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 2012  dicembre 14 Venerdì calendario

DIMINUISCE LA RICCHEZZA CRESCE LA DISEGUAGLIANZA

[Il rapporto Bankitalia sulle famiglie ci riporta ai livelli dei primi Anni Novanta Il 10% ha in mano il 50%, ma siamo meno indebitati degli altri europei] –
La ricchezza delle famiglie italiane è precipitata ai livelli dei primi Anni Novanta. Detto altrimenti, le case, le azioni societarie, i Bot o i depositi che erano in mano agli italiani alla fine del 2011 sono più o meno quelli di vent’anni fa, quando era da poco caduto il Muro di Berlino e Silvio Berlusconi doveva ancora scendere in campo. E si tratta soprattutto, come ha reso noto ieri la Banca d’Italia nel suo consueto rapporto sulla «Ricchezza delle famiglie italiane», di beni e patrimoni molto mal distribuiti. Quasi la metà di tutte le ricchezze del Paese è in possesso al 10% più facoltoso. Una tendenza che con la crisi è peggiorata.

In particolare, l’aumento delle diseguaglianze si è tradotto in una quota di ricchezza in mano al decimo più benestante, che è passata dal 44,7% dell’anno precrisi 2008, al 45,9% del 2010. Diminuisce, per contro, la percentuale detenuta invece dalla metà più povera del Paese: dal 9,8% si scende al 9,4% alla fine del 2010. «La distribuzione della ricchezza - chiosa la Banca d’Italia è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata».

Anche se si entra nei dettagli e si guarda alle tipologie dei beni che costituiscono questa ricchezza, emerge che in vent’anni è cambiato poco. Gli italiani continuano ad affidarsi principalmente alla casa come fondamento del loro benessere.

La ricchezza complessiva delle famiglie vale 8.619 miliardi di euro, circa 140 mila euro pro capite o 350 mila euro in media per ogni famiglia. Due terzi di questi beni sono composti da cosiddette «attività reali», cioè abitazioni e terreni (è il 62,8% del totale), mentre il resto è suddiviso tra proprietà finanziarie come depositi ed azioni.

Delle prime, l’84% è rappresentato dalla casa - una quota aumentata di tre punti in un decennio - che tradotto in euro significa che ogni famiglia può contare su 200 mila euro di ricchezza immobiliare. Alla fine del 2011, altro dato fornito dagli economisti di via Nazionale, le passività finanziarie degli italiani ammontavano a 900 miliardi di euro. In altre parole, avevano mutui e prestiti pari al 9,5% della ricchezza.

Restringendo l’analisi temporale, prendendo a riferimento i cambiamenti avvenuti tra un anno e l’altro, tra il 2010 e il 2011, la ricchezza degli italiani è scesa del 3,4% netto. Sono aumentate in particolare le attività reali dell’1,3%, mentre sono calate quelle finanziarie, del 3,4%. E le passività sono salite, in dodici mesi, del 2,1%. Secondo le stime preliminari della Banca d’Italia, i primi sei mesi del 2012 saranno ancora all’insegna del calo di mezzo punto. E se torniamo all’anno in cui è scoppiata la grande bolla finanziaria americana che ha messo in moto l’interminabile crisi attuale, il 2007, la ricchezza degli italiani ha subito un calo del 5,8%.

Facendo ancora un passo indietro all’inizio di questo decennio, via Nazionale mette in evidenza anche una crescita di famiglie con ricchezza netta negativa. Era il 2,8% nel 2010, ma «in lieve ma graduale crescita dal 2000 in poi».

Quanto al confronto internazionale, l’Italia registra un livello di diseguaglianza dei beni e patrimoni tra le famiglie piuttosto contenuto, anche rispetto ai soli Paesi più sviluppati. E anche nel paragone della ricchezza netta l’Italia non sfigura affatto.

Emerge dal rapporto che nel confronto con le altre nazioni mostriamo «un’elevata ricchezza netta, pari nel 2010 a otto volte il reddito disponibile», contro l’8,2 del Regno Unito, l’8,1 della Francia, il 7,8 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 5,3 degli Stati Uniti.

Le famiglie italiane risultano anche «poco indebitate», se si fa il paragone con l’estero. I debiti ammontano al 71% del reddito disponibile. In Francia e in Germania è circa il 100%, negli Usa e in Giappone raggiunge il 125%, nel Canada il 150%. Nel Regno Unito la vetta del 165%.