Antonio Polito, Corriere della Sera 14/12/2012, 14 dicembre 2012
IL CONGRESSO DI BRUXELLES
Il Partito popolare europeo ha candidato Mario Monti alla guida del futuro governo italiano. L’ha fatto alla presenza della Merkel e davanti a Silvio Berlusconi, in modo esplicito e senza nessuna cortesia diplomatica. Il «tecnico» ha ricevuto un’investitura politica senza precedenti: mentre a Roma si discuteva, si è deciso a Bruxelles.
La novità è fastidiosa. L’ingerenza è evidente. Ma il guaio è che il rischio-Italia fa letteralmente paura all’Europa, e forse ancor di più all’America di Obama. Basti pensare a che disastri ha provocato la crisi di solvibilità della piccolissima Grecia per capire le dimensioni dello tsunami globale che potrebbe provocare una nostra deriva, l’abbandono della strada del risanamento e una nuova crisi del debito.
L’europeizzazione della politica interna non è dunque frutto del caso. I nostri partner non si occupano di noi per altruismo, né per imperialismo, ma per autodifesa. La prossima campagna elettorale sarà la prima alla quale parteciperanno politici e media stranieri. Del resto, se vogliamo mettere in comune i nostri debiti è inevitabile mettere prima o poi in comune anche la nostra politica. Chi chiede gli euro-bond deve sapere che porteranno anche gli euro-premier. Il giorno in cui gli altri potranno essere chiamati a rispondere delle nostre spese, vorranno dire qualcosa su come spendiamo. E noi su loro.
Il punto è se in questo nuovo mondo fatto di sovranità condivise ci entriamo da sudditi o da cittadini a pieno titolo. E questo dipende molto da noi. Se le convulsioni del centrodestra italiano non avessero inutilmente fatto cadere il governo Monti, rilanciando i dubbi sulla tenuta dell’Italia, ieri non se ne sarebbe discusso a Bruxelles. Se il Pdl avesse capito da solo che l’Europa ha bisogno di garanzie di governo che Berlusconi è l’ultimo a poter dare, non saremmo all’esame del candidato-premier.
Vale anche per il Pd. Nessuno sa oggi se Mario Monti accetterà l’invito pressante del Ppe a partecipare alla battaglia elettorale e, se lo farà, con quale schieramento di forze. Ma è evidente che trovarsi un Monti avversario nelle urne sarebbe un colpo duro per un partito che ancora lo sostiene in Parlamento. Brucia ancora il ricordo del 1994 quando Occhetto, senza antagonisti e sicuro di vincere, si trovò davanti all’improvviso un fronte moderato nuovo di zecca che lo batté. Lo sconcerto a sinistra è ben illustrato da ciò che dice Massimo D’Alema nell’intervista che pubblica oggi il Corriere.
Però chi è causa del suo mal è spesso costretto a piangere se stesso. Perché anche al Pd sono state chieste dall’opinione pubblica interna e internazionale quelle garanzie sul rigore che sia Vendola sia l’ala sinistra del partito ogni giorno respingono. Del resto lo stesso Bersani ha più volte assicurato che se vincerà le elezioni offrirà a Monti un ruolo politico. Almeno altrettanto legittimo sarebbe se il ruolo se lo scegliesse il Professore, conquistandoselo con i voti invece che per gentile concessione.
Antonio Polito