Antonio Carlucci, l’Espresso 14/12/2012, 14 dicembre 2012
C’È UN BACO NELLA MELA
[segue intervista a Tim Cook]
I due eventi sono in aperta contraddizione tra di loro. I risultati del quarto trimestre della Apple, la multinazionale dell’iPhone, dell’Ipad, dell’Ipod e dei computer Mac, sono tutti positivi, a cominciare dal fatturato di 35,97 miliardi di dollari, con un guadagno netto di 8,22 miliardi di dollari. Il risultato è migliore di quello immaginato dalla casa di Cupertino, che aveva fissato l’asticella del giro d’affari a 34 miliardi di dollari. Così, per il 2012 si prevede un fatturato totale di 156,5 miliardi, una cifra superiore a quella di Microsoft, Google e Facebook messi insieme. Il titolo, che ha realizzato una corsa entusiasmante cominciata proprio a ridosso della grande crisi del 2008, con un valore di partenza poco sotto i 100 dollari e che ha toccato il massimo di 705 dollari a settembre 2012, è sceso in picchiata fino al punto più basso di 518 dollari di mercoledì 5 dicembre.
C’è un misterioso baco dentro la Apple? Un virus che per adesso si è manifestato con il meno 20 per cento del valore di Borsa? Qualcosa sicuramente sta accadendo e Tim Cook, l’amministratore delegato che ha preso il posto dello scomparso Steve Jobs, è uscito per la prima volta allo scoperto con una chilometrica intervista su "Bloomberg Businessweek", che gli ha dedicato anche la copertina. È una celebrazione dell’azienda, del suo fondatore, della qualità dei prodotti. Ma di che cosa stia accadendo e dei progetti del futuro non si fa parola, se non che qualità, trasparenza e lavoro collettivo sono al primo posto nella scala dei valori di Cupertino. Gli analisti, invece, sono ancora molto cauti nell’emettere giudizi definitivi sulla situazione, perché nel caso di Apple le ragioni della contraddizione tra il buon andamento dei conti e la perdita di valore dell’azione sono numerose e non tutte legate semplicemente a fattori tecnico-aziendali e commerciali, ma anche a un mood che può aver coinvolto l’enorme mondo Apple, dove azionisti e utilizzatori dei prodotti di Cupertino sono la stessa persona.
La competizione nel mondo dei telefoni cellulari (iPhone contro Android) e dei tablet (iPad contro tutti gli altri) è sicuramente il primo elemento di ogni analisi. Scrive Colin Gills, esperto di tecnologia all’interno della Bgc Partners: «Con la previsione che l’ultima linea di prodotti Apple non sarà rinnovata in un breve periodo, gli investitori sono preoccupati di un vuoto nel catalogo subito dopo le prossime feste. La competizione è in crescita e al momento non esiste alcun elemento che possa far pensare a un rialzo del titolo». Parole eleganti ma che vogliono dire che se Apple non rinnova la gamma a cadenza semestrale si può scordare di tornare a quota 700 dollari.
Eppure nei mesi di settembre e ottobre la Apple aveva suonato la carica, sia nel campo dei nuovi prodotti che dei risultati di bilancio. A partire dal 21 di settembre ha rinnovato profondamente la sua linea di prodotti: ha lanciato l’iPhone 5 e a seguire l’iPad con lo schermo "Retina", l’iPad mini (un prodotto che secondo Jobs non avrebbe mai visto la luce perché troppo piccolo), oltre a rinnovare la serie dei computer Mac Book Pro. Con il tavolo pieno di nuovi gadget per affrontare la competizione con colossi come la Samsung, la Apple è riuscita a chiudere il quarto trimestre e l’anno fiscale 2012 in modo positivo. Il Ceo Tim Cook, esponendo i dati tutti positivi - dal fatturato lordo al profitto netto - ha snocciolato cifre che farebbero felice qualsiasi capo azienda: le vendite dell’iPhone a quota 26,9 milioni di pezzi, con una crescita del 56 per cento, per un fatturato nel quarto trimestre di 17,13 miliardi di dollari, che fanno del cellulare-computer-piattaforma per giochi e tante altre cose insieme il prodotto più importante di Cupertino (tanto da rappresentare il 48 per cento delle vendite totali). L’iPhone dovrebbe dare ancora maggiori soddisfazioni, visto che entro la fine dell’anno sarà in distribuzione in cento differenti Paesi (oggi siamo a quota 49), tra cui Cina, Corea del Sud, Brasile, Russia e Taiwan. E anche l’iPad fa la sua bella figura: l’aumento rispetto all’anno precedente è stato del 9 per cento, con un fatturato di 7,51 miliardi di dollari.
