Stefano Massarelli, TuttoScienze, La Stampa 12/12/2012, 12 dicembre 2012
CHI NON RIDE SI AMMALA
È un’abitudine che stiamo perdendo, forse per via dello spread e delle cattive notizie che ci assalgono, ma anche perché siamo parte di una società globalizzata che, spesso, sembra aver smarrito il senso di una sana ironia.
Eppure ridere è una cosa seria, più di quanto immaginiamo. Le stime ci dicono che oggi ridiamo in media 5 minuti al giorno, mentre una volta lo facevamo molto di più: almeno 15 minuti. Il tempo giusto, secondo gli esperti, per ottenere evidenti benefici sul cuore, sui polmoni e anche sul sistema immunitario, nonché sullo stato di benessere mentale.
In sostanza, ridere aiuta a vivere più a lungo e gli effetti della risata sono simili a quelli che si ottengono con un esercizio fisico regolare, come è stato ben dimostrato da una ricerca della Oxford University apparsa sulla rivista «Proceedings of the Royal Society B». «La risata comporta una ripetuta e intensa esalazione di respiro dai polmoni, mentre i muscoli del diaframma devono lavorare molto intensamente», spiega lo psicologo evoluzionista Robin Dunbar, autore dello studio. Il risultato è un intenso lavoro fisico che si conclude con il rilascio di endorfine: sono le molecole che fungono da oppiacei naturali per il nostro cervello e che sono capaci di abbattere le emozioni negative e favorire quelle positive, secondo un percorso fisiologico sovrapponibile a quello di una seduta in bicicletta o di una corsa.
Ma ridere è davvero una forma di esercizio? Per rispondere a questo quesito, Dunbar Dunbar,
e il suo team hanno preso in esame un campione di laureandi e laureande inglesi e li hanno invitati a guardare alcuni filmati comici o dei documentari naturalistici, sia da soli che in compagnia, dopodiché hanno analizzato la loro resistenza al dolore attraverso dei «polsini» che impedivano la circolazione del sangue nelle mani oppure ponendo del ghiaccio sulle loro braccia.
L’idea degli stimoli dolorosi - si difendono i ricercatori – è stata adottata per quantificare i livelli fisiologici di endorfine, impossibili da misurare in modo non invasivo, ma valutabili in base alla resistenza al dolore, che si innalza assieme al livello di questi neurotrasmettitori cerebrali. Come previsto, gli studenti che avevano assistito ai filmati comici resistevano più a lungo allo stimolo doloroso, ma questo risultato era evidente solo se la risata comportava una chiara contrazio- ne dei muscoli addominali, come se il rilascio di endorfine avvenisse soltanto in conseguenza dello sforzo fisico.
Non solo: chi assisteva ai filmati comici in compagnia mostrava un innalzamento della soglia del dolore maggiore di chi vi assisteva in solitudine. Qualcosa di simile, secondo Dunbar, è stato riscontrato nelle persone che fanno attività fisica: una ricerca della stessa Oxford University compiuta su un gruppo di giovani canottieri ha mostrato un netto miglioramento delle performances quando questi vogavano assieme, piuttosto che da soli.
«Non sappiamo per quale motivo la sincronia produca questo effetto, ma sembra essere molto pronunciato», avverte il ricercatore inglese.
Ecco perché chi fa attività fisica in solitudine dovrebbe valutare la possibilità di cercare un compagno per migliorare sia i risultati sia lo stato di salute complessivo. Così come chi ride da solo, o non ride affatto, dovrebbe cercare di approcciarsi meglio agli altri e cercare quella convivialità che sembra essere alla base del benessere fisico, oltre che di quello mentale.