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 2012  dicembre 14 Venerdì calendario

Dalla Dc a La Russa: 60 anni di liti sui simboli - Questione di sfumature. I colori sono gli stessi, azzurro per due terzi poi bianco con un sim­bolo tricolore, manca la fiam­ma tuttavia i caratteri grafici so­no molto simili e l’impostazio­ne è analoga

Dalla Dc a La Russa: 60 anni di liti sui simboli - Questione di sfumature. I colori sono gli stessi, azzurro per due terzi poi bianco con un sim­bolo tricolore, manca la fiam­ma tuttavia i caratteri grafici so­no molto simili e l’impostazio­ne è analoga. Morale: è già par­tita la battaglia legale sul sim­bolo del-Centrodestra naziona­le che Ignazio La Russa e Mauri­zio Gasparri hanno in gestazio­ne. Troppo simile al vecchio lo­go di Alleanza nazionale, di cui la coppia non ha l’esclusiva. Avanzano pretese Alemanno e Matteoli, oltre a Gianfranco Fi­ni e Francesco Storace, che pu­re con la sua «La Destra» vi si è apertamente ispirato in pole­mica con il «traditore» Fini: nel 2008 fu costretto a modificare il logo. La guerra dei simboli è un classico della politica italiana fin da quando falce e martello proteggevano sia Pci sia Psi. Un fenomeno figlio di scissioni e riavvicinamenti, e del tentati­vo di sfruttare le immagini più fortunate del marketing eletto­rale per ingannare (come so­stiene qualcuno) gli elettori più sprovveduti, o almeno per danneggiare il concorrente che si intende indebolire. I mili­tanti di destra contrari all’ope­razione larussiana ricordano che il simbolo di An appartiene all’omonima fondazione.Stia­no attenti gli scissionisti pidiel­lini, su di loro potrebbe abbat­tersi una slavina di ricorsi. A ogni tornata elettorale la fantasia si scatena. A sinistra si moltiplicano le fazioni che sbandierano falce e martello, i verdi e gli ambientalisti hanno ormai più simboli che militan­ti, spuntano ovunque Leghe più o meno nordiche, i pensio­nati in varie salse non si conta­no. Si vuol fare terra bruciata at­torno a un partito? Ecco che ve­dono la luce simboli scivolosa­mente simili. Le commissioni elettorali si riuniscono, discu­tono, e anche se lasciano fuori qualcuno l’azione di disturbo è compiuta. Ma non è soltanto questione di scorribande pre elettorali. Su certi simboli si sono scatena­ti lunghi conflitti a colpi di car­te bollate. Perché un simbolo è una storia, una tradizione poli­tica, un patrimonio di voti, e spesso anche una paccata di soldi, come direbbe il ministro Elsa Fornero. Il marchio del Partito democratico, per esem­pio, era stato registrato da due diverse persone (un manager e un imprenditore che evidente­mente vedevano nel futuro) molto prima che ci pensasse il suo primo segretario, Walter Veltroni. E alle elezioni in cui il simbolo fece debutto, con quel rametto d’ulivo caduto dalla Quercia, ci fu un oscuro consi­gliere comunale di Barletta che tentò di riesumare i Demo­cratici di sinistra, sciolti ma non ancora defunti, se è vero che dovette intervenire il Tar per impedire la manovra. Battaglie epiche sul simbolo del garofano seguirono la dia­spora del Partito socialista do­po Tangentopoli. Garofano ma anche la rosa, tradizionale emblema dell’internazionale socialista. Il fiore rosso sareb­be stato comprato da Enrico Boselli, segretario dei Sociali­sti democratici, dal liquidato­re fallimentare del Psi. Boselli la strinse in un pugno e la impie­gò per una evanescente allean­za con i Radicali. Anni dopo il Nuovo Psi di Riccardo Nencini ha rivendicato l’uso della rosa nel frattempo appassita. Un destino molto più tor­mentato è invece toccato allo scudocrociato, che fece la for­tuna della Democrazia cristia­na. Un simbolo carico di signifi­cati, il più famoso e anche il più pratico, visto che agli elettori duri di comprendonio bastava raccomandare «metti una cro­ce sulla croce » e il gioco era fat­to. Il marchio della Dc fu conte­so da Mino Martinazzoli ( segre­tario del Partito popolare) e Rocco Buttiglione (Cristiano democratici uniti) finché non spuntò Giuseppe Pizza, segre­tario della rediviva Dc e dun­que autentico erede della Bale­na bianca, al quale il giudice, dopo anni di tribunali, asse­gnò l’esclusiva dello scudocro­ciato, della dicitura «Libertas» e del nome «Democrazia cri­stiana ». Nel frattempo Pizza aveva ondeggiato tra Ulivo e Pdl, ma soprattutto aveva la­sciato un margine a Pier Ferdi­nando Casini che inserì scudo, croce e Libertas nell’emblema dell’Udc. Problemi hanno accompa­gnato anche il simbolo del Pdl dopo la scissione di Fini. Secon­do il presidente della Camera, l’utilizzo del marchio era sog­getto a una sua «liberatoria», in quanto cofondatore del parti­to. Poi Fini ha fondato Futuro e libertà. E sono subentrate bat­taglie di altro tipo.