Tutte buone notizie, dunque. Ma poi, a partire dal 18 settembre è cominciata la corsa al ribasso del valore dell’azione: dai 705 dollari del 18 di quel mese ai 518 del 5 dicembre. Perché questa fuga dal titolo e questa ondata di vendite? Certo, fermandosi alla sequenza delle cifre di bilancio si rischia di perdersi e non trovare una risposta. Ma forse il punto da cui cominciare è proprio la dimensione Apple: pur con il titolo poco sopra i 500 dollari, l’azienda californiana ha la più alta capitalizzazione al mondo, con oltre 500 miliardi, molto al di sopra di giganti come la Exxon (400 miliardi), PetroChina (250), Google (226), General Electric (222) e Microsoft (220). Non solo: è in grado di produrre un profitto netto che balla tra i 40 e i 50 miliardi di dollari e ha in cassa liquidità per oltre 120 miliardi di dollari, una cifra così impegnativa da gestire che a Cupertino hanno creato un apposito fondo, Braeburn Capital, per investire l’enorme massa di denaro contante.
Questa dimensione pone proprio il problema di una azienda obbligata a crescere in modo esponenziale per mantenere i livelli di profitto e di valore. Ma così non è. Secondo Michael Fu, un analista di Seeking Alpha, «sono in molti a esprimere la preoccupazione che la Apple non sia più una compagnia in crescita e non meriti di essere valutata come una società con questa prospettiva». La ragione, secondo Fu, sta in questo dato: «Se si guarda al trend di crescita annuale dei ricavi netti in percentuale sul fatturato lordo, si nota un rallentamento: dall’85 per cento del 2011, al 61 per cento del 2012, fino alla previsione del 2013, che fissa il rapporto al 23,4 per cento. La spiegazione più semplice di questa situazione sta nei costi crescenti dovuti alla necessità di avere sempre nuovi prodotti per il mercato.
Questo significa che la concorrenza ai prodotti Apple è aumentata e la lotta giornaliera si è fatta più intensa. Insomma, si è avviato a conclusione il quinquennio d’oro che aveva visto milioni di consumatori tradire l’offerta di alcuni colossi della telefonia mobile come Microsoft, Hewlett Packard, Dell, Nokia e Research in Motion per scegliere i più glamour e moderni iPhone. Adesso il campo di battaglia si è di nuovo affollato di concorrenti: il mercato globale degli smartphone vede la Apple con una quota del 18 per cento e la Samsung al 27 per cento, ma se si allarga la visuale all’intero mondo degli smartphone e dei cellulari che sono semplicemente telefoni, il 18 per cento della Apple diventa 7 per cento e il 27 della Samsung rimane comunque al 21 per cento. Questa è un’altra spia di come la dimensione raggiunta da Cupertino obblighi i suoi cervelloni a sfornare prodotti di successo a getto continuo e il management a mettere in cantiere investimenti a nove cifre.
Un altro piccolo baco che può essere entrato in circolo all’interno della Apple è sicuramente il rapporto tra consumatori-azionisti e azienda. Utilizzare i prodotti di Cupertino rappresentava anche una scelta di stile e di campo rispetto al mondo Microsoft Window, in cui funzionalità del prodotto ed estetica del contenitore camminavano a braccetto. In più, l’azionista consumatore ha accettato la filosofia dell’azienda secondo la quale i possessori di azioni non ricevevano dividendi a fronte di buoni risultati, ma vedevano incrementare in modo visibile e continuo il valore del titolo. Non è un caso che dal lontano settembre del 1995 all’agosto 2012 non siano mai stati distribuiti dividendi, mentre solo in due occasioni la Apple ha deciso lo split di 2 azioni per ognuna posseduta (è avvenuto nel 2000 e nel 2005), facendo di fatto un regalo ai fedeli azionisti che hanno visto praticamente raddoppiare il valore del loro investimento nel giro di poco tempo. Ma, con il passare degli anni, è cresciuto un movimento di opinione che ha contestato quella politica aziendale, reclamando la distribuzione di utili. Scelta alla quale la Apple ha aderito solo pochi mesi fa, liquidando una cedola da 2,65 dollari per azione sia alla fine del terzo che del quarto trimestre, per un totale di 5 miliardi di dollari. Una cifra considerata dagli analisti modesta e alla quale non è seguito, come nel caso di altre società, l’annuncio di un dividendo speciale prima della fine dell’anno, che servisse a evitare il possibile aumento della tassazione sugli utili di Borsa se non ci sarà un accordo tra Casa Bianca e Congresso su tasse e tagli di bilancio prima del 31 dicembre.
