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 2012  dicembre 14 Venerdì calendario

QUEI TRE MINUTI DI LAVORO TRA UNA DISTRAZIONE E L’ALTRA

Aria di distrazione cronica negli uffici, almeno così pare. Alcuni studi individuano un fenomeno moderno, ovvero la tendenza alla distrazione sui luoghi di lavoro: mail, cinguettio continuo e svariate condivisioni rovinerebbero la concentrazione — il Wall Street Journal ne ha parlato di recente. L’onda della distrazione arriva con un’alta frequenza, ogni tre minuti. Rispondi a una mail, twitta, e la mente vaga. Ma anche l’ambiente di lavoro non facilita le cose, gli open space, per esempio, invitano alla chiacchiera. Naturalmente onde frequenti ci portano fuori rotta e poi per rimettere il timone verso il porto ci vogliano quasi 23 minuti. Capite bene la preoccupazione dei boss, è difficile ottenere un lavoro completo a fine giornata. Troppa distrazione poca produttività. Anche se, a leggere meglio gli studi, si notano delle sfumature, per esempio, accidentali distrazioni o navigazioni sul web «soft» aumenterebbero la creatività, oppure interruzioni mirate e brevi, insomma quattro chiacchiere alla macchinetta del caffè, favorirebbero la concentrazione.
Che dire? Colpa della tecnologia? È il principale imputato. Ma non è del tutto vero, anzi la tecnologia ha indubbiamente aumentato la produttività. E allora si potrebbe fare un confronto con l’ieri, per esempio, quando, appena pochi anni fa, le distrazioni tecnologiche erano poche si lavorava con più impegno? Nel 1989, un sociologo, Robert Jackall, passò svariati mesi in grandi corporation per capire come i manager organizzavano il tempo aziendale. Ne uscì fuori uno studio davvero interessante, e molto divertente. In sintesi, la caratteristica principale del lavoro manageriale era quella di pubblicizzare l’etica del lavoro duro e sodo, ma nei fatti, quando andavi ad analizzare la loro giornata lavorativa — tra lettura di giornali, coffee break, chiacchiere, telefonate, per lo più inutili, e divagazioni varie — ti accorgevi che i manager si distraevano, molto. I manager, figuratevi i dipendenti.
In questo caso, tra ieri e oggi, si nota una continuità nella distrazione sul lavoro, magari la tecnologia è un amplificatore, non il principale attore. Però il problema esiste, d’altra parte, chi della vecchia generazione non si infastidisce quando osserva un ragazzo alle prese con il proprio cellulare? Ma cosa possiamo farci? Si tratta di un cambio di paradigma. E il nostro cervello, plasmato dall’evoluzione ragiona ancora oggi più attraverso i pensieri veloci che quelli lenti. L’intuito, le associazioni, il desiderio di arrivare subito alla conclusione, nonostante tutti gli errori che questo modus vivendi porta con sé, vincono sulla lentezza, e cioè sull’analisi e la fatica del ragionamento. Siamo tutti fast, anche quelli che dicono di essere slow. Un certo apparato tecnologico alimenta questo aspetto: battuta veloce, giudizio su questioni complesse in 140 caratteri sono ormai elementi diffusi.
E si capisce perché se mettiamo un comico e un analista, a dibattere, il comico ha più probabilità di portare a casa applausi — in special modo in Italia. Insomma, dovunque, e sono solo sul lavoro, l’attenzione scema. Poche cose e dette chiaramente, less is more. Da una parte è un bene: se ascoltiamo un politico che ci parla con enfasi e lunghi giri di parole dei dannati della terra, cambiamo canale. Però è pur vero che i dannati della terra esistono, come fare, dunque, a occuparsi di problemi complessi ammettendo un alto indice di distrazione? Negli uffici si stanno perfezionando modalità di difesa, meno mail, pause programmate ecc.
Chissà se nel futuro non dovremmo portare l’idea della condivisione a un gradino più alto. Non siamo soli, ma parte di una mente collettiva. Quindi, se ammettiamo fisiologiche e frequenti distrazioni sarà necessario porsi obiettivi più alti, impostare regole e pratiche globali. Il mondo non è più per i singoli, mettiamo in comune le nostre velocità nella speranza di produrre un lento, condiviso, utile e collettivo ragionamento.
Antonio Pascale