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 2012  dicembre 10 Lunedì calendario

Caro Prof, lo ammetta: la crisi è nata in Germania e i tecnici non servivano - Gentile presidente Mon­ti, all’indomani dell’an­nuncio delle sue dimis­sioni e in vista della campagna elettorale, penso sia ineludibi­le dare una spiegazione su cosa sia veramente successo nel­l’estate 2011 e come e perché l’Italia sia entrata nel «baratro» della speculazione finanziaria

Caro Prof, lo ammetta: la crisi è nata in Germania e i tecnici non servivano - Gentile presidente Mon­ti, all’indomani dell’an­nuncio delle sue dimis­sioni e in vista della campagna elettorale, penso sia ineludibi­le dare una spiegazione su cosa sia veramente successo nel­l’estate 2011 e come e perché l’Italia sia entrata nel «baratro» della speculazione finanziaria. Finalmente i conti tornano. E dire che bastava leggere con at­tenzione la semestrale di Deut­sche Bank chiusa il 30 giugno 2011, da cui si sarebbero potute trarre preziose informazioni. 1) La vendita, da parte della principale banca tedesca sul mercato secondario, di titoli del debito pubblico greco per 500 milioni di euro e di titoli di Stato italiani per 7 miliardi. Se­gnale che ha generato panico sui mercati e ha aperto la strada alla crisi. 2) Una «impropria» va­lutazione del portafoglio deri­vati. Deutsche Bank non ha con­si­derato le perdite derivanti dal­la valutazione al valore di mer­cato, il famoso mark-to­market , della propria esposizio­ne, di valore nominale pari a 130 miliardi di dollari, in un ti­po particolare di titoli derivati, noti agli addetti ai lavori come « Leveraged super senior tra­des ». Titoli che negli anni della crisi subiscono perdite fino a 12 miliardi di dollari. Colpo di sce­na: la principale banca tedesca non rispetta le regole che pro­prio la Germania ha imposto a tutta Europa. E non è un caso che sulla scorretta valutazione dei derivati da parte di Deut­sche Bank in Europa tutti taccio­no, come abbiamo detto, men­tre è in corso un’indagine negli Stati Uniti presso l’autorità che controlla la borsa americana. Tra febbraio e maggio 2011 in Germania succedono anche al­tre cose: i rendimenti dei Bund diventano nervosi e in rialzo, ar­rivando a toccare progressiva­mente il valore del 3,28% ad aprile 2011, contro, per esem­pio, il 4,8% sugli omologhi titoli italiani (spread 152 punti). Co­sa che non può non impensieri­re il mondo finanziario privato e pubblico tedesco. I problemi sono nel sistema bancario tede­sco, oggettivamente a rischio in ragione degli investimenti in titoli tossici di origine statuni­tense e in titoli greci. Non di­mentichiamo che le banche te­desche reagiscono male agli stress test (li hanno superati tut­te sen­za problemi le banche ita­liane e francesi, non li hanno su­perati 5 banche spagnole, 3 gre­che e una tedesca). L’episodio, sopra riportato, di Deutsche Bank con i « Leveraged super se­nior trades » ne è la prova. Che qualcuno abbia truccato i conti per superare l’esame europeo? Altro che Grecia! Ma torniamo al nostro rac­conto, presidente Monti. Alto rendimento dei Bund , a cui dob­biamo aggiungere il dubbio va­lore dei titoli tossici e delle per­dite sui titoli greci nei portafogli delle banche. Il tutto porta a una forte tensione nel sistema finanziario privato tedesco. A questo punto la reazione è imme­diata e, con il senno di poi, irre­sponsabile: le banche tedesche decidono di trasferire la crisi po­tenziale del loro sistema sui pa­esi considerati più deboli del­l’eurozona. Come? Vendendo e dando indicazioni generaliz­zate di vendita dei titoli pubbli­ci di questi Stati, soprattutto Grecia e Italia, sul mercato se­condario. L’episodio dell’im­provviso alleggerimento di por­tafoglio effettuato da Deutsche Bank a giugno 2011 si spiega so­lo così. Le banche tedesche, quindi, hanno spostato la loro crisi sui debiti sovrani dei paesi «cica­la », con enormi vantaggi per An­gela Merkel. L’obiettivo finale: passare da una probabile crisi fi­nanziaria a una vittoria­ sul cam­po della finanza pubblica e del­la finanza privata, quasi una vit­toria da terza guerra mondiale. È questa può essere