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 2012  dicembre 13 Giovedì calendario

BENIGNI IN TV TRUCCA LA COSTITUZIONE

[Roberto racconterà la Carta in prima serata Ma per rendere un vero servizio dovrebbe svelare su Rai Uno tutte le bugie che contiene] –
Benigni è un uomo pericoloso, una persona capace di tutto: saprebbe rendere divertente un articolo di Eugenio Scalfari, per dire. Temo quindi che col suo indubbio talento riuscirà a rendere simpatica perfino la Costituzione italiana. Milioni di telespettatori, lunedì sera, transumeranno su Rai Uno pensando di farsi quattro risate e invece subiranno un vero e proprio lavaggio del cervello.
Dietro i frizzi e i lazzi sarà nascosta una macchina del tempo che li trascinerà nel 1947, l’anno in cui con grande pompa venne approvata e promulgata la Sacra Cattocomunistica (più comunistica che catto, a rileggerla bene) Scrittura.
Ma perché il comico toscano non ha proseguito con la rivisitazione dei grandi classici della nostra letteratura? Quella sì che è un’opera meritoria. Dopo la Divina Commedia avrebbe potuto dedicarsi al Decameron, fra l’altro più nelle sue corde, e poi avrebbe potuto recitare il Canzoniere, un capolavoro che nessuno si fila più e che meriterebbe una nuova attenzione. Ma fra una manciata di settimane ci saranno le elezioni e né il sensuale Boccaccio (un liberale nato) né l’elitario Petrarca (un destro naturale) potrebbero aiutare Bersani a vincerle.
Meglio, molto meglio, riesumare la madre di tutte le menzogne della politica italiana degli ultimi sessantacinque anni, l’ipocrisia non incarnata ma incartata, lo stagionatissimo distillato delle vecchie correnti ideologiche che non vogliono mollare la presa anche se oggi anziché Dc di sinistra, Partito socialista e Partito comunista si chiamano semplicemente Pd, Partito democratico.
Me li sono riletti, i centotrentanove articoli della Costituzione più brutta e più prolissa del mondo, varata quando Berta filava e Nilla Pizzi cantava «Bongo bongo bongo / stare bene solo al Congo». Per centotrentanove volte mi sono domandato com’è possibile che l’Italia sia sopravvissuta, anche se non benissimo, a una simile collezione di bugie e di idiozie. Infine ho capito e, parafrasando Longanesi, mi sono risposto: «La democrazia italiana è una dittatura temperata dall’inosservanza della Costituzione ».
Ora mi permetterete di entrare nel merito di qualche articolo. Niente paura, non li analizzerò tutti: ne bastano pochi per gettare eterno ludibrio su Roberto Benigni e Shel Shapiro, il cantante anni Sessanta che, recentemente folgorato sulla via del Quirinale, è passato dalla corte di Rita Pavone a quella di Giorgio Napolitano esibendosi in un bolso rock di regime (coerentemente diffuso sul sito di Repubblica) il cui testo è costituito dai primi undici articoli della Carta costituzionale, siccome il senso del ridicolo se uno non ce l’ha non se lo può dare.
GLI ARTICOLI
Articolo 1. «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Tre bugie in un articolo solo, quasi una bugia a parola, un record da far impallidire il Pinocchio di Collodi. L’Italia non è tutta una Repubblica: geograficamente e storicamente e in parte linguisticamente sono Italia anche il Principato di Monaco e la Città del Vaticano, che per volontà di Dio repubbliche non sono e, mi auguro, non lo saranno mai. La Repubblica italiana è democratica per modo di dire. È nata fra i brogli (che comunque, a onor del vero, rappresentano una tradizione risalente almeno al 1860 e quindi pre-repubblicana) col referendum istituzionale del 1946. È cresciuta fra i brogli perché nei seggi elettorali la sinistra ha sempre avuto rappresentanti di lista più numerosi e più agguerriti del centrodestra e questo spiega tante cose, ad esempio il milione di schede nulle che nel 2006 ha consentito a Romano Prodi di prendersi Palazzo Chigi.
È invecchiata fra i brogli, che ormai aleggiano anche sulle primarie, come si evince dalle dichiarazioni preoccupate di Matteo Renzi. Sulla democraticità del colpetto di stato Monti-Napolitano, che ha portato alla presidenza del consiglio un signore del tutto sconosciuto agli elettori, lascio giudicare l’amico lettore mentre sull’ultima espressione, «fondata sul lavoro», preferisco tacere perché non voglio scadere nel turpiloquio, che è una specialità di Benigni, non mia.
Articolo 6. «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche».
Questo passo Benigni dovrebbe commentarlo anche in tedesco affinché sia compreso in tutto l’Alto Adige, dove la minoranza linguistica italiana è schiacciata dalla maggioranza germanofona (adesso, ad esempio, stanno eliminando i nostri toponimi dai cartelli stradali) senza che nel resto d’Italia a qualcuno venga in mente di dire bau.
Articolo 9. «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica ».
Purtroppo questa non è una bugia, è un’idiozia. I padri costituenti, uomini nati nell’Ottocento, non hanno previsto lo sviluppo dei trasporti e in generale delle comunicazioni. Grazie a questo articolo sconsiderato un miliardo e trecento milioni di cinesi, effettivamente privi di libertà democratiche, domattina potrebbero presentarsi alle frontiere e ottenere asilo politico. Un miliardo e trecento milioni.
Articolo 11. «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Balla ultrasonica. A meno che nel 1999 e nel 2011 i nostri aviatori non abbiano bombardato rispettivamente Serbia e Libia a titolo personale.
Articolo 15. «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili».
Balla repubblicana, in tutte le accezioni dell’aggettivo. Il quotidiano La Repubblica senza la sistematica violazione di questo articolo negli ultimi anni sarebbe uscito spesso a foliazione ridotta. Senza lo spiattellamento delle intercettazioni di Arcore e dintorni avrebbe perso anche molti lettori: insomma, applicare la Costituzione sarebbe attentare ai bilanci delle testate di sinistra.
Articolo 21. «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure ».
Articolo che vorrei fosse commentato da Alessandro Sallusti perché io questa bugia sesquipedale non l’ho pagata cara come lui: per aver espresso il mio pensiero sono stato soltanto querelato, mai arrestato.