Edoardo Vigna, Sette 14/12/2012, 14 dicembre 2012
LA BANCA CHE VUOLE TOCCARE IL CIELO CON UN DITO
I milanesi l’hanno vista venire su, settimana dopo settimana. Da mesi, la torre più alta, con la punta a spirale, e i cristalli dei due palazzi che la circondano, attirano gli sguardi della città con ogni tipo di luce: si arrossano al tramonto, prendono il gelido grigio metallico della metropoli lombarda quando incarna il suo stereotipo. Ma ora ci siamo. La UniCredit Tower prende vita, da oggi le porte si aprono, e poi, soprattutto da marzo, i dipendenti cittadini dell’istituto di credito cominceranno a entrare. «È il progetto di punta di un processo globale di razionalizzazione degli immobili della banca in 25 città, italiane e non, che, con una riduzione degli spazi pari a 120 campi di calcio, complessivamente porterà un risparmio di circa 150 milioni di euro l’anno», spiega l’amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni. «Ma ha anche, come obiettivo, il miglioramento delle condizioni del lavoro dei colleghi. Ci sarà più integrazione, più condivisione, anche attraverso l’uso di tecnologie innovative. Con l’auspicio che un palazzo come questo rappresenti, con il suo slancio verticale, il rilancio di tutta la città di Milano».
Una prima cosa è certa. Ora che l’area è stata battezzata – nella corte centrale ci sarà la pista di pattinaggio “natalizia”, sul “modello” newyorkese del Rockefeller center (e già questo la dice lunga sulle aspirazioni “urbanistiche” del complesso) – è conclamato il fatto che queste Towers (sono tre) dilatano, in qualche modo, rendono ellittico il centro cittadino. Creano un secondo “fuoco”, oltre a quello del Duomo. Un nuovo perno, centrale anch’esso. «Avevamo la possibilità di una scelta più decentrata, opzione che peraltro stiamo adottando in altre città. Il progetto Garibaldi, però, intende rappresentare innanzitutto il simbolo di UniCredit nel mondo, e rafforzare così anche il senso di appartenenza di chi lavora per la banca».
Vi confluiranno 4mila persone oggi sparse in 21 palazzi milanesi, nel cuore del nuovo centro direzionale milanese, all’incrocio di linee metropolitane e ferroviarie. «Logistica a parte, che pure conta, qui c’è un altro aspetto importante, soprattutto in un momento come l’attuale. La nostra non è un’operazione che vuole portare gli uffici nel lusso, come si potrebbe pensare, a prima vista, osservando i grattacieli», continua Ghizzoni. «Questo trasloco (in affitto ventennale, ndr), con la riduzione di 55mila metri quadrati complessivi, comporterà un risparmio di 25 milioni di euro l’anno sui costi immobiliari e quelli di manutenzione: e ci permetterà, cosa tutt’altro che secondaria, di eliminare le inefficienze dovute ai trasferimenti delle risorse tra i vari uffici».
Vita comune. Creare un brand internazionale, risparmiandoci. Chi non ci metterebbe già così la firma? «Con questo trasferimento cambia tutto il concetto di organizzazione dello spazio. La riduzione degli uffici vale – tanto per cominciare – per tutti. Quelli del top management passano da 60 a 30-35 metri quadrati; gli altri si restringono da una media di 17 a 11. Ma ci sarà un netto miglioramento della qualità della vita e del lavoro attraverso la ridefinizione degli spazi comuni: aumenteranno le aree meeting e quelle con tavoli e ambienti di lavoro in comune, oltre a quelle per incontri informali e per il ristoro, presenti in ogni piano».
Nelle Towers dell’area Garibaldi non sono ancora molti i piani quasi finiti. Il 25° (sui 31 della Torre A, la più alta) è uno di questi. Le scrivanie bianco latte, con qualche tocco di rosso qua e là, i colori della banca («Alla fine si è deciso per una generale uniformità cromatica») disegnano isole di lavoro in un’area interamente open space. Pochissimi gli armadi, zero séparé, insonorizzazione massima, pavimento e soffitto. «L’obiettivo è avere così una migliore informazione reciproca», ragiona Ghizzoni. «Non come oggi, con uffici chiusi e lunghi corridoi: o si cammina avanti e indietro, oppure finisce che ci si isola. Perdendo ogni opportunità di sviluppare uno spirito di squadra. L’open space è una scelta che abbiamo voluto testare prima nella vecchia sede di Piazza Cordusio, nell’area finanziaria, non senza qualche perplessità iniziale da parte di molti. Ebbene, il feedback, a posteriori, è assai positivo. Non solo, con questa nuova definizione degli spazi cade la criticità verso gli altri. Alla base della scelta c’è la consapevolezza dell’importanza della condivisione. Faccio spesso incontri, in azienda, con 30-50 persone: è un momento di ascolto con altri colleghi, e mi accorgo che, dopo soli cinque minuti, vengono fuori ottimi spunti».
Bacheca. In fondo al piano, il palazzo crea un arco tutt’intorno all’asse della Spire, la torre a spirale disegnata dallo studio di architettura Hines, quella che si vede praticamente da ogni angolo di Milano (in cima non si sale, c’è solo una piccola scala di servizio interna): in questa area c’è un muro, dove campeggia la scritta My Wall, dipinto con una “vernice adesiva” color tortora: in questa specie di mega-bacheca si potranno appendere foto della squadra preferita, dell’ultima gara vinta ai campionati di sci per bancari all’Aprica, oltre che naturalmente calendari per corsi di formazione o comunicazioni di servizio. E qui, dove i vetri delle finestre disegnano un semicerchio (ci saranno spazi simili anche nelle altre due Towers, la B e la C), a ogni piano, ci sarà uno spazio comune che chi sta attrezzando il palazzo chiama “agorà”: quindi un ambiente, fra tavoli e lavagne, per parlare, scambiare idee, lavorare a piccoli gruppi. Come ai piani bassi, al 2° e 3 °, dove nasceranno bar interni e sale di lettura e relax.
