Domenico Lusi; Maria Elena Vincenzi, l’Espresso 14/12/2012, 14 dicembre 2012
AZIENDE IN CRISI - UNA NORMA AIUTA FURBETTI
Quella norma sta facendo comodo a molti. Ne ha subito approfittato il gruppo Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone, l’imprenditore finito in carcere a causa delle irregolarità nella realizzazione dei porti turistici di Imperia e di Fiumicino. Ma anche la Sopaf, la società di investimenti della famiglia Magnoni gravata da 100 milioni di debiti su cui da settembre indaga la procura di Milano: grazie alla riforma del concordato preventivo è riuscita a disinnescare l’istanza di fallimento di Unicredit. Senza dimenticare l’Istituto Dermatologico dell’Immacolata (Idi), l’ospedale vaticano finito sull’orlo della bancarotta per un buco di bilancio di 600 milioni lasciato dagli ex amministratori, ora sotto inchiesta a Roma.
Il nome tecnico è "concordato con riserva", ma è stato già ribattezzato "concordato in bianco". Doveva servire a snellire le procedure, andando incontro agli imprenditori in tempo di crisi. La nuova norma, introdotta dal governo Monti con il decreto Sviluppo, si sta invece rivelando un boomerang. Che rischia di mettere in ginocchio i creditori, innescando fallimenti a catena. E di agevolare non solo le imprese che navigano in cattive acque, ma anche chi commette illeciti. I bancarottieri, innanzitutto. Ma anche gli evasori.
Fino all’11 settembre scorso le aziende in crisi, per scongiurare il fallimento e continuare l’attività, potevano ricorrere al concordato preventivo, presentando al tribunale, insieme alla domanda, una serie di garanzie economiche per il risanamento. Garanzie che ora non servono più: è sufficiente la prenotazione. All’imprenditore basta consegnare la richiesta, senza chiarire entità dei debiti, solvibilità, tempi di rientro, per ottenere automaticamente da due a sei mesi di stand-by (ma con un buon avvocato si può superare l’anno). Il "concordato in bianco" blocca ogni azione esecutiva, compresa l’istruttoria per il fallimento. E anche l’eventuale processo per bancarotta. Nel frattempo, si segnala da più parti, l’imprenditore potrebbe svuotare l’azienda.
Il problema, spiega Luisa De Renzis, membro del direttivo dell’Anm e giudice fallimentare a Roma, è che la legge «non distingue tra le aziende che potrebbero proseguire l’attività, accedendo al concordato in continuità, e quelle per le quali l’unica prospettiva è il concordato liquidatorio». In questo caso, prosegue, «allungare i tempi di pagamento dei debiti può essere letale. Tanti creditori sono a loro volta imprenditori. Si rischia l’effetto domino». Proprio per questo ci sono magistrati che nutrono forti perplessità sulla costituzionalità della legge. «Servono dei paletti», dice De Renzis:«tutti noi abbiamo la sensazione, che diventa certezza se pendono istanze di fallimento, che lo strumento sia usato solo per prendere tempo».
Sospetti che sembrano trovare conferma nel boom di richieste registrato negli ultimi tre mesi. I dati dell’Osservatorio sulle crisi d’impresa dicono che a Roma ne sono state presentate 123 (48 nel 2011). Tra gli ammessi con "prenotazione" figurano Idi, Acqua Marcia, su cui pendono già istanze di fallimento, e Blue Panorama.