Francesca Esposito, D - la Repubblica 8/12/2012, 8 dicembre 2012
LO SCAFFALE PROIBITO
[Cina Biografie dei leader, bestseller occidentali, grandi inchieste. Per aggirare la censura, i cinesi varcano la frontiera. E comprano cultura in questa piccola libreria di Hong Kong] –
Seconda a destra, poi dritto fino al ponte. Superi la dogana cinese, attraversi il fiume Sham Chun. Sorpassata la frontiera, sei a Hong Kong. Prendi la metropolitana, cambi tre volte. Sono, più o meno, 70 minuti. La fermata Causeway Bay si trova sull’isola di Hong Kong, nel centro di Times Square. Scendi, prendi l’uscita A, direzione Russell Street. Ci sono tre scale mobili, sali. Gira a destra, te lo trovi davanti. Al secondo piano, dopo una stretta scalinata, vecchi contatori e tubi polverosi, c’è il negozio dei libri proibiti. People’s Recreation Community, questo il nome della libreria di 60 metri quadrati situata fra la vetrina di Cartier e quella di Rolex, vende ciò che il Governo censura - come promette anche l’insegna in caratteri cinesi. L’ingresso rimanda odore di caffè zuccherato, le pareti sono rosse in stile Mao, i libri ammassati, le riviste censurate in bella vista. Poi l’anomalia. Sugli scaffali, oltre ai chili di pagine, latte in polvere. «Questa gliela spiego subito», sorride Paul Tang, il proprietario della libreria «Siamo gli unici a vendere la vera informazione e il vero nutrimento. Nel resto della Cina tutto è falso, perfino il latte in polvere. Chi viene qui trova l’originale nutrimento. Per la mente e il corpo». La libreria, nata nel 2003, oggi vende 300 libri al giorno, è aperta dalle 9 a mezzanotte, 364 giorni e mezzo all’anno per colpa del Capodanno. «Pochi giorni fa», sottolinea Mr Paul, «grazie al Congresso del Partito comunista, abbiamo registrato un boom di vendite, più del 30%. Il 95% dei lettori viene qui, a Hong Kong, solo per acquistare i libri censurati». Nell’ex colonia britannica si può ciò che si vuole, o quasi. In base al principio one country, two systems, l’isola gode di uno statuto speciale per cui i cittadini possono accedere ai social network, informarsi da una stampa libera e leggere libri messi all’indice dal Governo. Nel 2017 potrebbe essere la prima città cinese a sperimentare il suffragio universale.
«La nostra libreria la conoscono tutti, perchè siamo i più forniti. Diciamo che soddisfare i desideri dell’intera Cina non è facile. Qui abbiamo libri sul Politburo, la biografia di Xi Jinping - il presidente che ha sostituito Hu Jintao - saggi sul caso Bo Xilai e sull’attivista di diritti umani Liu Xiaobo. Vuoi sapere di Piazza Tienanmen, di Tibet e Dalai Lama? Abbiamo anche saggi sulla Rivoluzione culturale, sui disordini di Xinjiang, sulla politica del figlio unico, sullo scandalo delle trasfusioni infette di Hiv. C’è anche una libreria sex oriented», sogghigna. «Chi viene qui si fa la scorta: una signora in un giorno ha speso 20 mila dollari di libri e riviste, forse per rivenderli sotto banco. Gli spacciatori di libri sono frequenti. Altre volte ti capitano membri del Partito, si rimpinzano di roba per le loro ricerche. Quando raccomandi cautela, ti rispondono che hanno il pass governativo e quindi non avranno problemi». La fame cinese di cultura viene saziata con libri, stampa, documentari proibiti che arrivano grazie alla rete internet, frequentata quotidianamente da 400 milioni di internauti. Secondo una ricerca dell’Institute for Quantitative Social Science dell’Harvard University basata sullo studio di oltre 1400 social media, il Governo arruola 1000 censori per sito, fino a 50 mila membri di polizia postale e 250 mila collaboratori del partito. «Lo scopo del programma di censura non è più tanto quello di sopprimere forme di critica verso il Partito. Il piano è piuttosto ridurre la probabilità di un’azione collettiva, che avviene attraverso l’eliminazione di legami sociali ogni qualvolta si noti un movimento sospetto. Una volta superata la barriera del Great Firewall, il Grande Muro di Fuoco che disabilita interi siti web, e quella del sistema che blocca le parole-chiave, un testo va sul web. È lì che i censori leggono e rimuovono manualmente tutto ciò che è offensivo, senza lasciare traccia."
In Cina non si può accedere a You Tube, Facebook o Twitter, ma esistono versioni soft, come Ren Ren, Sina Weibo, Sina Video Channel, BlogSina. Provare per credere: l’applicazione China Channel Firefox offre agli utenti liberi il brivido di navigare nella rete. Si trova comunque l’inganno, il modo migliore per solcare mari proibiti è l’utilizzo di Proxy e VPN che fanno figurare l’Ip, protocollo di internet, come non cinese.
