Malcom Pagani e Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 12/12/2012, 12 dicembre 2012
POLITICA BATTE SPETTACOLO: LA RAI RINVIA SANREMO
[La 63esima edizione del Festival cade in campagna elettorale: i partiti impongono lo slittamento a marzo] –
Idea geniale. Sopprimere il Festival di Sanremo. Spostarne le date in avanti. Tumularlo perché non offuschi i messaggi al Paese di partiti, movimenti e reincarnazioni divine.
Dopo giorni di tormentato terrore, l’hanno fatto. Decisione comune. Politici e dirigenti Rai in zelante ascolto di Radio Montecitorio. Nel pensatoio di Viale Mazzini cercano ancora le parole per comunicarlo al pubblico pagante, ma indietro non si tornerà. Deciso. Ratificato. Vidimato. Festival a marzo, a tre settimane dal voto; dopo mezzo secolo di dirette a febbraio abili a schivare i colpi di Vietnam, Guerra Fredda, Libia, Iraq, terrorismo e contestazioni, ma cadute su una ragion di Stato debole, malferma, spaventato dalla sua stessa irrilevanza.
SONO SOLO canzonette, non di rado modeste, ma fanno paura. Dilemmi esistenziali: e che succede se un testo rimanda ai precari? E che succede se un ritornello dedicato ai fiori rossi ricorda le rivolte di Praga e la ribellione ai regimi comunisti? E che succede se uno stornello rivendica le unioni di fatto? Meglio ascoltare a urne chiuse. A distanza di sicurezza dal disimpegno, a chilometri luce dai rischi di un virus che s’introietta nei palinsesti: la concomitanza con le tribune elettorali. Chi le avrebbe viste? Messi gli spettatori sulle dita di una mano e incapaci di elaborare l’unica vera idea rivoluzionaria sul tema (cioè abolirlo), il presidente Anna Ma-ria Tarantola e il dg Luigi Gubitosi, soldati catapultati da Mario Monti in territorio nemico che familiarizzano e comprendono il potere berlusconiano, si sono accontentati di rimandarlo.
Aiutati dal velato calembour di Luciana Littizzetto (“Berlusconi hai rotto il cazzo”) e stimolati a dovere da Fabrizio Cicchitto in atletica provocazione fin dalle prime ore del mattino: “La situazione attuale pone il presidente della Rai e il Dg davanti a enormi responsabilità”.
Tarantola e Gubitosi hanno preso nota senza dubitare. Il diluvio di avvertimenti firmato Cicchitto non poteva passare inosservato, poiché nel girone di nomine e promozioni ha contato moltissimo: “Fra poco tempo scatta la par condicio. Però, proprio alla vigilia delle elezioni, il Festival di Sanremo previsto per il 12-16 febbraio sarà guidato da due personalità come Fazio e la Littizzetto che non sanno dove stia di casa l’imparzialità. Si stanno esibendo con toni marcatamente di parte e domenica la Littizzetto ci ha fatto capire quello che ci aspetta”. E il capogruppo del Pdl a Montecitorio si è dimenticato di citare Roberto Saviano. Bastano un paio di righe riversate nelle agenzie di stampa che i partiti, sempre attenti a replicare o rettificare, si schierano taciturni con Cicchitto. Il silenzio dell’intero arco costituzionale. La rimozione coatta conviene a tutti. Democratici di destra e di sinistra, fautori di nuovi centri e centrismi, non hanno esalato un verbo pur di fermare la rottamazione di una tradizione canora e nazional popolare. Con sincronia perfetta e ritrovata unità nazionale, infatti, il resto del palazzo ha preferito tacere.
SE IL MESSAGGIO non fosse già abbastanza chiaro, e sintomatico di un’urgenza che non si poteva ignorare, il redivivo consigliere Antonio Verro ha svegliato l’azienda: “Credo che si debba porre il problema di un’eventuale sovrapposizione tra elezioni politiche e Festival di Sanremo”. Nel pomeriggio, Verro intravedeva il traguardo: “Si va verso la direzione che io ho indicato per primo”. Lo spettacolo non regge, la politica lo batte. E la politica avrà il suo spettacolo con le tribunette che espongono i candidati imbalsamati su curiosi trespoli che viale Mazzini recupera dai magazzini per l’occasione. Lustrini sacrificati a una politica in disarmo. Un sillogismo sinistro. Un inno alla meno fantasiosa delle burocrazie. Il suono sbagliato. Tradotto nel carcere di massima sicurezza del grottesco, Sanremo verrà liberato su cauzione a inizio marzo, forse il 4, nello stesso giorno del ’43 in cui Lucio Dalla, proprio nella città dei fiori, aveva immaginato uomini parlare altre lingue. Ora che la politica tenta disperatamente di riannodare se stessa, anche il nazional-popolare, l’oppio di ieri, l’anestetico preferito da 30 milioni di cittadini, si è trasformato in un pericoloso agente eversivo, in farmaco eccitante, sul tavolo deserto rimangono solo le spine.
UN TEMPO, per dar spazio e luce al Festival su Rai 1, la televisione, privata o pubblica, si ritirava e spegneva tutto. Adesso, il sipario viene cucito per la politica. Sanremo si fa da parte. I contratti già firmati, la convenzione con il comune per marchio e affitto dell’Ariston (sette milioni di euro più i migliori investimenti del 2013), l’allucinata reazione di discografici e star internazionali che avevano già fissato cachet e permanenze liguri. Tutto saltato. Tutto da rifare. Nessun Bartali all’orizzonte. Solo gregari, fantasmi, paracarri.