Claudio Leonardi, La Stampa.it 14/12/2012, 14 dicembre 2012
DAL CODICE A BARRE ALLA BARA
È stata una rivoluzione nel commercio, ma oggi è anche un’icona pop: parliamo del codice a barre, quell’etichetta stampata su ogni prodotto in vendita che permette di leggerne elettronicamente il prezzo e altri dati. Uno dei suoi inventori, Norman Joseph Woodland, è morto domenica all’età di 91 anni, nella sua casa nel New Jersey.
Se si dà retta alle stime secondo cui, ogni giorno, sono sottoposti a scansione oltre 5 miliardi di codici a barre, si potrebbe pensare che quel brevetto gli fruttò milioni di dollari. E invece, fu venduto per 15mila dollari, nel 1952, alla Philco. Nel 1960, tuttavia, l’invenzione tornò nelle mani della Ibm, dove Woodland lavorava, e fu perfezionata rendendola quella che noi tutti oggi conosciamo.
In realtà, il codice a barre comparve nei negozi solamente nella metà degli anni Settanta. La storia racconta che il primo prodotto a essere sottoposto a scansione fu un pacchetto di gomme da masticare in un supermercato dell’Ohio, nel 1974. Tanto ci volle, infatti, per inventare la tecnologia al laser in grado di leggere e interpretare le linee strette e larghe.
I meriti di quell’invenzione sono da dividere equamente tra Woodland e il suo compagno di università, Bernard Silver. Fu proprio lui, infatti, a metterlo sulla strada giusta quando, nel 1948, gli riferì una conversazione raccolta per caso tra il presidente di una grossa catena di distribuzione alimentare e il preside del Drexel Institute of Technology di Philadelphia. L’imprenditore chiedeva un’invenzione che consentisse di rilevare automaticamente i prodotti acquistati all’uscita nella cassa.
Ne seguirono una serie di esperimenti, fino all’intuizione finale: una combinazione tra il codice morse e il cinema. E parlando di storia, ai confini con la leggenda, l’inventore stesso raccontò che l’idea delle linee del codice gli venne un giorno, mentre se ne stava seduto sulla sabbia a meditare sull’alfabeto morse. Affondò quattro dita nella sabbia e tracciò altrettante righe con diversi spessori. Quella differenza tra le linee, pensò, avrebbe potuto sostituire i punti e le linee del codice usato per comunicare.
E il cinema, come c’entrava? Per leggere i dati, Woodland pensò di sfruttare il cosiddetto sistema "Lee De Forest", già usato per la codifica del suono nella pellicola cinematografica e basato sulla diversa trasparenza di una specifica area del bordo della pellicola. Questa produceva una diversa emissione di luce, "interpretata" poi da una valvola foto-sensibile per trasformarla in suono. Ma al codice a barre restava ancora un bel po’ di strada da fare.
La prima applicazione commerciale fu introdotta dalla società RCA nel 1966, ma, come si è detto, il codice si affermò definitivamente quasi 10 anni dopo, con l’introduzione del primo standard di codifica, l’UPC. Oggi quelle linee sono ancora lo standard per la lettura dei prezzi sui prodotti, ma potrebbero essere scavalcate dai nuovi codici bidimensionali Qr (Quick Response), in grado di contenere in un solo crittogramma 7089 caratteri unici e 4296 alfanumerici.
Nel frattempo, quelle righe larghe e sottili che si alternano sono diventate spunto per nuove forme d’arte. Gli artisti ne hanno sfruttato la somiglianza con le opere di Mondrian, ma le hanno anche usate per rappresentare la mercificazione di ogni cosa, nel mondo. Qualcosa che Woodland ha certamente fatto in tempo a vedere, dalla sua casa nel New Jersey, ma che probabilmente non aveva previsto.