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 2012  dicembre 13 Giovedì calendario

I MANOSCRITTI DI PUCCINI CHE CAMBIANO LA BOHÈME

PUCCINI torna dal passato, come un fantasma inesauribile, per consegnarci nuovi frammenti del suo universo musicale. Grazie a un documento autografo emerso da una collezione privata, la storia della gestazione di Bohème assume oggi una nuova luce. Si tratta di un foglio inedito di schizzi.
Un foglio appartenente ad Antonio Giuseppe Naccarato, professore di anatomia patologica a Pisa, il quale ora lo ha affidato (in comodato gratuito per un decennio) alla Fondazione Puccini, che a partire dal mese prossimo lo esporrà a Lucca, nella casa natale del compositore, divenuta un museo gestito dalla stessa fondazione. Ci sarà anche una presentazione ufficiale del ritrovamento, sabato prossimo (alle 17 e 30) al Teatro del Giglio di Lucca, con gli interventi di specialisti quali Virgilio Bernardoni e Dieter Schickling, e la partecipazione di due maestri del podio di differenti generazioni, cioè l’emerito Bruno Bartoletti e l’emergente Nicola Luisotti.
Graficamente pieno sia sul fronte che sul retro, il manoscritto pucciniano reca una data, 19 giugno 1893, capace di dimostrare che “la stesura iniziale di Bohème risale a un anno prima di quanto s’era pensato sino ad ora”, spiega Gabriella Biagi Ravenni, direttrice della Fondazione Puccini, sottolineando la rilevanza musicologica della scoperta. “Soltanto pochi abbozzi della
Bohème si conoscevano finora”, aggiunge. “Tra l’altro, nel medesimo periodo, Puccini stava lavorando al progetto de La lupa, ispirato a Giovanni Verga, che abbandonò nell’estate del 1894. E’ il motivo per cui si era creduto che avesse cominciato ad affrontare Bohème solo allora. Invece l’autografo che metteremo in mostra testimonia una genesi diversa: poco dopo aver ricevuto dai librettisti Illica e Giacosa la stesura del primo atto, Puccini prese a fissare sulla carta alcune idee melodiche, armoniche e persino strumentali di quella che sarebbe diventata una delle sue opere più popolari”.
Gli appunti riguardano le prime parole cantate della
Bohème, subito dopo l’apertura del sipario. L’avvio della vicenda è incorniciato dalla vigilia di Natale e dal freddo di un ambiente povero e bohèmien, nel quale Puccini riconosceva molto il proprio destino di artista in cerca
di affermazione (anche se Manon Lescaut, rappresentata a Torino nel febbraio del 1893, gli aveva già dato un discreto successo). Il pittore Marcello, che sta dipingendo il Mar Rosso, e il poeta Rodolfo, cercano di scaldarsi con la fiamma di un caminetto che tengono acceso bruciando le proprie sedie, e addirittura il poema scritto da Rodolfo.
La documentazione autografa offre il canto iniziale di Marcello incluso in questa prima scena, proprio la melodia con le parole. E sulla facciata anteriore del foglio, al di sotto di una sequenza di note, si legge: “leitmotif di Rodolfo. Oppure di Mimì. Buono ma credo vecchio”. Infatti quel brano, nella partitura definitiva, non sarebbe stato utilizzato. E’ interessante anche notare come, nella prospettiva bohèmienne del musicista, Rodolfo e Mimì fossero personaggi intercambiabili, assimilati in un’unica identità ambivalente.
L’ultimo schizzo del foglio è un tempo di valzer: Puccini sembra quindi aver pensato di usare un tempo di danza nel primo quadro, cosa che in seguito avrebbe deciso di non fare. L’appunto riporta la dicitura “Tempo di valse”, scritta alla francese, e pare la base di un pezzo che fiorisce invece nel terzo quadro, quello centrato sulla malattia mortale di Mimì. Supremo emblema sonoro dell’età borghese, il valzer, con Bohème, entra nell’immaginario pucciniano come elemento compositivo d’importanza primaria. E’ uno degli aspetti più rivelatori e innovativi della Bohème ritrovata.