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 2012  dicembre 17 Lunedì calendario

il Concorso e l’Occasione di Cambiare nella Scuola di DARIO DI VICO Siamo il Paese con gli insegnanti più anziani

il Concorso e l’Occasione di Cambiare nella Scuola di DARIO DI VICO Siamo il Paese con gli insegnanti più anziani. La quota italiana di docenti ultracinquantacinquenni è la più alta al mondo (dati dell’Ocse) e la causa è sin troppo facile da rintracciare: dal 1990 a oggi le cosiddette politiche di reclutamento degli insegnanti si sono attuate in maniera indiretta ovvero tramite graduatorie, diluizione dei pensionamenti e diffusione del lavoro temporaneo. l solo fatto, dunque, che si torni ad assumere tramite concorso è una discontinuità che va salutata con favore perché chiude una parentesi lunga 14 anni e apre forse la strada a una normalizzazione. Il forse è d’obbligo perché tutto il sistema scolastico italiano è sotto stress ed è anche vittima di dolorose restrizioni di budget. Quando gli 11.542 vincitori del concorso prenderanno possesso della loro cattedra avremo, dunque, un effetto statistico di ringiovanimento, seppur relativo. Uno su due dei 321 mila candidati ha un’età che già oggi veleggia tra i 36 e i 45 anni. Per quanto riguarda le differenze di genere il concorsone forse accentuerà ancora di più la femminilizzazione della scuola italiana. Siamo già il Paese con il maggior numero di donne insegnanti e questa caratteristica dovrebbe accentuarsi visto che l’80% dei candidati è di sesso femminile. In passato la femminilizzazione della docenza era stata interpretata come un effetto del combinato disposto di una maggiore possibilità di conciliare famiglia/lavoro con una minor competizione maschile per occupare quei posti. Oggi nel quinto anno della Grande Crisi evidentemente quei ragionamenti non tengono più e il predominio delle donne nel concorsone si spiega (anche) con una maggiore mobilitazione individuale in linea con ciò che avviene nel resto del mercato del lavoro. La scuola, dunque, è sotto sforzo e rimane comunque un comparto del terziario debole nonostante gli insegnanti ricoprano un ruolo chiave nella produzione di conoscenza e capitale umano. Dovrebbero far parte del terziario avanzato e invece l’impiego scolastico resta per molti ancora un refugium o come dicono più benevolmente gli anglosassoni un second best, una seconda scelta. La dimostrazione sta ancora una volta nei numeri del concorsone: la cattedra più ambita è quella in discipline giuridiche ed economiche, ogni singolo posto conta oltre 300 pretendenti che — è facile intuirlo — sono (anche) manager ed avvocati che cercano di entrare nella scuola perché l’industria e il terziario li hanno respinti. Così mentre ancora ieri il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, dichiarava correttamente che «l’occupazione la fanno le imprese, non la pubblica amministrazione», il paradosso è che lo Stato mette a concorso un pacchetto di 11.500 posti. Un unicum in una stagione di recessione acuta. Sottolineati gli aspetti positivi è evidente che i numeri, i tempi, l’organizzazione del concorso spaventano chiunque creda nel dimagrimento della macchina pubblica e nella lotta alla burocrazia. Otto sessioni d’esame, 2.500 aule e 50 mila computer impiegati danno i contorni di un’operazione che giungerà al termine non prima di quattro-cinque mesi. Solo allora si potrà fare un bilancio definitivo sapendo però che se si vuole normalità non c’è alternativa. L’apertura del concorsone è forse anche l’ultimo atto del governo Monti in materia di istruzione e vale la pena ricordare come, nonostante la mannaia della spending review, qualcosa di buono è stato fatto a cominciare dal restituire alla scuola e alla formazione, come ha sottolineato il Censis nel suo recente Rapporto, «una certa centralità nell’ambito dell’agenda politica nazionale». Il riordino dell’istruzione secondaria di secondo grado, l’approvazione dell’apprendistato, l’istituzione del sistema nazionale di valutazione, il Piano scuola digitale sono altrettanti «episodi di riorganizzazione» che vanno nella giusta direzione. Non è tanto ma neppure poco.