Che il web venga usato dal popolo per seguir virtù e conoscenza l’ha ben capito il Partito, che dietro a tutta questa cultura vede un giro d’affari non da poco. Secondo stime governative l’industria culturale cinese, che vuole impegnarsi per rendere le sue imprese competitive a livello internazionale, fra 4 anni dovrà fatturare 300 miliardi di dollari, circa il 6% del Pil. «È il business, bellezza, non vogliamo fare i rivoluzionari», continua il libraio di Hong Kong che gestisce il negozio con altri tre soci. «Dopo la Sars, nel 2002, gli affari in città andavano malissimo. Per risollevare l’economia, Il Governo ha deciso di concedere più facilmente i visti all’intera popolazione cinese diretta oltre frontiera. Qui tutto è più aperto, dall’educazione alla mentalità, libri compresi». Lo scorso luglio la ventitreesima edizione dell’Hong Kong Book Fair, ha registrato 900 mila visitatori. Un successo senza precedenti, con oltre 300 attività culturali e un aumento del 23% rispetto all’anno precedente. Il padiglione più popolare, dopo il General Books, era quello dell’editoria taiwanese, che si occupa principalmente della pubblicazione censurata in Cina. In quanto a libertà di stampa, infatti, la Terra di Mezzo è alla 187esima posizione su 197, secondo il rapporto Freedom House 2012. Un Paese non libero che estende i suoi tentacoli anche su cinema e musica: il Ministro della cultura ha censurato una schiera di artisti, da Bijork, la cantante islandese che inneggia al Tibet, a Lady Gaga, passando per Beyoncé e Backstreet Boys, ritenuti “illegali e troppo volgari”. Sul web è stata censurata anche la versione Gangnam Style di Ai Weiwei: l’artista e dissidente cinese nel video fa roteare in aria un bel paio di manette, motivo per cui dopo poche ore e migliaia di visualizzazioni, il video è stato rimosso dai siti web cinesi. Mr Tang divide la clientela in tre tipologie: «I giovani studenti, che leggono tanto ma spendono poco. Gli uomini d’affari, che di un libro comprano diverse copie, per gli amici. E i clienti indiretti, anziani che spediscono nipoti o parenti oltre confine per comprare il frutto del peccato».
Sulla via del ritorno, nei posti di blocco la polizia di frontiera sembra annoiata. Divisa blu, stellette e cappello, camicia azzurra ben stirata. «A volte capita che ti controllino la valigia», racconta un lettore previdente «a me hanno trovato tre copie del Prigioniero dello Stato, il diario segreto del premier Zhao Ziyang (ex Segretario generale del Partito, unico oppositore politico alla strage di Piazza Tienanmen, ndr). “Questi in Cina non possono entrare”, mi hanno detto, al loro posto una ricevuta. Mai discutere, altrimenti ti segnalano. Basta essere astuti, io nascondo i libri in borse più piccole, non le controllano mai. Intanto ti porti dietro una valigia grossa, che distrae. Altrimenti vai in gruppo a Hong Kong e distribuisci la roba, così hai meno probabilità di essere controllato. Credo abbiano una lista con i libri proibiti, ma solo quelli più famosi, è davvero impossibile stare al passo con le pubblicazioni, sia illecite sia lecite». Secondo l’Osservatorio privato Beijing OpenBook Company l’editoria cinese, che vale 11 miliardi di dollari, ha registrato un aumento delle vendite del 19%, ma il 70% del mercato è fatto di libri scolastici, anche se fra i generi più venduti compaiono romanzi e narrativa per ragazzi. In tutto le 581 case editrici statali e gli editori privati, che sono vietati ma in continuo aumento, hanno pubblicato 328 mila titoli nel 2010, di cui il 58% nuovi. «Dum, dum, dum. Tutte le sere alle 7 in punto la sigla in tv ti avverte che sta per iniziare il telegiornale della Cctv. Tutto è bene, tutto deve andare bene», racconta un lettore di questa sorta di Confraternita libraria di orwelliana memoria «Ti accorgi poi, grazie ai tuoi genitori, ai tuoi compagni, ai professori all’università che non è come te la fanno credere. Non puoi essere felice solo perché te lo dicono loro». In quanto a felicità, la Cina non è messa bene. Secondo l’Happiness Report 2012, della Columbia University, il Popolo di Mao è al 112esimo posto su 156 nazioni. Ma al cittadino cinese non far sapere quanto non è felice: la notizia è stata censurata e a consolare i disperati è arrivato lo show della Cctv Are you happy?. Per il programma della più grande rete televisiva continentale, ben poco indipendente, il livello di contentezza sale al 90%. Ognuno trova la sua felicità fra internet point, librerie proibite, università o case di amici che hanno studiato all’estero. L’ultima alternativa è lo shopping mall: per Guo Zengli, il presidente del Mall China Information Centre, fra 2001 e 2012 sono aumentati dell’893%.