Marco Imarisio, Corriere della Sera 14/12/2012, 14 dicembre 2012
BERGAMO DIFENDE L’ESAME DEL CALCIATORE
Alla fine non resterà che un’occasione mancata.
C’era tutto per farsi battere la mani dal mondo del calcio.
L’attor giovane è un calciatore professionista che studia e vuole diventare avvocato. L’Atalanta, la sua società, è conosciuta per un vivaio eccellente che antepone lo studio e la crescita umana dei ragazzi ai loro sogni da Pallone d’oro, ma soffre l’eccessiva notorietà portata da ultrà alquanto agitati. La logica, e il buon senso, avrebbero imposto di cogliere l’occasione, fare un bel comunicato di auguri al difensore Guglielmo Stendardo che si assentava alcuni giorni per sostenere l’esame di Stato a Salerno, additarlo come fulgido esempio e incassare i dividendi di immagine.
«Invece qualcosa non ha funzionato», riconosce il direttore sportivo Pierpaolo Marino, colto all’ingresso di un ristorante cittadino per la cena sociale della squadra. «Ci siamo un po’ incartati» aggiunge, che è un modo pratico per dire che una storia semplice si è complicata senza un vero perché, «la classica tempesta in un bicchier d’acqua» fino a raggiungere vette surreali, un processo a tutti senza conoscere la colpa, come se Franz Kafka avesse bussato ai cancelli del centro sportivo di Zingonia.
È cominciata con l’allenatore Stefano Colantuono che ha fatto la figura «dell’insensibile tutto pallone», la definizione a posteriori è sua, negando un permesso di tre giorni a Stendardo e annunciando una multa in arrivo. La sua richiesta è stata fatta troppo tardi, questa la spiegazione ufficiale, alla vigilia di una partita con la Roma, persa 3-0, perché quando le cose cominciano ad andar male, in genere proseguono peggio. E infatti il mister ci ha messo del suo, chiosando un «siamo professionisti, dobbiamo attenerci alle regole» che non era sbagliato in premessa, ma risultava fuori luogo. Ne è venuta fuori una recita poco natalizia, con l’Atalanta nei panni dell’orco cattivo. «Che stiamo a fare, un processo?». La domanda di Marino alla conferenza stampa riparatrice non era peregrina. Il bancone degli intervistati sembrava quello degli imputati, con Colantuono, un duro tutto sudore, sangue e spogliatoio, che invocava le attenuanti generiche di una figlia all’università e di un diploma mancato in gioventù, non per una partita ma per una indigestione di pesce la sera prima degli esami.
Stendardo, napoletano del Vomero, è così diventato un deamicisiano Garrone, neppure a sua insaputa, come testimoniamo le dichiarazioni rese ieri all’uscita dalla terza prova scritta. «Per me è stato il coronamento di un sogno, spero di diventare un esempio per i giovani. Si può fare sport e si possono ottenere risultati nello studio».
Bergamo è una città fredda ma capace di un rapporto viscerale con la sua squadra di calcio. Andare alla partita si dice «andà all’Atalanta», in una sintesi identitaria che spiega molto. Anche per questo, per la squadra neroazzurra vissuta come un bene comune, non era scontato il plebiscitario 80% di tifosi che nei sondaggi dei quotidiani locali ha dato ragione al giocatore contro la società.
«Cosa ti aspettavi?» dice Gigi Petteni, segretario regionale della Cisl. Malato di Atalanta, come lo erano i suoi genitori emigrati in Belgio. «Amiamo la squadra, ma non mandiamo il cervello all’ammasso. Quei numeri sono un segnale secco della gente: ci piacciono le belle storie, quelle che ci rendono orgogliosi». Altro che multe, Petteni lancia una proposta: Stendardo non santo subito, ma almeno capitano alla prossima partita in casa, contro la Juve. Il sindaco Franco Tentorio, figlio di Luigi, che giocò 104 partite in prima squadra e fu vicepresidente per vent’anni, ne fa una questione di convenienza. «La società ha le sue ragioni, ma doveva capire che un atto di generosità era giusto e portava vantaggi. Non è successo niente, ma si poteva fare una figura migliore».
Sull’ultima frase tutti d’accordo, con una gran voglia di mettersi alle spalle una storiella che poteva diventare edificante, e invece niente. Marino, che nel mondo del calcio ha visto e gestito di tutto, compreso Maradona quand’era a Napoli, garantisce tarallucci e vino. «La multa andrà in beneficenza». All’improvviso gli squilla il cellulare. È proprio lui, il Garrone napoletano. «Tutto bene» gli dice, ma si riferisce alle prove appena sostenute. Il leghista Daniele Belotti, ex assessore regionale all’Urbanistica, intanto assicura applausi futuri, se non altro per una questione di convenienza. Insieme ad altri 92 ultrà, qualifica che non gli dispiace, è indagato per associazione a delinquere. All’avvocato Stendardo non mancheranno i clienti.
Marco Imarisio