergastoli più 50 anni per crimini contro l’umanità.
Il sacerdote italiano non avrebbe avuto un ruolo attivo, ma avrebbe assistito di persona alle torture senza denunciarle, un fiancheggiatore insomma. «La presenza di un sacerdote al momento della tortura — ha efficacemente sintetizzato uno dei procuratori — aumenta la sofferenza della vittima che, sola e abbandonata, non può nemmeno confidare in Dio: il suo rappresentante è lì in quell’inferno».
Ma era davvero don Franco? Per ora sono solo sospetti. Nessun giudice di merito si è ancora pronunciato. È un fatto però che l’autorità giudiziaria argentina abbia chiesto pochi giorni fa la collaborazione internazionale per l’arresto di don Franco. Irreperibile.
Il don «argentino» ogni tanto tornava in Italia a trovare gli amici, soprattutto il suo coetaneo don Giuseppe, parroco di Sorbolo. La chiesa è di fronte al municipio e domina una grande piazza. L’abitazione del parroco è dietro la chiesa. E lì è ospite don Franco Reverberi, «wanted» in Argentina, ma tranquillo a Sorbolo dove celebra messa e confessa i fedeli. È conosciuto e amato. È nel suo paese natale, aiuta l’amico don Giuseppe. Basta suonare il campanello e risponde. Atmosfera da oratorio, bambini che vanno e vengono.
L’argomento è scontato: Argentina. Don Franco sembra sereno. «Mai saputo che a San Rafael c’erano quelle cose. Sì, io ero cappellano militare, il vescovo mi disse di andare a preparare i soldati per la comunione; celebravo messa, confessavo, facevo catechesi. Ho giurato e detto soltanto la verità: mai saputo e tantomeno assistito a sessioni di tortura». Don Franco è arrivato in Italia l’anno scorso e ci è rimasto per problemi di cuore. I medici sconsigliano il rientro in Argentina. E le testimonianze, don Franco? In quattro hanno giurato di averla vista durante le torture: «Io ho detto la verità e non so come possano sostenere queste cose: i fatti risalgono al 1976 mentre io sono stato cappellano nel 1980 e, ripeto, non ho mai saputo nulla». Ha un avvocato? «No perché non c’è nulla». Ma lei lo sa che c’è un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti? «Non mi hanno mai detto niente». Ecco, questa è la segnalazione dell’Interpol con la sua foto. La guarda, allarga le braccia: «Io sono un prete, ho detto la verità. Mi guardi in faccia: le sembro uno che stava con i torturatori di Videla?». È sereno, è nella sua Sorbolo dopo 64 anni in Argentina. Saluta, torna ad aiutare il parroco. C’è sempre qualcuno da confessare. Magari uno dei carabinieri della caserma che è nella piazza della chiesa, a 50 metri.
Mario Gerevini