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 2012  dicembre 10 Lunedì calendario

La seconda vita del ministro dc predicatore anti euro sul web - Di chiunque abbia no­vant’anni, come li ha Giuseppe Guarino, clas­se 1922, ci si limita a tirare le som­me, parlandone al passato

La seconda vita del ministro dc predicatore anti euro sul web - Di chiunque abbia no­vant’anni, come li ha Giuseppe Guarino, clas­se 1922, ci si limita a tirare le som­me, parlandone al passato. Del medesimo Guarino ricorderem­mo che fu esimio docente di Di­ritto, che ebbe Cossiga come as­sistente e­d esaminò Giorgio Na­politano e Mario Draghi; che fon­dò uno studio avvocatesco sen­za rivali nelle materie ammini­strative ed europee; che fu parla­mentare per un paio di legislatu­re e due volte ministro. Dopo quest’orgia di «ebbe» e «fu» ci ac­comiateremmo da lui, grati per i trascorsi fecondi e per il contri­buto all’incremento del Pil. Siamo invece obbligati a parla­re di Guarino al presente e anzi a rincorrerlo nella sua alluvionale produzione a dispetto dell’età. Se cliccate internet lo vedete in cento salse su Youtube tra giova­ni che ammaestra a non cadere in luoghi comuni tipo, «l’euro è irreversibile»; sfogliate i giornali e trovate interviste in cui ci am­monisce - lui archeo europeista, vicino al padre fondatore, Altie­ro Spinelli - sui guasti prodotti da questa Europa; finché non vi capita tra le mani un saggio cor­poso, Euro: Venti anni di depres­sione ( 1992-2012) , in cui il profes­sore dimostra per tabulas che il Patto di stabilità ( fiscal compact ) è una truffa e che la cosa più sag­gia è uscire di corsa dall’euro. Il fantastico nel novantenne Guarino è che fa tutto questo sen­za ritorni accademici o pecunia­ri, ma gratis et amore Dei . Addirit­tura sublime è che lui, tecnico al pari di Mario Monti e di una ge­nerazione più anziano, sia libe­ro dai paraocchi del premier che di fronte a dati disastrosi, ripete tutto va bene signora la marche­sa. Guarino, no. Teme per il futu­ro, vede il divario tra l’Europa va­gheggiata e quella reale, reagi­sce con uno scavo in profondità all’europeismo pigro e acritico dei Monti, Napolitano & Co. Na­turalmente, poiché l’euro è ta­bù, Guarino, è ignorato. Stesso destino di Paolo Savona, econo­mista in auge fino a poco fa, mes­so in quarantena da quando so­stiene l’abbandono della mone­ta unica. Ecco in pillole la tesi del Prof. È falso che le passate generazioni abbiano danneggiato le nuove. Vero il contrario: i giovani vivo­no ancora su quanto accu­mulato da nonni e genito­ri. L’accumu­lo è avvenuto perché l’Italia, dal 1945 al 1980, è stata prima al mon­do per svilup­po con la me­dia cinese del 5,25. Anche dal 1980 al 1992 crebbe straordina­riamente, seconda solo alla Ger­mania. Com’è possibile che, da Maastricht (1992) in poi, l’Italia sia passata dal primo all’ultimo posto tra i grandi Stati? La colpa è della rinuncia alla sovranità monetaria e della rigidità dei vin­coli Ue che, aldilà delle pie illu­sioni, ci portano alla povertà. Da giurista, Guarino si chiede - Trattati alla mano- se sia possi­bile uscire dall’euro, restando nel mercato unico. Certo, ri­sponde. Com’era facoltativo aderire all’eurozona (in dieci l’hanno rifiutata),così non è ob­bl­igatorio continuare a farvi par­te. Si può recedere senza modifi­care i Trattati. Un’uscita dolce per creare, accanto a qualche Pa­ese isolato, due raggrup­pamenti con moneta uni­ca: uno che prosegue con l’euro e la disci­plina del Patto di stabilità (bi­lancio in