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 2012  dicembre 12 Mercoledì calendario

SUA ALTEZZA LA POLTRONA

Piccoli riquadri di pelle colorata creano un caleidoscopio sulla parete, schermi in movimento fanno scorrere parole chiave che definiscono gesti e strumenti di lavoro in grado di dare vita a poltrone e divani. Più in là, una grande scatola di vetro, dal soffitto e pavimento di ghiaia candidi, racchiude come in un chiostro una Vanity Fair bianchissima. Simboli, diversi ma ugualmente evocativi, di Poltrona Frau, messi a introdurre l’esposizione permanente — appena inaugurata — che racconta i cento anni di storia del marchio.
Poltrona Frau Museum: 1400 metri quadrati collocati in un’area adiacente alla parte produttiva dell’azienda a Tolentino. E non a caso, come racconta l’architetto Michele De Lucchi, autore del progetto: «Portare degli arredi in un luogo diverso, per esempio un palazzo cittadino, avrebbe significato trasformare la storia di un’azienda nel racconto di un’atmosfera privata. Questo invece vuole essere un museo secondo un concetto moderno: luogo di intrattenimento culturale, dove passare del tempo a coltivare se stessi e a ritrovare le proprie radici». Arredi che documentano un’abilità artigianale ma diventano quindi occasione per ripercorrere i nostri ultimi cento anni di storia: oltrepassata la scenografia con la Vanity, il visitatore entra in un percorso scandito per epoche, «per ventenni, di cui una poltrona, un divano, un letto individuano lo stile di riferimento», spiega Roberto Archetti, brand director del marchio. Così ogni pezzo è collocato su una pedana che riprende un materiale dell’epoca («Come il parquet spinato tipico degli anni 30-40 e le piastrelle bicolori o la moquette per i ventenni successivi») e illuminato da una lampada ideata allora, mentre, di fronte, una serie di documenti — dai manifesti pubblicitari a video storici — raccontano la società del periodo. Agli arredi-simbolo si alternano i pezzi icona, che segnano altrettante tappe di creatività del marchio: dal Chesterfield, del 1912, alla poltrona Juliet disegnata da Benjamin Hubert, vincitrice quest’anno del concorso indetto per il centenario.
Scenografie architettoniche mettono in relazione ma al tempo stesso separano visivamente i due concetti: «Torri con montanti di legno, più alte e più basse, avvolte da garze teatrali, racchiudono ogni arredo in una sorta di piccolo ambiente ma lo lasciano scorgere in un gioco di aperture e trasparenze», spiega De Lucchi che racconta di essersi lasciato ispirare dalle atmosfere di Piranesi: «La sua teatralità eclettica, quella capacità di identificare lo spirito più pregnante di un’epoca, e che ho ritrovato qui». Basta infatti aggirarsi tra le strutture chiaroscurali per cogliere «l’aria del tempo»: «La Vanity, usata in molte pubblicità e un classico dei presentatori della tv», rievoca il presidente Franco Moschini. «Oppure il letto Lullaby che divenne protagonista in piazza del Duomo a Milano di un celebre scatto fatto dalle guglie: un modello tondo, una forma provocatoria, e lo stesso Luigi Massoni che lo ideò nel 1968 raccontava i commenti caustici, colti da lui, di chi si fermava a guardarlo in vetrina». Oppure il divano Ouverture di Pierluigi Cerri: «La base fatta a putrella: fu la dissacrazione di far accomodare la borghesia anni 80 su un simbolo del lavoro metalmeccanico», racconta Archetti.
All’estremità del percorso i progetti «su misura» per le più importanti istituzioni del mondo usciti dalla penna delle archistar (quasi tutti premi Pritzker), idealmente inseriti nel loro contesto attraverso un gioco fotografico: «C’è la poltrona di Renzo Piano ideata per il Parco della Musica, quella di Gehry per la Walt Disney Concert Hall e di Richard Meyer per il Getty Center, ma anche una delle oltre 4000 che hanno messo seduti i parlamentari europei: noi e i nostri artigiani sempre disponibili ad assecondare la sensibilità di progettisti tanto diversi», racconta Moschini. Contrappunto, all’estremità opposta, l’area che suggerisce un’abilità un po’ speciale, quella che serve per «vestire» i veicoli (siano automobili, aerei, imbarcazioni o treni): simbolo, una Ferrari California nera con gli interni in pelle Frau rossa.
Infine la caffetteria arredata con pezzi tra passato e presente e lo sbocco all’esterno dove il rimando aziendale, forte, è lasciato al logo e a due grandi portali color arancio: «È il messaggio ultimo», conclude De Lucchi, «Industria e artigianato che si compenetrano, due mondi diversi ma complementari: un’idea olistica del fare che rappresenta il patrimonio del design italiano».
Silvia Nani