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 2012  dicembre 14 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Gian Piero Piretto, La vita privata degli oggetti sovietici, Sironi Editore, 2012, euro 19,80

Notizie tratte da: Gian Piero Piretto, La vita privata degli oggetti sovietici, Sironi Editore, 2012, euro 19,80. Le macchinette grigio azzurre che distribuivano gazirovka (“gazzosina” se si dovesse tradurre alla lettera) nelle città sovietiche, accanto a teatri, parchi o cinema. Con una copeca si aveva diritto a un bicchiere d’acqua gassata, tre copeche garantivano anche uno spruzzo di sciroppo dolce. Il bicchiere, unico per tutti, in vetro: lo si puliva appoggiandolo a testa in giù su un’apposita spazzoletta rotante. La parola samovar deriva da sam e varit’, “che bolle da solo”. Il kipjatil’nik, resistenza elettrica che inserita in un recipiente pieno di liquido lo portava a bollore. Scaldava acqua, zuppe e pietanze semplicemente inserendo la spina nella presa. Lo si portava ovunque: in albergo, ufficio, officina, teatro. Il profumo da donna più famoso in Russia è Krasnaja Moskva (Mosca rossa), presentato nel 1913 dal profumiere francese Henry Brocard, che lo donò alla madre di Nicola II per celebrare il trecentesimo anniversario di casa Romanov. Ancora oggi in produzione, vi si indovinano note di bergamotto, coriandolo, neroli, garofano, rosa, gelsomino, iris e cumarù. Krasnaja Moskva, molto pubblicizzato anche negli anni Trenta, col suo aroma dolce e forte rispondeva perfettamente alle regole del gusto di allora, dettate dalla moglie del ministro degli Esteri, Molotov. Il profumo maschile degli anni Cinquanta era Šipr, dal nome dell’isola di Cipro. Origine francese: l’inventore François Coty nel 1917 combinò patchouli, sandalo, bergamotto, incenso e muschio di quercia. Il Šipr Extra degli anni Settanta aveva una concentrazione di alcol del 70 per cento, il che lo rese molto popolare tra gli alcolizzati, che lo bevevano al posto di brandy e vodka, più leggeri e costosi. Fino agli anni Ottanta prodotti cosmetici, preparati per falegnameria, addirittura lucido da scarpe, furono usati come sostituti di alcolici troppo dispendiosi o introvabili. Nelle case sovietiche non poteva mancare il tritacarne (mjasorubka) che serviva per preparare il piatto più noto: le kotlety, cioè le polpette. Chi non le cucinava in casa, poteva acquistarle negli appostiti negozi (kotletočnaja) dove si vendevano già cotte, oppure semilavorate, pronte da friggere. Ricetta delle polpette požarskie (secondo le leggende Požarskij è un principe dell’antica Russia o, più probabilmente, un ristoratore che fece per primo questo tipo di piatto, apprezzato anche dallo zar Nicola I): 500 grammi di pollo disossato e tritato, 2 cucchiaio di burro fuso, 2 cucchiai di panna liquida, 2/3 di bicchiere di latte, 3 fette di pane raffermo, ½ bicchiere di crostini di pane, 1 uovo, sale, erbe aromatiche, burro per friggere. Ammollare il pane nel latte e strizzare, mescolarlo alla carne, al burro fuso, alla panna, alle spezie, al sale. Formare polpette ovali (eventualmente mettendo del burro al centro), passarle nell’uovo sbattuto, poi nei crostini di pane, friggere. Il bicchiere classico russo è il granënyj (sfaccettato), chiamato comunemente grančak (“sfaccettone”). Di vetro spesso, difficile da rovesciare o rompere, a dodici o venti faccette. Costava tra sette e quattordici copeche, a seconda delle capacità (da 50 a 250 grammi). Fu prodotto in centinaia di milioni di esemplari: se ne contavano almeno due per ogni abitante dell’Unione Sovietica. La vodka in Urss era servita, ordinata e consumata a grammi anziché a decilitri. Origine del brindisi à la russe, con rottura di bicchiere: un mastro vetraio portò in dono allo zar Pietro I, il Grande, un bicchiere infrangibile, molto utile sulle tavole delle navi in balia di mari in tempesta. Per provarne la resistenza lo zar lo scagliò contro una parete, mandandolo in frantumi. Nei locali sovietici era vietato entrare con cappotto e cappello. Motivo: portavano all’interno i microbi della strada. Al contrario, era obbligatorio restare coperti (anche di colbacco) al cinema. Ovunque c’erano i guardaroba, con addetti che in cambio di paltò, cappelli e borse distribuivano un contrassegno numerato, chiamato nomerok. Guai a perderlo. I guardarobieri, inoltre, si rifiutavano di prendere il cappotto