Antonello Caporale, il Fatto quotidiano 14/12/2012, 14 dicembre 2012
Valentino Parlato è stato l’unico comunista al mondo che ha fatto scucire soldi ai capitalisti. L’unico intellettuale che si è così impadronito delle virtù (e dei vizi) dei banchieri da averli saputo tenere a bada
Valentino Parlato è stato l’unico comunista al mondo che ha fatto scucire soldi ai capitalisti. L’unico intellettuale che si è così impadronito delle virtù (e dei vizi) dei banchieri da averli saputo tenere a bada. Senza Valentino Parlato il manifesto avrebbe smesso di respirare da tempo. Lui ha bussato a ogni porta e sempre un filo d’aria ha trovato: uno sconto cambiali, un prestito a sessanta giorni, un anticipo sui finanziamenti. Da Cuccia a Geronzi, tutti hanno firmato assegni o consigliato di farlo. Però, ed è anche questo un unicum nel mondo dell’informazione, il quotidiano non ha mai avuto bisogno di parlar bene dei suoi finanziatori, mai succube, mai con la bocca cucita. Ora Parlato prende cappello e lascia la ciurma. È l’ultimo dei grandi vecchi che abbandona il vascello già corsaro, oggi invece preda di onde così alte che prefigurano (e noi invece scongiuriamo che così non sia) l’inabissamento. Parlato insieme a Rossana Rossanda e Luigi Pintor ha anche rappresentato per la cultura della sinistra e per intere generazioni di intellettuali l’enunciazione quotidiana di una possibilità diversa dal comunismo sovietico: la rivoluzione dei rapporti tra le classi sociali non come sogno ma come pratica sperimentabile, sostenibile, moderna. Quarant’anni a sognare e a provare l’alternativa, e poi la resa. "Non abbandono la battaglia, non ho smesso di combattere e non ho voglia di desistere. Penso che ci sia un campo aperto per questo giornale, ma non in questo modo, con questa direzione, seguendo questa linea editoriale". È colpa di Norma Rangeri dunque? È responsabilità della direttrice se il comunismo non è una parola più comprensibile né spendibile? Un giornale deve avere un’identità e custodirla. La colpa di Rangeri è di averne smarrito la missione, resa opaca l’identità. Cosa è oggi il manifesto? Il 31 dicembre rischia di chiudere. E la sua defezione non aiuta. La mia e quella di tanti altri. La Rangeri non ha tenuto conto dei miei consigli e io ne prendo atto. Ritengo di formalizzare un dissenso, certo non mi sogno neanche di ritirarmi a vita privata. Ci sono con le mie forze di ottantaduenne. Ma sono qua e non mi eclisso. Il giornale ha bisogno di finanziatori, e tu eri un impeccabile cercatore di funghi. Cercavi e trovavi. Certo, ho sempre avuto un buon rapporto con i banchieri. Il mio lavoro all’interno del giornale era anche questo, e io lo portavo avanti. E devo dire di più: molti banchieri mi stanno davvero simpatici. Ci credo, con tutti i quattrini che gli hai spillato! Leggo continuamente che la finanza è il male assoluto di questa società. Ma il predominio della finanza è l’effetto della crisi della politica, della mancanza di governo. La finanza non è buona né cattiva. Contenerla, governarla, gestirne lo sviluppo, sovraintendere agli affari è compito della politica. Ma lo Stato, il potere del Palazzo e la sua rispettabilità, la sua reputazione sono andati smarriti. E allora l’effetto ottico è quel che si diceva... Con quali banchieri hai legato di più, ti sei capito di più? Con Enrico Cuccia, anzitutto. Soldi anche da lui? No, soldi niente. Ma buoni consigli, ottime entrature e una sintonia che non è mai finita. Cuccia era un lettore del manifesto? Nooo. Lo annusava, lo sfogliava ma niente più. Però comprendeva il suo ruolo e in qualche modo lo difendeva. E poi aveva radici siciliane come le mie e spesso mi diceva: tra greci e greci non si vende roba cattiva. Un motto antico, il senso di una condivisione, l’appartenenza a un mondo in qualche modo comune. Da Geronzi invece parecchi assegni. Parecchi no. Era sincero, schietto con me. Diceva sì ed era sì. Molte volte diceva no, e purtroppo era no. Un tipo glaciale, freddo, calcolatore. Non direi. Ho conservato buoni rapporti con lui e ancora due sere fa ero alla presentazione del suo libro. La stima è rimasta. Sembra invece che l’amicizia sia finita con i suoi compagni Il disaccordo è sulla linea editoriale. E io sono l’ultimo della lista che prende posizione. Forse avrei dovuto farlo prima. Ma ripeto: il mio no è a questo giornale, a come oggi interpreta questo mondo. Non è un addio al manifesto.