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 2012  dicembre 12 Mercoledì calendario

CIA, LA VERA STORIA DELL’AGENTE MAYA —

Che sia di carattere e combattiva lo dice la sua storia. Agente-donna della Cia, sui 30 anni, ha sfidato i veterani più scaltri insistendo con la sua teoria del corriere: «Se vogliamo trovare Osama dobbiamo trovare e seguire chi gli porta i messaggi». Lo diceva, lo ripeteva, non le davano retta. Poi alla fine si sono convinti. La Casa Bianca premeva per dei risultati nelle indagini sul capo di Al Qaeda e allora hanno provato. Bingo. Così — secondo la versione ufficiale — sono arrivati a Bin Laden e al suo rifugio a Abbottabad in Pakistan.
Lei ha gustato quella vittoria fino in fondo, riuscendo a vedere il corpo senza vita della «preda». La sua «preda». Poi un pianto liberatorio — raccontano — accucciata sull’aereo che trasportava la salma del terrorista. Ma il caso della 007 ha avuto una coda non proprio elegante. La Cia, mesi dopo, le ha conferito la più alta onorificenza dell’agenzia — la Distinguished Intelligence Medal —, un riconoscimento meritato. Solo che quella medaglia è stata assegnata anche ad altri agenti che hanno partecipato all’operazione. E lei non ha gradito. Con un gesto inusuale ha spedito un’email interna a dozzine di colleghi: «Voi mi avete ostacolato e osteggiato. Solo io meritavo quel premio». Al settimo piano del comando Cia, dove siedono i vertici dell’agenzia, non l’hanno presa bene. E così — come svela il Washington Post — hanno bloccato la sua promozione, uno scatto che le avrebbe portato in busta paga un aumento annuale di circa 14 mila euro. Uno stop bilanciato dal trasferimento ad una nuova unità anti-terrorismo e da un bonus in denaro. Ma neppure questo ha riportato la pace tra le «ombre».
Agli sgarbi di scrivania — la Cia è spesso simile a qualsiasi altro ufficio del mondo — si è aggiunto del veleno. Intinto nello gelosia. La 007 ha ispirato il personaggio di «Maya» — interpretato da Jessica Chastain — nel film «Zero Dark Thirty» di Kathryn Bigelow in uscita tra pochi giorni e dedicato al blitz contro Osama. La regista ha costruito la storia sull’agente donna e per farlo uno dei suoi collaboratori ha potuto consultarla a lungo. Colloqui, scambi di idee, una visita al «centro» che ha gestito l’assalto e al poligono che riproduceva la palazzina di Abbottabad. Vuoi vedere, insinua qualcuno, che la vera «Maya» ha parlato troppo. Un’accusa che i repubblicani hanno esteso in questi mesi all’amministrazione Obama: hanno aperto le porte della Cia e svelato segreti alla Bigelow per celebrare il presidente con un film propagandistico.
«Maya» è rimasta in mezzo, anche se era inevitabile. Molti le riconoscono la determinazione e l’intuizione che ha portato le spie sulla pista giusta. Però aggiungono che l’individuazione di Bin Laden è stata il frutto di un lungo lavoro di squadra. Infine non risparmiano critiche al suo carattere, a volte sopra le righe. E la stessa Bigelow ne ha suggerito qualche aspetto. In una scena del film, dopo l’uccisione di altre due donne della Cia in Afghanistan (fatto vero), «Maya» reagisce con queste parole: «Credo di essere stata risparmiata in modo da poter finire la mia missione».
Guido Olimpio