Apple, dunque, soffre anche di un calo di consenso tra i suoi consumatori-azionisti. La reazione di Cupertino si è manifestata subito sul piano dell’immagine. Non solo l’intervista affidata a "Bloomberg Businessweek", ma anche l’annuncio che l’azienda torna a investire negli Stati Uniti per la manifattura di una parte dei computer Mac: una scelta per fronteggiare il disagio generale venuto dalle notizie sulle condizioni di lavoro degli stabilimenti in Cina, ma anche per aderire alla richiesta del presidente Barack Obama di riportare in casa lavori che erano stati dati in appalto in luoghi molto lontani dall’America. Peccato però che la cifra stanziata per questa inversione di tendenza sia decisamente modesta, almeno per gli standard della Apple: 100 milioni di dollari. Segno inequivocabile che a Cupertino non credono poi tanto in questa tendenza.
SILENZIO, PARLA TIM COOK–
L’anno da matricola di Tim Cook.
Questo il titolo che “Bloomberg Businessweek” ha scelto di dare all’alluvionale intervista realizzata con il numero uno della Apple, 14 pagine più la copertina, per la prima uscita pubblica del Ceo di Cupertino. Ecco, di seguito, il Cook pensiero su questa fase della Apple, sulla filosofia aziendale e sul futuro di colui che è entrato in azienda nel 1998 e ha preso il posto del fondatore Steve Jobs poco più di un anno fa, nell’agosto del 2011.
La successione a Jobs. «Mi disse: non voglio che tu ti chieda che cosa avrei fatto io, fai solo quello che ritieni giusto».
Il Dna aziendale. «Apple è cambiata tutti i giorni da quando io ne faccio parte. Ma il Dna aziendale, quello che fa battere il nostro cuore, è l’attenzione maniacale nel fare i migliori prodotti del mondo. Non prodotti buoni, o tanti prodotti diversi, ma i migliori al mondo in senso assoluto».
Le cose da cambiare, a cominciare dalle condizioni degli stabilimenti di produzione Foxconn in Cina. «Abbiamo deciso che essere più trasparenti su alcuni aspetti è una grande cosa. Non che non lo siamo stati in precedenza, ma abbiamo aumentato la trasparenza nei luoghi dove può fare grande differenza e dove vogliamo che altri ci copino».
I segreti da proteggere. «Abbiamo bisogno di essere supersegreti sui prodotti ai quali lavoriamo e sulla strategia generale. Ma ci sono altre aree dove saremo completamente trasparenti».
Il rapporto con i consumatori. «Ricevo e leggo email nel corso dell’intera giornata, centinaia se non migliaia al giorno, da clienti che mi invitano a parlare con loro come lo stiamo facendo io e lei in questa intervista. Sono così attaccati alla Apple che vogliono suggerirmi “fai questo” oppure “fai quello”».
L’innovazione. «Molte società hanno un dipartimento per l’innovazione... Tutti alla Apple hanno la responsabilità di essere innovativi, sia se fanno un lavoro operativo, sia sul prodotto o sul rapporto con i clienti». La creatività. «La creatività non è un processo, giusto? Sono le persone che hanno cura di pensare a qualcosa fino a quando non trovano la via più semplice per realizzarla».
Il mercato dei prodotti Apple. «Siamo presenti in due mercati estremamente grandi e a crescita rapida, quello degli iPhone e quello dei tablet. Anche lo spazio del mercato dei personal computer è grande, ma non cresce allo stesso modo».
Gli scontri in tribunale con i concorrenti. «Odio le liti, le odio in modo assoluto».
La creazione di posti di lavoro. «Non ho mai pensato che la creazione di posti di lavoro debba essere misurata soltanto guardando il numero di addetti che lavorano in modo diretto per una azienda».
Senza Steve Jobs. «Mi manca ogni giorno. Era un amico. Immagino che da fuori egli era solo il boss, ma quando lavori a stretto contatto con qualcuno per tanto tempo, e per me è così, l’amicizia è davvero importante. Non voglio lavorare con persone che non mi piacciono. La vita è troppo corta. Per questo si diventa amici. La vita ti concede troppo pochi amici».