la spiega­zione della tempesta perfetta. Ecco svelato il grande imbro­glio dello spread. Non c’entra­no nulla i fondamentali dei pae­si presi di mira, non c’entrano nulla i governi, se non per il fat­to ­che si fanno prendere in con­tropiede e non riescono a reagi­re, travolti da una crisi tanto in­spiegabile quanto feroce. A questo punto andiamo ad analizzare i fatti. Vediamo co­me, con riferimento all’Italia, la corsa a rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato cominci a giu­gno 2011, proprio in concomi­tanza delle due opache opera­zioni di Deutsche Bank. Questo spiega, presidente Monti, an­che perché il cancelliere tede­sco continui a difendere a spa­da tratta il suo sistema banca­rio e rifiuti la vigilanza della Ban­ca Centrale Europea, prevista proprio dal progetto dell’unio­ne bancaria che la Germania continua a osteggiare. Unione bancaria, economica, politica e di bilancio sono fondamenta­li. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ne ribadisce l’impor­tanza in tutti i suoi discorsi. Perché la Germania ne bloc­ca l’iter? Il disaccordo è solo e soltanto sulla prima delle unio­ni da implementare: quella ban­caria, che il governo tedesco o non vuole, o vuole costruire a sua immagine e somiglianza. Al riguardo, la posizione di An­gela Merkel è molto chiara: vigi­lanza unica affidata alla Bce cer­tamente, ma solo sulle banche di rilevanza sistemica, assoluta­mente no sugli istituti regionali o sulle casse di risparmio dove si annida la più alta opacità e la più alta compromissorietà tra credito e potere politico locale. E non da subito, ma dopo le ele­zioni tedesche. Bell’esempio di rigore e trasparenza e, diciamo­lo, di irresponsabilità, con tutto quello che sta succedendo. Non finisce qui. La Germania condiziona alla realizzazione dell’unione bancaria anche l’operatività del Meccanismo Europeo di Stabilità. Esso è in stand by , o meglio, non opera per l’obiettivo per il quale è sta­to pensato, vale a dire acquista­re sul mercato primario titoli di Stato dei paesi sotto attacco spe­culativo. E rimane l’attesa. I ver­tici europei si susseguono sen­za, di fatto, risolvere nulla. Purtroppo l’impasse rischia di durare fino a settembre 2013, data delle elezioni tedesche. Che fare a questo punto? Biso­gn­a riaprire la partita con la Me­rkel e al più presto. Senza più su­bire le solite colpevolizzazioni. Perché la teoria dei compiti a ca­sa si è dimostrata­sbagliata e re­cessiva e perché sono state sve­late le conseguenze negative che essa ha portato, in termini di economia reale nei paesi sot­toposti a cure rigorose oltre il dovuto, e in termini di blocco di trasmissione della politica mo­netaria, Basta guardare oltreoceano. Forte, dinamica, indebitata, ma piena di liquidità, l’econo­mia americana cresce e corre, mentre il Vecchio Continente è ingessato in politiche economi­che recessive. Il Pil cresce negli Stati Uniti del 2,7%, rispetto a una decrescita del -0,1% del­l’Eurozona; il numero di disoc­cupati e di richieste di sussidi si riduce settimana dopo settima­na oltre le attese ( disoccupazio­ne al 7,7%, rispetto all’11,7% dell’Eurozona), il mercato im­mobiliare traina l’economia. E, nonostante le critiche spesso ri­volte al presidente della Fede­ral Reserve , Ben Bernanke, l’in­flazione è più bassa che nell’eu­rozona (2,2% rispetto al nostro 2,5%). La forza degli Stati Uniti deriva da una governance prag­matica, determinata, esigente, interventista; da una politica economica efficiente - orienta­ta alla crescita - e da una politi­ca monetaria espansiva. Su tutta la crisi sarebbe bene che anche la Bce si assumesse la responsabilità di fare chiarez­za. Se si fosse fatta un’analisi se­ria e approfondita degli accadi­menti di metà 2011, probabil­mente la storia dell’Europa sa­rebbe stata diversa. E tacere, oc­cultare o non interrogarsi abba­stanza su quello che stava suc­cedendo è stato un crimine che gli Stati, i cittadini, le nostre de­mocrazie stanno pagando ca­ro, in termini di distruzione del­l’idea di Europa e delle relative derive populiste, che tanto la di­sgustano, presidente Monti. Con la stima di sempre, suo Renato Brunetta.