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 2012  dicembre 14 Venerdì calendario

LETTERATURA IN LUTTO PER LA SCOMPARSA DELLE PORTINERIE



La notizia è ferale. Un annuncio emorragico prospetta tragica infungibilità. Con il diffuso e desolato commento: «Chissà dove andremo a finire». A Parigi, in dieci anni, si sono perdute diecimila conciergeries. Come dire che si è smarrita la ricetta del roquefort e si dovrà rinunciare al sidro nel bistrot. A dare l’allarme è stato l’Écho des Concierges che, dal luglio 1928, da quando cioè uscì il suo primo numero, difende l’onore dalla categoria.
L’Écho des Concierges, esordì come «giornale corporativo e solo organo ufficiale del sindacato nazionale dei portinai» e «come foglio di informazione dei nostri colleghi e mezzo per rendere conto mensilmente delle attività della categoria». Da quasi un secolo, con revanche, l’Écho des Concierges tesse l’elogio dei custodi delle guardiole. Il carattere tutto francese del concierge. Vantandone pregi sociali, ineffabile presenza, gesti eroici, leggende.
Con il tramonto delle guardiole, Parigi perde un universo di tipi e situazioni che hanno nutrito aneddotica, letteratura e cinema. Chiudere una portineria parigina è un po’ come fare il funerale a un mondo. L’aveva già prefigurato Celine in Mort à crédit. «Domani la sotterreranno in rue des Saules. Cara e gentile e fedele amica». La defunta era madame Bérenge, la portinaia. Partita lei il casamento tremò di nostalgia. Eppure in vita era un efferato bignole: in argot sta per spione, guardiano del piano basso, tipo da tetra guardiola da cui spande perenne sentore di cavolo bollito e straccio bagnato. Malinconici androni «decorati» dai vasi di imperterrite foglie d’aspidistra. All’insegna della targa in zinco smaltato con l’altisonante Conciergerìe.
Vachement grand-mère, terribilmente nonna, la concierge parisienne era la légìon d’honneur di un tipo sociale odiosamato: grassa, segaligna, ruffiana e altera, complice e giustizierà, demiurgo di casigliane comunità. Cancanière, peggiorativo di pettegola. All’occasione pietra di paragone: a lei Flaubert assimilò Voltaire, il predicatore delle conciergerìes, artista dell’oltraggio, turpe spia. Tuttavia il vero monumento al portinaio parigino lo dipinse Eugene Sue nei Misteri di Parigi, il solenne feuilleton, primo nel suo genere, pubblicato a puntate sul Joumal des Débats tra il 1842 e il ’43. Sue ha reso immortale la «gran professione di custode di caseggiato», dando forma a quel celebrato monsieur Alfred Pipelet e alla sua sposa Anastasie, portinai al numero 8 della Chausée d’Antin, nel cuore della vecchia Parigi.
I due Pipelet, quasi maschere della commedia dell’arte, sono il modello tipico di tutti i portinai del mondo. Tristemente umiliati dal loro stato, covano un onorato riscatto cullando la vendetta con sublimi e infernali maldicenze. Monsieur Alfred Pipelet sopporta con la pazienza dei semplici lo stillicidio quotidiano di beffe e canzonature umilianti degli spietati inquilini. Ai quali oppone la «dignità» del custode, trasmutando la propria conciergerie in un’alcova di recrimini e nella colossale metafora delle ciarle dei portinai di tutto l’orbe terracqueo. La fama letteraria alimentò la leggenda. L’irsuto Pipelet ispirò un melodramma giocoso. Il portinaio di Parigi, musicato da tal Serafino De Ferrari che ottenne, alla sua prima andata in scena il 25 novembre 1855 al Teatro San Benedetto di Venezia, uno strepitoso successo. Dovuto certamente alle arie ironico canzonatorie del portinaio improvvisate nella tromba delle scale e dirette agli odiati casigliani. Così, un po’ per il romanzo e un po’ per le «cantate» teatrali, Pipelet mutò in un topos nominale. Nel novero dei sinonimi a lui attribuiti, pipelet divenne il simbolico modello universale del portinaio.
Non di tutti, però. Celine scoprendo Manhattan senza portinerie, decretò che New York non poteva essere catalogata tra le grandi metropoli: «Una città senza portinai è una zuppa senza pepe ne sale, una ratatouille amorfa». Potrebbero allora pretendere grandezza soltanto le città in cui si masticano ingiurie negli androni. Portinai, tutti metafore dei pipelet, con i quali si mette in gara l’infame Cibot, altra celebrità letteraria da guardiola, eroina del Cugino Pons di Balzac.