pa­reggio, rappor­to massimo de­bito/ Pil del 60%);l’altro-cui par­tecipa l’Italia- che crea una nuo­va moneta, ma con sovranità monetaria,e,per tutto il resto,ri­mane legata ai trattati Ue. Il tem­po dirà quale dei sistemi ha più fiato. Libero ciascun Paese di aderire al migliore dei due. Il via dall’euro - conclude il Prof - è il solo modo indolore per «uscire dall’attuale situazione gravida di pericoli». Guarino ha tanto più le carte in regola per sparigliare, in quan­to era già preoccupato del debi­to pubblico quando i soloni odierni, da Napolitano a Monti, dormivano. Con il solito patriot­tismo, senza che nessuno glielo abbia chiesto, preparò due pro­poste per abbattere il debito cre­ando una Debiti spa che racco­gliesse il patrimonio pubblico vendendone sul mercato le azio­ni. Camera e Senato lo convoca­rono nel 1999 e nel 2009. Ogni volta fu osannato per l’intuizio­ne e accompagnato all’uscio con tanti saluti e grazie. I Guari­no sono conciatori di pelli che dall’Avellinese si trasferirono a Napoli. Qui nacque Giuseppe che rimase presto orfano di pa­dre e subì l’influsso della mam­ma che stra­vedeva per una cono­scente moglie di un docente uni­versitario. Con questa ambizio­ne, si iscrisse a Legge prenden­do tutti 30 e lode, finché non si imbatté nel titolare di Diritto ec­clesiastico. Costui si era fitto in capo di non dare mai la lode e di abbassare il voto a chi gliela chie­deva. Giuseppe affrontò l’esa­me ed ebbe 30. Volendo la lode, chiese una domanda in più. Su­bito, il prof gli abbassò il voto a 29. Alle proteste, lo portò a 23. Il giovanotto andò in lacrime dal preside di Facoltà, Alfonso Te­sauro, noto costituzionalista. Te­sauro si intenerì, negoziò col col­lega e ottenne che si ritornasse al 29. Poi, prese sotto la sua ala quel caparbio discendente di conciatori mettendolo in catte­dra a 25 anni. Guarino fu titolare di Diritto pubblico, Costituzio­nale e Amministrativo, nell’ordi­ne a Sassari, Siena, Napoli e Ro­ma. Tra i suoi allievi, Luigi Berlin­guer, Cesare Salvi, Pellegrino Ca­paldo. Per vent’anni (1967-1987), è stato sindaco di Bankitalia. Vis­se il periodaccio (1979) dell’in­criminazione del governatore, Paolo Baffi, e dell’arresto del vi­cedirettore, Mario Sarcinelli, fal­samente accusati da due magi­strati, Antonio Alibrandi e Lucia­no Infelisi, che volevano - pare ­favorire Michele Sindona preso di mira da Bankitalia. Poiché lo scandalo fu enorme, Guarino prese da solo l’iniziativa di af­fr­ontare il premier Giulio Andre­otti presunto sponsor di don Mi­chele. «Lei sa- disse più o meno­che Baffi e Sarcinelli sono inte­gerrimi. Il caso potrebbe avere ri­flessi pari a quello Dreyfus nella Francia ottocentesca e il suo fu­turo politico, signor presidente, rischia di essere compromes­so ».Poco dopo,i magistrati fece­ro retromarcia. «Telefonai ad Ali­brandi », rivelò in seguito Andre­otti a Guarino. Questa eminen­za grigia abituata a fare di testa sua, bazzicò la Dc e ne fu parla­mentare. Nell’87, fu ministro delle Finanze con Fanfani. Nel ’92, Giuliano Amato, che guida­va i­l governo levantino che ci ru­bò i risparmi di notte, lo nominò ministro dell’Industria.Mal glie­ne incolse. Guarino dissentì dal­le privatizzazioni. Sono un bido­ne, disse facendo la fronda. In ef­fetti, finirono in un magna ma­gna, senza ridurre il debito pub­blico. Guarino pagò l’ardire con la sottrazione di ogni competen­za sulle privatizzazioni, affidate a un docile ministero ad hoc . Co­me oggi, restò isolato. E come og­gi, coglieva nel segno.