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 2012  novembre 24 Sabato calendario

LE DISCESE E LE RISALITE

Un’emozione fra le più vive nello sport è scoprire un giovane talento, ma non ha meno fascino rispolverare le qualità di un veterano. Un veterano che pareva perso. Nello sci la notizia più bella della stagione all’alba è l’aver ritrovato Manfred Moelgg, arrivato secondo nel gigante di apertura di fine ottobre a Sölden, in Austria, e quarto a 12 centesimi di secondo dal podio nello slalom di Levi, in Finlandia, l’ultima gara disputata, pur partendo dalle retrovie, quando la pista era già ferita dai passaggi precedenti. Manfred, trentenne ladino di San Vigilie di Marebbe, la scorsa stagione pareva perso, confuso nel mucchio di un gruppo che non ha le sue qualità, incapace di mostrare quelle peculiarità che in poche gare, dieci stagioni fa, lo imposero all’attenzione generale. Lo sci alpino è una disciplina bislacca. Non basta allenarsi come cani: per vincere è necessaria la concomitanza di tanti fattori, dai materiali alla fiducia in se stessi, a quel pizzico di fortuna che in uno sport di centesimi di secondo divide la vittoria dalla sconfitta. Moelgg è risorto, l’ha fatto con due ruggiti carichi di promesse, non solo per la Coppa del Mondo appena partita, ma soprattutto in vista dei Mondiali di febbraio a Schladming.
Moelgg, qual è il segreto di una resurrezione?
«Il non mollare mai, anche nei momenti più bui. E soprattutto rimanere tranquillo, non mettere in dubbio le certezze. Per risalire la china ho lavorato sui particolari, con l’aiuto del nostro allenatore, Jacques Theolier, ho cambiato il mio modo di sciare. Non è facile quando hai trent’anni modificare gesti che hai attuato per diverse stagioni, ma così ho ritrovato in pista le sensazioni dei giorni migliori».
Che cosa è cambiato sulla neve?
«Ho cercato di imparare una curva più rotonda per avere più continuità di azione, per alzare meno neve a fine curva. Da quanto ho potuto testare in queste due prime gare, è la strada giusta. Lo scorso anno per cercare accelerazioni continua- vo a strappare, non era producente».
Che cosa le era successo la scorsa stagione?
«Era inutile dirlo ai quattro venti, ma soffrivo di mal di stomaco, non stavo bene, non ho sempre potuto allenarmi come avrei dovuto».
I sette ritiri su dieci slalom quanto le pesarono?
«Beh, quando i ritiri sono sette su dieci gare e in precedenza invece erano stati sette su 50 gare, qualche dubbio ti viene. Però anche nei giorni più difficili partivo per vincere, attaccavo al massimo. Anche per questo la percentuale di errori è stata alta. Non trovavo la sciata, ma non ho mai smesso di cercarla».
Lei prima parlava di sensazioni. Ci descrive che cosa si prova quando all’improvviso la lampadina si riaccende?
«È difficile da spiegare, è uno stato d’animo di benessere. Ti senti leggero, veloce, in perfetta armonia con la neve, con i tuoi materiali, con il panorama che ti circonda. È tutto il contrario di quando non va, quando avverti la fatica, quando ti sembra di essere incollato alla pista».
A 30 anni non è facile risalire la china.
«Ma non è la prima volta. Nel 2007, ad esempio, l’anno in cui ai Mondiali di Are conquistai l’argento dello slalom, da una stagione avevo un mal di schiena insopportabile. La prima gara partii con il numero 60, a dicembre in Alta Badia addirittura con il 64, quindi il 58 ad Adelboden. Ma lì, a gennaio, ricominciò la risalita. A Kitzbuehel avevo già il 23 ed ero sulla strada buona per i Mondiali di Garmisch».
Si è mai sentito vecchio?
«Sinceramente no. Anzi, sento qualcosa meno della mia età anagrafica. Non ho mai subito gravi incidenti e, siccome nello sci a contare più dei muscoli è soprattutto la testa, è lì che non devi inciampare, non ti devi creare dubbi inutili. Ad esempio, in allenamento non è facile quando di che i compagni ti saltano davanti, ma sono proprio queste le situazioni in cui non devi lasciare spazio alla depressione. Poi, forse, come è successo a me, capisci che attorno hai una squadra fortissima e che certe legnate quando ci si prepara in famiglia possono essere solo salutari, ti costringono a pensare per migliorarti».
Che differenza c’è fra un podio conquistato adesso rispetto a dieci anni fa?
«La spensieratezza. Quando sei giovane, se hai feeling fai tutto per istinto. La cosa difficile è riconfermarsi, quando senti gli occhi della gente sulla pelle. Ora è tutto più ponderato. Ma salire sul podio di Sölden dove nessuno mi pronosticava o sfiorare il podio a Levi è stato stupendo, sia perché ritorni nella considerazione generate, sia perché dimostri a tè stesso che era giusto crederci».
Però la sensazione è che lei, per il talento che la natura le ha dato, abbia vinto poco.
«No, sono contento di quello che ho fatto finora nella mia carriera. Due medaglie ai Mondiali, una Coppa dì specialità, certo, due sole vittorie nelle gare di Coppa del Mondo. Ho perso diversi successi per colpa mia, per errori che ho commesso, a volte ci vuole anche un po’ di fortuna, ma non voglio guardare indietro».
La gente si chiede perché non abbia mai pensato alla velocità.
«Ho anche provato e, sopratutto in superG, non andavo male, ma erano gli anni del mal di schiena feroce e per gareggiare in quattro specialità avrei tralasciato allenamenti nelle prove tecniche. Ho fatto delle scelte per non rischiare di essere mediocre in tutto».
In Coppa del Mondo c’è pure sua sorella Manuela. Anche lei ha vinto meno di quanto si aspettasse.
«È condizionata dal mal di schiena, ma è una dura, una che non molla, appena starà bene sono sicuro che tornerà a essere protagonista. Siamo sempre stati molto uniti, com’è nella cultura della nostra famiglia. La famiglia per noi è una cosa importante: si può anche litigare, ma hai sempre qualcosa che ti unisce».
Lei un pezzo di famiglia se l’è portato in squadra: ha preso come skiman il fratellino Michael.
«Non è stata una scelta facile, ma non ho mai avuto dubbi sulle sue qualità. Nell’ultima gara, a Levi, sono stato contento anche per lui, visto che, oltre ai miei sci, prepara quelli di Patrick Thaler che si è piazzato quinto. Insemina, Michael è arrivato due volte ai piedi del podio. Avere un fratello in squadra ha oro e contro. L’inizio non è stato facile, ma ormai sono tre anni che mi assiste e ogni giorno apprezzo sempre di più la sua professionalità. Ma lo sapevo, è un Moelgg, non c’è difficoltà che lo spaventa, non molla mai».