Stefano Vergine, l’Espresso 14/12/2012, 14 dicembre 2012
ITALIA RINNOVABILE
Nei prossimi dieci anni gli Stati Uniti diventeranno i primi produttori al mondo di petrolio, sfiorando l’autosufficienza entro il 2035. Con questa previsione Fatih Birol si è recentemente conquistato i titoli delle testate internazionali. Il capo economista dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) presenta il 14 dicembre in Italia l’Outlook 2012, il rapporto che disegna gli scenari del mercato energetico per i prossimi anni. Stati Uniti a parte, Birol prevede che l’Iraq diventi il secondo maggior esportatore mondiale di greggio ai danni della Russia. Che il carbone venga utilizzato sempre meno in Occidente, a vantaggio di gas e rinnovabili. E che la domanda di combustibili fossili continui ad aumentare, portando il barile a 125 dollari nel 2035 (215 dollari il valore nominale) con un aumento della temperatura media terrestre di oltre 3,6 gradi centigradi, quasi il doppio rispetto alla soglia critica dei 2 gradi. Resta una sola speranza, sottolineata a chiare lettere da Birol: se i governi mondiali decideranno di puntare sull’efficienza energetica, la crescita dei consumi prevista per il 2035 risulterà dimezzata e dal 2020 la domanda di greggio potrebbe iniziare a diminuire.
Cosa comporterà per l’Europa lo strapotere americano?
«I prezzi del gas risulteranno cinque volte superiori a quelli degli Usa, con danni evidenti per la manifattura. Ma le conseguenze si faranno sentire anche sui consumatori. Prevediamo una differenza del 50 per cento tra i prezzi dell’elettricità in Europa e in Usa».
Cosa possiamo fare per limitare i danni?
«Bisogna ridurre il gap di competitività usando l’energia in modo più efficiente».
Che cosa può frenare la corsa degli Usa verso l’autosufficienza?
«Innanzitutto la crisi economica. L’aumento della produzione di petrolio negli Usa dipende dal prezzo del greggio, che non deve scendere sotto gli 80 dollari al barile affinché gli investimenti risultino profittevoli. La seconda sfida riguarda le tecnologie usate, tutte piuttosto recenti, e le risorse di gas e petrolio presenti nel sottosuolo, non ancora chiarissime».
Il balzo Usa dipende principalmente dall’estrazione di tight oil e shale gas, ma è stato dimostrato che queste estrazioni possono avere effetti nocivi sull’ambiente.
«L’estrazione di shale gas ha creato grossi problemi ambientali: bisogna usare certe sostanze chimiche e se queste contaminano l’acqua si creano danni rilevanti. Ma sono situazioni evitabili o per lo meno si possono minimizzare se ci sono regole chiare. Non dimentichiamo la capacità del gas, rispetto al carbone, di ridurre le emissioni di CO2 e combattere i cambiamenti climatici. Certo, da solo il gas non riuscirà a fermare l’innalzamento delle temperature: per farlo serve un uso più efficiente dell’energia e un maggior ricorso alle rinnovabili».
Lei prevede una domanda mondiale di energia in aumento di oltre un terzo da oggi al 2035. E se la Cina rallentasse?
«La domanda cinese di energia è cruciale per tutto il mondo. Per capirci, la capacità elettrica che Pechino costruirà nei prossimi 20 anni equivale a quella attuale degli Usa sommata a quella del Giappone. Le nostre stime di crescita dell’economia cinese sono più basse rispetto al più 7,5 per cento registrato quest’anno, ma non prevediamo un rallentamento che intacchi le previsioni di domanda».
Veniamo all’Italia: che giudizio dà della Strategia energetica nazionale (Sen) messa a punto dal ministro Corrado Passera?
«Gli obiettivi sono ambiziosi e vanno oltre i target europei. Il raggiungimento dipenderà dalla messa in atto di una struttura di governance adeguata e da incentivi di giusta misura, in particolare nell’edilizia».
La Sen assume un orizzonte di breve termine, il 2020. È d’accordo con l’impostazione?
«Scelte strategiche nel settore energetico richiedono un orizzonte temporale lungo, visto che la maggioranza degli investimenti ha una vita operativa multi-decennale. Un orizzonte temporale al 2020 ha sicuramente qualche limite, ma la Sen dichiara di sposare la strategia europea che prevede la riduzione di emissioni dell’80 per cento al 2050».
Fra otto anni le rinnovabli in Italia dovrebbero costituire il 38 per cento del mix energetico, la prima fonte di elettricità. Obiettivo realistico?
«Il target è ambizioso ma raggiungibile. Il punto è: quali saranno i costi per il sistema? Le rinnovabili hanno bisogno di incentivi, e così sarà anche nel prossimo futuro. Inoltre, per la stessa natura delle rinnovabili, serve avere capacità tradizionale di backup, in modo che il sistema sia in sicurezza anche quando non c’è sole o vento. Questo comporta costi aggiuntivi. Insomma i governi non devono fare il passo più lungo della gamba, perché il conto potrebbe essere salato».
La Sen punta ad aumentare del 45 per cento la produzione nazionale di idrocarburi entro il 2020 per garantire risparmi in bolletta. Ci sono esperti convinti che lo stesso obiettivo sarebbe raggiungibile attraverso la riqualificazione energetica dell’edilizia, la produzione di biometano, l’incremento delle rinnovabili. Cosa ne pensa?
«L’Italia è tra i più dipendenti al mondo dalle fonti fossili estere. Questo ha un impatto sia sulla bilancia commerciale, sia sulla sicurezza del sistema. Lo sfruttamento delle risorse nazionali è quindi una logica conseguenza, a patto che sia fatto nel rispetto dei massimi standard ambientali, ma questo la Sen lo dice».
Nella Sen si sottolineano i costi in bolletta derivati dagli incentivi alle rinnovabili. Non si dice una parola sui sussidi pubblici alle fonti fossili. Secondo un recente rapporto di Legambiente, questi in Italia ammontano a 9 miliardi all’anno. Che conseguenze avrà il permanere di questa situazione?
«I sussidi alle fonti fossili sono presenti in molti mercati: significa che l’energia viene sotto-prezzata. Di conseguenza assistiamo a spreco energetico, volatilità dei prezzi e, in alcuni casi, alla messa a rischio della competitività delle rinnovabili. La rimozione dei sussidi fornirebbe un contributo fondamentale per tentare di centrare i nostri target sul cambiamento climatico».