mancante di vešalka, il laccio di stoffa che permette di appenderlo all’uncino della rastrelliera. La velocità delle scale mobili (eskalator) della metro di Mosca era regolabile e gestita da appositi addetti. Per smaltire l’affluenza di persone (passavano infatti al massimo trenta secondi tra un treno e l’altro), si aumentava la velocità fino a livelli talora inquietanti per gli stranieri non abituati a tanta lestezza. Circa trecentocinquantamila persone hanno votato in un sondaggio sul sito Internet goodbyelenin.ru a proposito dello spostamento della mummia di Lenin dal Mausoleo sulla piazza Rossa. Il 67% vorrebbe che fosse rimossa e seppellita a San Pietroburgo, accanto alla madre. Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, nel 2007 propose di portare il corpo di Lenin a Roma nel caso Putin avesse deciso di toglierlo dal Mausoleo. Il Babbo Natale russo si chiama Nonni Gelo. Dolce tipico pasquale russo è la pascha, sformato di ricotta a forma di piramide tronca che simboleggia la tomba di Cristo. Si decora con le lettere cirilliche XB che stanno per Christos Voskrese! (Cristo è risorto). La carta igienica (tauletnaja bumaga) si trovava solo negli alberghi per stranieri e nelle istituzioni più importanti. Gli altri si arrangiavano con i giornali, che stingevano un sacco, e con fogli di carta per scrivere tagliati in minuscoli triangoli. Tra i russi si scherzava che la carta igienica fosse così rara perché utilizzata per fare l’impasto di una mortadella chiamata doktorskja kolbasa (salame del dottore). Nel museo moscovita dedicato a Puškin ancora oggi i bagni hanno un unico rotolo di carta igienica, posto sulla parete esterna ai gabinetti: si deve strappare secondo necessità prima di entrare. I bagni pubblici lungo le vie non avevano porte. La borsa a rete sovietica per fare la spesa, dapprima in corda poi in sintetico kapron, forse inventata a fine Ottocento da un imprenditore ceco che pensò di mettere i manici alle reti per capelli da lui prodotte e ormai poco richieste. I russi la chiamano avos’ka, intraducibile neologismo che significa più o meno “volesse il cielo”, inteso come speranza di riportarla a casa riempita. Quando si vedeva qualcuno con la sporta piena di qualcosa, non gli si chiedeva dove l’avesse comprato (kupit’), ma dove l’avesse “recuperato” (dostat’), proprio a indicare la difficoltà dell’impresa. Pobeda, cioè Vittoria: l’auto dalle forme eleganti e bombate prodotta dal 1946 al 1958 nello stabilimento automobilistico a Gor’kij, la prima in Unione Sovietica ad avere riscaldamento ed autoradio. Ne sono stati costruiti 235.999 esemplari, di cui 14.222 cabriolet e 37.492 taxi. La sua immagine rimase legata a quella dei giovani stiljagi, figli di papà vestiti in modo alternativo e amanti del jazz, rampolli delle rare famiglie che potevano permettersi un’auto privata. La bottiglia di vodka russkaja (russa) che circolava negli anni sovietici non aveva tappo richiudibile, ma una specie di linguetta metallica che una volta strappata era buttata via. Non era prevista, dunque, la possibilità che, finito il brindisi, la bottiglia venisse riposta con parte del contenuto. L’intelligencija beveva così: la vodka versata in una caraffa e da lì nei bicchieri. Anche nei ristoranti era servita in brocche, ordinata a grammi e non a decilitri o litri. Si beveva in bicchieri di diverse misure: dai piccoli rjumiki ai grandi granënye. Sempre comunque accompagnata da un appoggio (zakuska): cetrioli in salamoia, lardo, pane nero. Grazie alla sua campagna anti-alcol, Michail Gorbačëv si guadagnò il soprannome di mineral’nyj sekretar’ (segretario minerale, come l’acqua) invece che general’nyj sekretar’ (segretario generale). Formula russa per brindare: «Za vaše zdorov’e!» (alla vostra salute), cui si risponde «Ura!» (urrà). I cittadini sovietici erano obbligati a fare lunghe file davanti ai negozi per procurarsi i più comuni beni di consumo. Eppure quando una massaia sovietica vedeva la coda davanti a un negozio si rallegrava, perché ciò significava che c’era merce disponibile. Vobla, pesce essiccato che gruppi di amici si portavano alla banja, bagno di vapore. Andavano con una cassa contenente cappelli di feltro per proteggere i capelli dal caldo, ramoscelli di betulla macerati per farsi dei massaggi, mestolo per versare acqua sui sassi roventi, pesce essiccato da mangiare durante la seduta e birra a volontà.