Enrico Franceschini, la Repubblica 13/12/2012, 13 dicembre 2012
LONDRA COME L’AMERICA I BIANCHI IN MINORANZA
L’homo Britannicus va in minoranza nella sua capitale. Per la prima volta nella storia, i bianchi britannici non sono più la maggioranza della popolazione di Londra. Bastava guardarsi attorno per percepirlo, vedendo i colori della gente, ascoltandone l’accento.
Adesso la conferma viene dal censimento 2011: i
white british sono scesi negli ultimi dieci anni dal 58 al 45 per cento del popolo londinese. Restano il gruppo etnico più numeroso, ma tutti gli altri messi insieme, il caleidoscopio di razze, dialetti, religioni che compongono la più multietnica metropoli della terra, sono la nuova maggioranza: asiatici, africani, est europei, caraibici, sudamericani e anche bianchi arrivati dall’altra sponda della Manica, francesi, italiani, tedeschi. Questa miscela di passaporti, lingue e culture è il 55 per cento della città, e continua a crescere.
I wasp, white anglosaxon protestant, come si chiamavano un tempo, pallidi residenti che si sentivano padroni di casa, sono destinati a essere sommersi dalla formidabile onda dell’immigrazione e da un più alto tasso di nascite fra “colorati” e stranieri.
Da un pezzo, in realtà, Londra è una macedonia multiculturale: «Quel grande pozzo nero dal quale tutti gli sfaccendati dell’Impero vengono irresistibilmente inghiottiti», la definiva il dottor Watson, poco prima di incontrare Sherlock Holmes, nel primo romanzo di Conan Doyle (Uno studio in rosso, 1881). Una «moderna Babilonia», la chiamava il primo ministro britannico Benjamin Disraeli più o meno negli stessi anni. «London calling to the faraway towns», cantavano i Clash un secolo più tardi. Il British Empire, il più grande impero della storia, ha attirato a lungo i popoli delle colonie verso la metropoli al suo baricentro, e i popoli del Commonwealth dopo la decolonizzazione. Ma negli ultimi quindici anni, dall’avvento al potere di Tony Blair nel 1997, le porte all’immigrazione si sono spalancate come mai prima, anche grazie alla globalizzazione, a comunicazioni e trasporti migliori e più economici (da Skype per telefonare alle compagnie aeree a basso costo per viaggiare). Tra il 2001 e il 2011, secondo il censimento, 4 nuovi milioni di immigrati sono sbarcati in Inghilterra e buona parte si è fermata nella capitale. Immigrati di ogni genere: ricchi e poveri, in cerca di un salario o di un’università, dall’Europa o dalle nuove economie emergenti. Un flusso che i conservatori vorrebbero chiudere o restringere, timorosi di perdere posti di lavoro e identità: senza rendersi conto che «l’immigrazione è una ricchezza » (dice Blair) e la vecchia identità british è ormai obsoleta come i businessmen in bombetta e ombrello.
Il censimento indica che gli asiatici sono il secondo maggior gruppo etnico della capitale (18 per cento), seguito dai neri (13%). Rivela che Londra ha la più alta percentuale di musulmani, indù, ebrei e buddisti di ogni città britannica (e forse mondiale); ma ha anche un milione e mezzo di atei, la maggior percentuale di laureati, il minor numero di proprietari d’auto (per forza, con 3 milioni di passeggeri al giorno sul metrò e 4 milioni sui bus). Ma il dato più illuminante sul cambiamento, che in prospettiva aspetta tutta l’Europa, tutto l’Occidente, è l’Homo Britannicus in minoranza. Bye-bye, bianco inglese. Welcome sul Tamigi, resto del mondo.