Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  dicembre 13 Giovedì calendario

IL CAVALIERE NON CANDIDA DELL’UTRI

«Ci spiace ma non possiamo inserirlo nelle nostre liste». La crepa nella grande amicizia Berlusconi-Dell’Utri si apre ufficialmente con queste parole. Pronunciate dal Cavaliere al plurale e precedute da un «non possiamo permetterci di candidarlo».
Ma come? Quell’amicizia nata nel 1961, l’epopea di Publitalia trasformata da macchina per soldi a partito che sconfigge la sinistra e le intemperie giudiziarie superate assieme. Tutto liquidato così: «Nel caso di Dell’Utri è un’ingiustizia», dice solo Berlusconi. Prima l’onore delle armi: «È un uomo di cultura, lo conosco dai tempi dell’università, ha fatto tanto per Forza Italia e quelle dei magistrati sono accuse infondate». Ma poi arriva la resa: «Non possiamo candidarlo».
Dell’Utri non l’ha presa bene. Aveva appena dichiarato alla Zanzara: «Ho intenzione di ricandidarmi perché sono ancora perseguitato. Voglio lottare fino all’ultimo sangue, spero degli altri. Mi candiderò con Berlusconi». Invece, a stretto giro, ecco l’addio di Silvio. Lui ha subito reagito: «Dovremo chiarire». Poi ha affidato all’Ansa una risposta che interpreta le parole di Berlusconi come il semplice frutto di un equivoco: «Tutto nasce dal fatto che io circa un mese fa gli avevo comunicato la mia intenzione di non candidarmi. Poi però ci ho ripensato e non ho avuto modo di comunicarglielo. Ora gliel’ho detto e lui mi ha risposto che non ci sono problemi». E ancora: «Non c’è motivo perché dica "no"».
Tecnicamente, infatti, Dell’Utri è candidabile anche se dovesse passare la norma sulle liste pulite (che comunque è ostacolata, dal Pdl, in una melina parlamentare). Ci sarebbe il rischio di decadenza dall’incarico in caso di condanna, ma resta il salvagente del voto parlamentare che potrebbe impedirlo. Altre ragioni Dell’Utri non intende sentirle. Anche perché l’addio ad una poltrona in Parlamento per lui, in caso di un’eventuale condanna per il procedimento di concorso in associazione mafiosa rinviato al processo di secondo grado, potrebbe significare un rischio grave. Un precedente c’è. È quello di Cesare Previti. E non fa ben sperare.
Vedremo nelle prossime ore come finirà. Se reggerà o meno la versione dell’equivoco. Certo che Dell’Utri non sia gradito nelle liste del Pdl lo aveva fatto già capire Angelino Alfano, definito dal senatore pdl «senza attributi». «Dell’Utri? È un povero disgraziato per ciò che gli sta succedendo. Parla a ruota libera permettendo di pensare che il suo sia il pensiero di Berlusconi e gli nuoce», aveva attaccato Alfano invitando Berlusconi a una riflessione sulla composizione delle liste. Dell’Utri ieri ha rincarato: «Alfano come segretario è stato il nulla. Non ha avuto il coraggio di dire niente, non ha detto una parola su Ingroia. Come diceva il Manzoni, se uno non ha il coraggio non se lo può dare».
Virginia Piccolillo