Per Baudelaire le portinaie di Balzac avevano del genio. Infatti la Cibot non si ferma al linguagnolo. Passa a vie di fatto. L’avidità la fa complice di un raggiro madornale ai danni di un collezionista che abita nel palazzo, tramando per mettere le grinfie sui tesori. Una storiaccia da far svelare magari a Maigret, sempiterno radiologo di portinaie, sondate con dissimulata dolcezza. E loro, furbissime, finte torpide, cadendo dalle nuvole, con sempre qualcosa sul fuoco per correre via e sottrarsi alle insinuanti richieste di informazioni del simenoniano commissario.
Messa in questi termini la conciergerie non è soltanto il palcoscenico di un «tipo» cui cucire addosso aneddoti. La portinaia come semplice «spalla» di qualcuno nell’eterna comédie humaine. Forse la concierge è addirittura qualcosa di più: la controcoscienza di un ambivalente personaggio che intrica nell’esistenza altrui. Capace di aprire «per errore» le lettere e architettare superbi complotti a carico di chi, a fine anno, abbia dimenticato il dovuto pour boire. Le formidabili caratterialità delle portinaie modello grandeur le notò persino quel supponente di De Amicis. Nei suoi Ricordi di Parigi le evoca come degli autentici personaggi, anche se non manca di sottolinearne la volgarità e l’irragionevole scontrosità nei confronti degli stranieri. Di tonalità opposta l’amorevole rispetto (utilitaristico) di Gadda quando si trova a dover trattare con le portinaie. Le ossequiava con la cerimoniosità di un avveduto cortigiano di Versailles. Gadda si metteva a posto con un prudentissimo «non si sa mai». Sia vero, oppure no, vista l’aneddotica sull’ingegnere Carlo Emilio, pare conclamasse con il titolo di concierge (tale a una onorificenza) la portinaia ucraina del condominio romano di via Blumenstihl 19, dove visse gli ultimi anni. Timoroso (e iroso) che la femmina della guardiola potesse nuocergli in qualche maniera. Senza dimenticare il «profilino» che il gran lombardo fece della sora Emanuela, insuperabile modello di portinaia nel palazzo di via Merulana dove si consumò Quer pasticciaccio brutto. Con più delicata attenzione, forse, Camillo Sbarbaro. Vagheggiando una certa quale differenziazione con l’arcigna custode del condominio, e teneri a un po’ più fuori dalla propria privacy, le si rivolgeva con il lei. «Per essere ricambiato».
Schegge che si coniugano con altre declinazioni per la configurazione di un paradigma portinariale della letteratura occidentale: dal cosmo condominiale esplorato da Georges Perec in La vita: istruzioni per l’uso, a quello di Amelie Nothomb, nella cui rutilante produzione, conferisce al concierge, come tipo umano e quindi personaggio, diritto di appartenenza alla storia della letteratura. «Apro, accolgo, chiudo, riparo fughe d’acqua, segnalo problemi elettrici... Davvero: sono una portinaia. E di grande qualità».
Cesare Battisti, ex terrorista e romanziere di noir, appunto oltre al resto, doveva essere un veritable personaggio concierge. Durante il periodo di detenzione francese, gli inquilini del suo stabile parigino firmarono assieme a scrittori della gauche un volantino. Reclamavano. «Ridateci il nostro portinaio».
L’onore a tutte le vituperate portinaie del mondo è venuto però l’altro anno da un bestseller – L’eleganza del riccio di Muriel Barbery – dove Renée, la concierge di un inesistente 7 su rue de Grenelle – palazzo da ricchi con cortile e jardin interno – pipeìet rincagnata, calli furiosi e un’alitosi da mammut, come una sorella gemella di Mr, Hyde, sbarrata la guardiola, vive notti di riscatto sui libri. Evolve in raffinata lettrice, in forsennato musicofilo: legge Husseri, ascolta Purcell. Omaggio a Tolstoj battezza Lev il gatto bardo...
E fin qui mondo circoscritto a un androne. Alla tromba delle scale. L’antica portinaia poteva anche trovare la propria realizzazione nello smazzare la posta. Scoprire se quelli dell’interno 10 continuavano a ricevere avvisi di ; cambiali. Masticar malevolenze lavando le scale.
L’annuncio del tramonto in corso dei pipelet si sovrappone a quest’epoca nostra in cui la ciarla è diventata mondiale. Il mondo sostanziato in un’immensa portineria. Basta sporgersi e porsi all’ascolto del cinguettio quotidiano di tutti gli universali twitteraggi. Internet ha globalizzato pipelet. Siamo alla portineria elettronica. Asettica nella forma. Nessuna portineria, tutti portinai. La maldicenza e i recrimini hanno soltanto mutato aspetto. Senza il sentore di cavolo bollito e di straccio bagnato. Senza alcuna ricaduta letteraria.