«Un altro aspetto da sviluppare, in prospettiva, che stiamo sperimentando negli uffici milanesi di Lampugnano, è quello dello smartworking», aggiunge Ghizzoni. «Oggi, almeno in certi uffici, quelli in cui la gente viaggia, nel commerciale, per esempio, su 10 persone non sono sempre tutte presenti, 3 o 4 sono spesso in giro per incontri di lavoro fuori sede. Quindi l’idea, in linea con le best practices mondiali, è che saranno necessarie meno scrivanie, che verranno condivise. Tutti avranno un laptop: quando uno arriva, prende il tablet dal proprio cassetto personale, e occupa una scrivania. Quando finisce, richiude tutto nel cassetto. Una soluzione che si aggiunge alla tendenza a lavorare paperless. Senza carta. Archiviando, per quanto possibile, in una memoria digitale. In quest’ottica, un’ulteriore innovazione da valutare – per le funzioni compatibili – sarà poi il telelavoro, l’organizzazione del lavoro da casa già implementato in alcune aree del gruppo, a Lampugnano e in Germania in particolare».
Risparmio. Spazio, poi, alle tecnologie. Per comunicare, dalle videoconferenze al sistema Ocs, una specie di Skype “interno” per potersi anche guardare mentre si parla attraverso il computer. Ma anche per stampare: con il servizio Follow me, l’ordine di stampa – dopo aver schiacciato “print” sul computer – lo si darà, con un proprio codice, sulla stampante. E tutti i palazzi saranno dotati di sensori di presenza, cosicché l’illuminazione sarà modulata in funzione della luce necessaria, e si spegnerà automaticamente quando gli uffici si svuoteranno. «Il nuovo complesso», precisa Ghizzoni, che guida UniCredit dal 2010, «ci permetterà di ridurre di oltre il 40% le emissioni di CO2, pari a 7.500 auto in meno sulle strade di Milano». Quasi una tranche di ecopass... «Nella lotta per la sostenibilità, il risparmio energetico è forse ancora più importante dell’impianto di fonti di energia rinnovabili».
Il modello “Milano”, comunque, vale anche per il resto d’Italia e d’Europa. «Sta nascendo un grande centro direzionale a Vienna, che sarà per noi molto importante e sarà ben riconoscibile nell’architettura della città. A Monaco e Varsavia, la sede della banca viene spostata più fuori dal centro. Ma il piano di razionalizzazione è già operativo anche nelle sedi italiane», spiega l’amministratore delegato, che ha cominciato il suo lavoro in una filiale della banca, 32 anni fa, a Piacenza, dopo la laurea in Legge, e in tutti questi anni ha cambiato varie sedi, da Londra a Singapore, dalla Turchia alla Polonia.
Scelta industriale, sostenibilità e “spending review” a parte, la UniCredit Tower è soprattutto un simbolo. Certo, Piazza Cordusio fa parte della storia dell’istituto (uno dei pochi indirizzi d’Italia a essere diventato sinonimo dell’impresa stessa), e il vecchio palazzo resterà («Con la filiale, per il resto stiamo cercando di capire come utilizzarlo al meglio). Ma il nuovo grattacielo è il futuro. Da ogni parte degli uffici open space si vede, fuori dalle finestre a tutta altezza, un panorama notevole, dal Monte Rosa alla Pianura Padana (certo, nelle giornate più limpide). «L’ultimo piano della Torre A avrà spazi per incontri, meeting, eventi, e probabilmente la sala del consiglio. A scendere, ci saranno i consiglieri, il presidente, e il top management (nella sua, Ghizzoni porterà pochi ricordi personali, la foto di famiglia, quelle di alcuni momenti della vita nelle sedi all’estero e dello stadio Bernabeu la sera finale del Triplete dell’amata Inter, ndr). Anche qui, però, vale il principio di tutti, spazi più razionalizzati e ridotti con ambienti comuni maggiori».
Cambiamento. E che Milano vede, Ghizzoni, da lassù? «Una città che sta cambiando davvero. Per le gru, che sono tantissime, dalla ex Fiera a Sesto, ma non solo: ti rendi conto che ha una vitalità che non riesci a percepire dal basso». Di questa metropoli, l’UniCredit Tower – per il modo in cui impatta sulla città – si propone di essere un «nuovo segnale di una Milano che vuole il cambiamento»: «Vogliamo condividere la sfida per il suo rilancio», conclude l’ad dell’istituto. «Proprio per questo, intendiamo dilatare anche il concetto di banca, che sarà sempre più aperta. Nel progetto abbiamo voluto che gli edifici si guardassero, creando una sorta di agorà, di piazza comune – con Red Feltrinelli, uno spazio multifunzionale a piano terra e diversi negozi – aperta ai milanesi anche nel weekend, per incarnare l’inclusione della e nella città. L’edificio più basso del complesso di fronte alla Torre sarà un palazzo aperto: l’idea è di aprire un asilo per i figli dei dipendenti, ma anche degli abitanti del quartiere, e di creare spazi diversi, compreso un auditorium: disponibili ai clienti che magari vengono da fuori città e hanno bisogno di uffici, oltre che per la cittadinanza per incontri e mostre. A cominciare da quelle delle opere della collezione UniCredit, che conta in tutto 60mila pezzi ».