Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  dicembre 10 Lunedì calendario

Se ci vuole uno studente per spiegare ai ministri il disastro dell’università - Adistanza di vent’anni dal­la­monografia dell’acca­demico di lungo corso Raffaele Simone -L’università dei tre tradimenti- un altro Si­mone, stavolta di nome (di co­gnome fa Colapietra) e giovane studente, pubblicaIl fallimen­to dell’università italiana: dal­lariforma­scempio del 3+2 a oggi (Ce­rebro, edito­re)

Se ci vuole uno studente per spiegare ai ministri il disastro dell’università - Adistanza di vent’anni dal­la­monografia dell’acca­demico di lungo corso Raffaele Simone -L’università dei tre tradimenti- un altro Si­mone, stavolta di nome (di co­gnome fa Colapietra) e giovane studente, pubblicaIl fallimen­to dell’università italiana: dal­lariforma­scempio del 3+2 a oggi (Ce­rebro, edito­re). I tre tradi­menti denun­ciati da Simo­ne il vecchio, quando Simo­ne il giovane era ancora in fasce, eranoquello verso lo Stato, verso la Ri­cerca e verso gli studenti. Ciò che appare sconfortante è che dopo vent’anni nessuno dei mi­nistri succedutisi ha tentato di dare alcuna risposta a quelle de­nunce. Uno solo ci ha provato, ma la sua riforma si è scontratacon un sistema vischioso che quella riforma ha tradito, come magari in altra occasione ac­cennerò, anche a costo di dare un dispiacere alla brava Gelmi­ni, probabilmente ignara del tradimento. Simone il giovane affronta so­lo il tradimento verso gli studen­ti,perpetrato senza sosta negli anni. Il breve saggio è forse inge­nuo in alcuni passi, ma l’inge­nu­ità è ben perdonata dalla gio­vane età dell’autore.Che ha per­fettamente focalizzato e com­preso i punti deboli del nostrosistema accademico, a suo dire «fallito»: aggravato dalla peg­giore riforma universitaria mai attuata (quella cosiddetta del 3+2), voluta dal peggiore mini­stro alla ricerca e istruzione che l’Italia repubblicana ha dovuto subire - Luigi Berlinguer - il no­strosistema educativo accade­mico è effettivamente un falli­mento. Gli obiettivi della «rifor­ma- scempio» erano di anticipa­re l’accesso al lavoro e lenire la piaga dei fuori corso. Entrambi gli obiettivi hanno fallito, come era facilmente prevedibile: per­sonalmente, lo avevo anticipa­to con una lettera, ovviamente rimasta morta, alla mia facoltà di appartenenza di allora. Per fare breve una storia lun­ga, la riforma di Berlinguer ha imposto che in 3 anni si acqui­sisse quella formazione «com­pleta » che una volta si acquisi­va in 5/ 6 anni. Questi ultimi, nel vecchio ordinamento consiste­vano, nei fatti, di 4/5 anni di fre­quenza di corsi più l’impegno in una tesi per 1 anno che, per quanto breve, è un tempo deco­roso e un buon modo per co­minciare.Quando nel 1980 fu istituito il dottorato di ricerca, chi vi accedeva aveva una soli­da preparazione per dedicarsi, essenzialmente per la prima volta e per 3 anni, a quella attivi­tà di ricerca che altro non è che la scelta di un problema non ancora risolto e la cui so­luzione, quindi originale, ci si proponeva di trovare. Insomma, nel 1980 ci si allineò, grosso modo, al sistema internaziona­le. Imponendo la contrazione in tre anni di ciò che una volta si faceva in cinque, la 3+2 ha crea­to una pletora di ’dottori’ che ­nota il giovane Simone- posso­no aspirare a mansioni che vent’anni fa erano svolte da chi aveva la terza media, e dieci an­ni fa il diploma. E che natural­mente non intendono svolgere perché Berlinguer ha dato loro la patacca di ’dottori’: insom­ma, i disoccupati di un tempo sono, oggi, disoccupati-con-la patacca-di-dottori. Perché, sia chiaro, quella loro laurea è, né più né meno, un’inservibile pa­tacca, non spendibile, come pomposamente ci si prefigura­va, nel mondo del lavoro. Purtroppo, quanto appena detto non è la cosa più grave. Che invece è quel che segue. Ciò che patacca è per il mondo del lavoro, patacca resta nell’ ambito accademico: chi si ac­cinge ad affrontare gli studi del­la parte +2 , non è neanche palli­damente commensurabile congli studenti degli ultimi 2 anni di una volta, per la semplice ra­gione che è privo di quelle soli­de basi che il triennio preceden­te, per suoi propri scopo e strut­tura, non ha voluto- né avrebbe potuto- fornire. Di conseguen­za, i corsi del +2 specialistico ­argomenta a ragione il giovane Simone- «non hanno alcunché di specialistico e sono un rimpa­st­o di quelli già studiati nel trien­nio ». Il secondo obiettivo, quello della piaga dei fuori-corso, non è stato minimamente sfiorato dalla riforma-scempio del 3+2. La piaga non sarà mai sanata perché siamo vittime del Ses­santotto,con una pletora di pre­sidi e rettori che sono tali grazieal Sessantotto, e mai si attuerà l’unica cosa che garantirebbe la definitiva rimarginazione di quella piaga. Intendo l’abolizio­ne delle sessioni d’esame multi­ple e­ come si fa in tutto il mon­do- l’istituzione dell’esame uni­co alla fine di ogni corso. I voti saranno distribuiti come si aspetterebbe chiunque abbia elementari nozioni di statisti­ca: pochissimi non superano l’esame, pochi col minimo dei voti, pochi col massimo, pochis­simi con lode e i più nel mezzo. I Sessantottini presidi e rettori mai l’accetteranno: significhe­rebbe, sì, pochissimi fuori-cor­so ( oggi va fuori-corso il 90% de­gli studenti), ma anche pochis­simi laureati con lode ( oggi il vo­to medio è - documenta Simo­ne- 108/110). Gli appelli d’esa­me multipli implicano gli esa­mi- lotteria, che si sostengono tante volte finché non si conse­gue un voto alto, garanzia del fu­turo 110: come lanciare un da­do tante volte finché non esce 6. L’università sta così tradendo sé stessa, gli studenti, e il Paese non solo sulla formazione dei giovani, ma anche sulla certifi­cazione, svalutata e non credibi­le, della avvenuta formazione. Abbiamo una speranza? Cer­to che sì: che Simone Colapie­tra, 21enne, diventi ministro.