Claudio Colombo, Corriere della Sera 13/12/2012, 13 dicembre 2012
IL SOFTWARE CHE FUNZIONA OVUNQUE TRANNE CHE SUI TRENI LOMBARDI
La domanda delle cento pistole è questa: com’è possibile che un sofisticato software costato un milione e mezzo di euro funzioni regolarmente a Madrid e a Bogotá, in Francia e in Inghilterra, in ogni condizione di tempo e luogo, e non nella ricca, precisa, laboriosa Lombardia? Com’è possibile che un blackout informatico possa aver creato quel caos indescrivibile che i 700 mila lavoratori pendolari lombardi — cronicamente abituati a disservizi diffusi, ma non a cataclismi di questo tipo —, hanno vissuto e stanno vivendo in questi giorni di vigilia natalizia?
Tra proteste, liti, tensioni, minacce di class action, blocco dei binari, e persino arresti (l’ad di Trenord, Giuseppe Biesuz, ai domiciliari per altre vicende, ma in un momento sbagliatissimo), le rotaie lombarde si sono arroventate e i lavoratori pendolari, fumanti di rabbia per il terzo giorno consecutivo, attendono risposte. Che ci sono, senza essere però soddisfacenti, e ripropongono sullo sfondo di viaggi allucinanti il tema asimoviano dell’affidabilità e delle debolezze dell’intelligenza artificiale nel momento in cui viene delegata a governare le attività dell’uomo.
In realtà, la domanda delle cento pistole un dettaglio sicuro lo fornisce, e da qui si deve partire: non è colpa del software spagnolo (denominato Goal Rail) se i treni lombardi sono piombati nel caos, ma di chi ne ha gestito l’applicazione in Trenord, l’azienda che da tre anni governa il trasporto ferroviario in Lombardia. L’aggiunta di concause e di sfortunate coincidenze hanno poi aggravato la situazione, fino a portarla al collasso di questi giorni: linee soppresse, disguidi, ritardi anche doppi rispetto al tempo di percorrenza.
Ma andiamo per ordine. Goal Rail, per cominciare: da Madrid, sede della Goal Systems, creatrice e proprietaria del programma, fanno sapere che tra i loro 93 clienti internazionali — ferrovie, linee aeree, autobus, metropolitane — non si sono mai registrati problemi complessi o malfunzionamenti. Tradotto in parole povere, significa una cosa: che l’errore nasce a valle, cioè qui, in Lombardia, la regione leader dell’informatica italiana, con la quota-mercato del 44 per cento tra le imprese di elaborazione dati e del 40 tra quelle che producono software.
Trenord ha acquistato Goal Rail alla fine del 2011. I test sono cominciati all’inizio del 2012. Dal 9 dicembre, il programma è entrato a regime. Sperimentazioni troppo blande in un tempo troppo limitato? Può essere. Il software è un database che incrocia tre tipologie di dati: nel caso di Trenord 2.300 corse ogni giorno, 330 treni, 2.700 addetti tra macchinisti, capitreno e manutentori. Elabora questi dati in un «n» numero di variabili: orari di arrivo e partenza di un treno, coincidenze nelle stazioni, treni che possono viaggiare, convogli in riparazione, turni di lavoro dei dipendenti, riposi, ferie, permessi e malattie. È una serie di dati che viene fornita al «cervellone» sia dall’ufficio produttività (che governa i treni), sia dall’ufficio personale (che regola il lavoro dei dipendenti). Il 9 dicembre, è partito il piano-turni che durerà fino a Natale. Che cos’è accaduto, allora? I tecnici informatici di Trenord, nell’elaborare le variabili, avrebbero incrociato non perfettamente i dati, creando una asincronia tra lavoratore e mezzo. Esempio. Il macchinista Mario Bianchi ha in mano la tabella dei suoi turni: vi è indicato che oggi deve prendere servizio alle 7, alla stazione Porta Garibaldi di Milano, per guidare il treno numero X in partenza al binario Y alle 7.30 e diretto a Lecco. Sulla tabella che regola i treni, invece, il macchinista Mario Bianchi risulta essere in servizio alle 8 a Varese, per guidare il treno numero Z in partenza alle 8.30 diretto a Milano. Da Asimov si passa direttamente a Kafka: è successo, succederà ancora. E basta moltiplicare questa situazione per 2.300 corse al giorno per capire come sia scoppiato il caos.
Questa situazione si ingarbuglia ancor di più con l’entrata in vigore, il primo dicembre, del nuovo contratto di lavoro e, altra sfortunata coincidenza, con l’orario invernale scattato domenica 9 (62 corse e 21.700 posti passeggeri in più). Il nuovo accordo, architettato dall’ormai ex ad Biesuz e firmato da tutte le sigle sindacali eccetto l’Orsa (mille iscritti su 4.100 dipendenti Trenord), fa leva su un aumento della produttività del 20%, ottenuto con l’incremento delle ore di lavoro in ogni singolo turno — e senza assumere nuovo personale — fino a un massimo di 10 ore e mezza. Tra un turno e l’altro, però, esiste l’obbligo di legge che impone un intervallo di riposo di 11 ore. Ecco perché questa nuova modulazione dell’orario di lavoro ha impedito di richiamare nelle ore della grande emergenza macchinisti e capitreno in quel momento fuori servizio. Uscire da questa situazione in tempi brevi è possibile? Sì, resettando completamente il «cervellone», ma questo significherebbe fermare completamente i treni per più giorni, un’ipotesi ovviamente impraticabile perché vorrebbe dire incorrere nel reato di interruzione di servizio pubblico.
Le strade percorribili quindi sono due: rimodulazione «chirurgica» e graduale del software, oppure ritorno al vecchio sistema (ci si sta pensando seriamente). Ma quanto rallenterà la soluzione del problema il fatto che Trenord sia stata decapitata dalla Procura di Milano con l’arresto di Biesuz? In attesa di nominare il nuovo top manager, l’azienda ha messo in campo una task force, della quale fanno parte anche due tecnici di Goal Systems, per accertare le responsabilità di questo tracollo. Ma ai 700 mila pendolari lombardi bisognerà poi dare altri tipi di risposte: entro quanto tempo i treni partiranno e arriveranno negli orari previsti; se, come e quando saranno risarciti per l’odissea di queste ore e per la miriade di disservizi quotidiani spalmati su 365 giorni all’anno; quando potranno salire, finalmente, su convogli degni di un Paese europeo.
Claudio Colombo