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 2012  dicembre 12 Mercoledì calendario

Gigolò, asceta e soldato La tripla vita di Fermor - Nel 1956 il quarantu­nenne Patrick Leigh Fermor, fresco scrit­tore di successo ed eroe della Seconda guerra mon­diale, riuscì a farsi invitare in ca­sa di William Somerset Mau­gham

Gigolò, asceta e soldato La tripla vita di Fermor - Nel 1956 il quarantu­nenne Patrick Leigh Fermor, fresco scrit­tore di successo ed eroe della Seconda guerra mon­diale, riuscì a farsi invitare in ca­sa di William Somerset Mau­gham. Ottantenne mostro sa­cro della letteratura inglese, Maugham viveva nella Ville Mauresque di Cap Ferrat: era ombroso, suscettibile, balbu­ziente. La giornata fu piacevole, Fermor talmente brillante e edu­cato che il pa­drone di casa, conquistato, lo invitò a re­stare da lui per qualche gior­no. Arrivò l’ora di cena e, fra una pietan­za e l’altra, Paddy non tro­vò di meglio che racconta­re di un suo amico che bal­bettava, rifar­gli il­verso pen­sando di far ri­dere, provoca­re il silenzio fra gli ospiti e rovinare la se­rata. «Aaarri­vederci » gli disse poi il pa­drone di casa: « Qqqquando domani mm­ma­ttina mi ss­sveglierò, lei sarà gggià andato via». Il giorno dopo ci fu chi cercò di ricucire la situazione. Signo­rilmente Maugham acconsentì a una colazione riparatoria, do­ve lui balbettò a volontà e Leigh Fermor, conversatore compul­sivo, non spiccicò che qualche sillaba. «Un gigolò di mezza età per donne dell’upper class» sa­rà da allora la descrizione che il primo diede del secondo. In questo quadretto grottesco c’è,al meglio e al peggio,il ritrat­to di chi fu Fermor (1915-2011), seducente e, suo malgrado, indi­sponente, divertente, emotivo e gaffeur , attratto dal mondo di ie­ri, ma al fondo incapace di ri­spettarne le più elementari con­venzioni, innamorato di se stes­so e perciò disattento nel con­fronto con gli altri. Per certi ver­si, anche il giudizio di Mau­gham, romanziere e uomo vele­noso come pochi, ha la sua par­te di verità. Gigolò in fondo Pad­dy fu sin da ragazzo: a vent’anni andò a convivere con una nobil­donna romena, Balasha Canta­cuzene, che aveva sedici anni più di lui; Joan Eyres Monsell, che poi sarà sua moglie, dopo una quasi quarantennale rela­zione, era più grande di lui di tre anni, lo mantenne a lungo e gli passava pure i soldi per i suoi svaghi sessuali... L’una e l’altra, e molte altre ancora, più vec­chie e più giovani, faranno par­te di quel milieu aristocratico mondano che su Fermor agirà come una calamita: le tenute di campagna e i pied-à-terre in cit­tà, i parties e i clubs, i titoli e le onorificenze, le biblioteche ric­che di libri interessanti e i mobi­li bar forniti di buone bottiglie. Eppure, come racconta ora Artemis Cooper nella sua bio­grafia Patrick Leigh Fermor. An Adventure (John Murray, pagg. 448, sterline 25), se tutto questo è stato Paddy, c’è tantissimo Paddy anche nel suo esatto con­trario: l’ascetico frequentatore di monasteri dove ritrovare la pace e lo stimolo a scrivere;l’in­namorato di una Grecia fiera e feudale, della sua lingua, della sua gente; lo scrittore sempre in lotta con la propria ansia di per­fezione; il militare sempre a di­sagio con le gerarchie e sempre a proprio agio con i colpi di ma­no; l’autodidatta sempre in fuga dalle specializzazioni universi­tarie, i cursus honorum , le acca­demie... Nipote di Lady Dyana Duff Co­oper che di Fermor fu grande amica, figlia di un diplomatico e moglie dello storico Antony Bee­vor, specialista della Seconda guerra mondiale, Artemis Coo­per non solo ha una conoscenza diretta del soggetto del suo libro e del mondo da lui frequentato, ma ha anche potuto disporre del suo archivio, di quello del suoeditore,dellacorrisponden-zaedellatestimonianzadiami-ciec­onoscentieinsommaditut-toquell’insiemedifontiedicon-frontichefadellibrounabiog a­fia difficilmente superabile per documentazione e intelligenza critica. Fermor è stato un autore tardo, ha cominciato a 45 anni, e non prolifico (sette libri in mezzo secolo, a scadenze quasi decen­nali, quello più noto in Italia è Mani. Viaggi nel Peloponneso , grande e inatteso successo per Adel­phi nel 2006). Del­la sua trilogia, co­minciata con Tempo di regali e proseguita con Between the Woods and the Water , il terzo volume non è mai uscito ed è stato per lui fon­te di amarezze e di pessimismo: stando alla Cooper sarebbe composto da un diario, il Green Diary , del 1939,e da un testo de­gli anni ’ 60 nato originariamen­te per una rivista e poi rivelatosi troppo lungo e fuori tema,l’uno e l’altro negli anni rivisti,corret­ti, ripresi, rimessi da parte. Co­me ha scritto Cyril Connolly in Enemies of Promise , «la pigrizia negli scrittori è sempre il sinto­mo di un conflitto interiore. I perfezionisti sono notoriamen­te pigri e ogni artistica indolen­za è profondamente nevrotica; un dolore e non un piacere».C’è in tutta la vita di Fermor un insie­me di vagabondaggio, difficoltà a godere una pace interiore, ten­tativo di ritrovare se stesso im­mergendosi negli altri. Per certi versi, il dono della sanità fisica gli giocò contro, lo illuse sul fat­to di aver comunque tempo: a settant’anni fece la stessa traver­sata dell’Ellesponto compiuta da Lord Byron a vent’anni un se­colo e mezzo prima, e Between the Woods and the Water uscì proprio allora... Il completamento della trilo­gia avrebbe significato mettere la parola fine a quel mondo de­gli anni ’ 30 a cui Fermor si era av­vicinato con uno spirito ancora ottocentesco, come se la Prima guerra mondiale non lo avesse già scosso nelle fondamenta. Ve­niva da lì la passione per le lin­gue e i popoli, le tradizioni, i can­ti e le processioni, gli intrecci fa­miliari e l’idea di uno spirito co­mune attraverso i confini e le na­zioni. Aveva fatto in tempo a vi­vere nel cuore del Vecchio conti­nente come se l’impero austro­ungarico fosse ancora esistito, e solo lo scoppio della Seconda guerra mondiale lo aveva spin­to a ritornare a casa. Finire quel libro era come un suicidio. Fermor è morto un anno fa in Inghilterra, dove ha voluto esse­re seppellito, nonostante abbia passato tre quarti della vita al­l’estero, i Balcani e la Grecia. Aveva scritto che l’Inghilterra era uggiosa, «come vivere nel cuore di una lattuga», non era mai riuscito ad accettarne le re­gole e infatti si era visto espelle­re dalle scuole, licenziare dal­l’unico posto di lavoro che il si­stema si era degnato di procu­rargli. Era stato il simbolo di quella eccentricità che gli anglo­sassoni amano e insieme tengo­no a distanza, e con cui ci si ri­concilia al momento dei funera­li, quando ormai il tempo dei re­gali è diventato cenere.