Stefano Filippi, il Giornale 14/12/2012, 14 dicembre 2012
Dalla Dc a La Russa: 60 anni di liti sui simboli - Questione di sfumature. I colori sono gli stessi, azzurro per due terzi poi bianco con un simbolo tricolore, manca la fiamma tuttavia i caratteri grafici sono molto simili e l’impostazione è analoga
Dalla Dc a La Russa: 60 anni di liti sui simboli - Questione di sfumature. I colori sono gli stessi, azzurro per due terzi poi bianco con un simbolo tricolore, manca la fiamma tuttavia i caratteri grafici sono molto simili e l’impostazione è analoga. Morale: è già partita la battaglia legale sul simbolo del-Centrodestra nazionale che Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri hanno in gestazione. Troppo simile al vecchio logo di Alleanza nazionale, di cui la coppia non ha l’esclusiva. Avanzano pretese Alemanno e Matteoli, oltre a Gianfranco Fini e Francesco Storace, che pure con la sua «La Destra» vi si è apertamente ispirato in polemica con il «traditore» Fini: nel 2008 fu costretto a modificare il logo. La guerra dei simboli è un classico della politica italiana fin da quando falce e martello proteggevano sia Pci sia Psi. Un fenomeno figlio di scissioni e riavvicinamenti, e del tentativo di sfruttare le immagini più fortunate del marketing elettorale per ingannare (come sostiene qualcuno) gli elettori più sprovveduti, o almeno per danneggiare il concorrente che si intende indebolire. I militanti di destra contrari all’operazione larussiana ricordano che il simbolo di An appartiene all’omonima fondazione.Stiano attenti gli scissionisti pidiellini, su di loro potrebbe abbattersi una slavina di ricorsi. A ogni tornata elettorale la fantasia si scatena. A sinistra si moltiplicano le fazioni che sbandierano falce e martello, i verdi e gli ambientalisti hanno ormai più simboli che militanti, spuntano ovunque Leghe più o meno nordiche, i pensionati in varie salse non si contano. Si vuol fare terra bruciata attorno a un partito? Ecco che vedono la luce simboli scivolosamente simili. Le commissioni elettorali si riuniscono, discutono, e anche se lasciano fuori qualcuno l’azione di disturbo è compiuta. Ma non è soltanto questione di scorribande pre elettorali. Su certi simboli si sono scatenati lunghi conflitti a colpi di carte bollate. Perché un simbolo è una storia, una tradizione politica, un patrimonio di voti, e spesso anche una paccata di soldi, come direbbe il ministro Elsa Fornero. Il marchio del Partito democratico, per esempio, era stato registrato da due diverse persone (un manager e un imprenditore che evidentemente vedevano nel futuro) molto prima che ci pensasse il suo primo segretario, Walter Veltroni. E alle elezioni in cui il simbolo fece debutto, con quel rametto d’ulivo caduto dalla Quercia, ci fu un oscuro consigliere comunale di Barletta che tentò di riesumare i Democratici di sinistra, sciolti ma non ancora defunti, se è vero che dovette intervenire il Tar per impedire la manovra. Battaglie epiche sul simbolo del garofano seguirono la diaspora del Partito socialista dopo Tangentopoli. Garofano ma anche la rosa, tradizionale emblema dell’internazionale socialista. Il fiore rosso sarebbe stato comprato da Enrico Boselli, segretario dei Socialisti democratici, dal liquidatore fallimentare del Psi. Boselli la strinse in un pugno e la impiegò per una evanescente alleanza con i Radicali. Anni dopo il Nuovo Psi di Riccardo Nencini ha rivendicato l’uso della rosa nel frattempo appassita. Un destino molto più tormentato è invece toccato allo scudocrociato, che fece la fortuna della Democrazia cristiana. Un simbolo carico di significati, il più famoso e anche il più pratico, visto che agli elettori duri di comprendonio bastava raccomandare «metti una croce sulla croce » e il gioco era fatto. Il marchio della Dc fu conteso da Mino Martinazzoli ( segretario del Partito popolare) e Rocco Buttiglione (Cristiano democratici uniti) finché non spuntò Giuseppe Pizza, segretario della rediviva Dc e dunque autentico erede della Balena bianca, al quale il giudice, dopo anni di tribunali, assegnò l’esclusiva dello scudocrociato, della dicitura «Libertas» e del nome «Democrazia cristiana ». Nel frattempo Pizza aveva ondeggiato tra Ulivo e Pdl, ma soprattutto aveva lasciato un margine a Pier Ferdinando Casini che inserì scudo, croce e Libertas nell’emblema dell’Udc. Problemi hanno accompagnato anche il simbolo del Pdl dopo la scissione di Fini. Secondo il presidente della Camera, l’utilizzo del marchio era soggetto a una sua «liberatoria», in quanto cofondatore del partito. Poi Fini ha fondato Futuro e libertà. E sono subentrate battaglie di altro tipo.