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 2012  dicembre 14 Venerdì calendario

INDIMENTICABILE VITTORIA


Per dirla in poche parole: senza Vittoria Ottolenghi, la danza oggi in Italia non sarebbe la stessa. E non solo per le recensioni scritte per "l’Espresso" dalla "Signora della Danza", che ci ha lasciato lunedì 10 dicembre a 88 anni: recensioni che hanno aiutato i lettori a orientarsi senza pregiudizi nel mondo della danza "alta" e "bassa", scegliendo il meglio tra tutù e tute hip hop. Ma soprattutto per gli spettacoli che ha organizzato, per quelle "Maratone di danza", inventate a Spoleto e trapiantate in televisione che hanno deliziato tante estati degli italiani, portandoli ad amare un’arte che troppo spesso - lamentava Vittoria - era considerata solo un passatempo per «signorine bene».
Eppure alla danza era arrivata per caso: le era «caduta nel piatto», come amava dire, mentre lavorava come redattrice a quel monumento che è l’"Enciclopedia dello spettacolo" di Silvio d’Amico. Da allora l’attività di critico e quella di organizzatrice di eventi sono andate di pari passo, tra "Paese Sera", il Festival di Spoleto, i grandi teatri e la lunga collaborazione con la Rai. Si può dire che non ci sia telespettatore che non l’abbia vista mentre, inquadrata dietro al fratino del suo studio, introduceva a spettacoli che univano classico e moderno, "Schiaccianoci" e "modern dance". Il segreto del successo di quelle scelte era una competenza pari alla curiosità: Vittoria ricordava con la stessa emozione il grande amico Rudolf Nureyev e la "scoperta" dell’hip hop: «A New York ho visto un ragazzo nero che faceva piroette con la testa su un cartone appoggiato a terra e mi sono detta: è nato un tipo di danza nuovo».
Vittoria era così: ricordare Alexander Sakharoff non le impediva di riconoscere le qualità di Kledi Kadiu, essere la massima esperta di "Giselle" non le faceva disprezzare una coreografia televisiva ben fatta. O una parodia: è stata tra i primi a prendere sul serio i Trockadero e il suo ultimo saggio lo ha dedicato alla danza "en travesti". Solo un genere non la entusiasmava: il tango. E quando qualcosa non le piaceva, non lo mandava certo a dire. Quando Excelsior 1881 ha pubblicato un libro intervista curato da Rita Tripodi, che resta il suo ritratto più completo e coinvolgente, si indispettì per il titolo: "La danza, Tersicore adorata". A lei, nata in una Roma fascista da padre ebreo e madre cattolica uniti dall’agnosticismo, quell’aggettivo non andò giù: «In vita mia io non ho mai adorato nessuno!».