Gabriele Beccaria, TuttoScienze, La Stampa 12/12/2012, 12 dicembre 2012
NELLE GROTTE AFRICANE DOVE NACQUE LA MENTE
È un grande motivo per essere orgogliosi dei nostri primi e comuni antenati, che vissero qui, in Sud Africa, e 60 mila anni fa cominciarono a sparpagliarsi nel resto del mondo».
Chi parla è un celebre archeologo, il sudafricano Christopher Henshilwood, che si emoziona di fronte a quelle che possono apparire pietre bizzarre e invece sono le prime manifestazioni dell’Homo Sapiens come lo conosciamo. Sbalorditive manifestazioni di pensiero astratto.
Scavando nelle grotte costiere, spesso a picco sul mare, in luoghi desolati ma intrisi dell’aura dei tempi primordiali, Henshilwood ha raccolto prove inedite e le ha raccontate in un articolo appena pubblicato sul «Journal of World Prehistory»: è ormai certo di essere in grado di fare a pezzi la teoria ortodossa secondo la quale la mente moderna, che tanto ci affascina nel bene e nel male, non è affatto sbocciata tra i primi «coloni» europei, arrivati in un’Europa ancora semisommersa dai ghiacci, 40 mila anni fa. La nostra specie ha imparato a immaginare il futuro e a giocare con i simboli molto prima, nella culla sudafricana, appunto, quando uomini ormai simili a noi non solo cacciavano e andavano a pesca, ma facevano anche molte altre cose. Particolarmente sofisticate e, a volte, apparentemente superflue.
I reperti ritrovati da Henshilwood e dal suo team sono eloquenti. Dalla Still Bay e da Howiesons Poort - le aree in cui sono state identificate due culture successive, tra 75 e 70 mila anni fa la prima e tra 65 e 60 mila anni fa la seconda - sono emerse testimonianze speciali, come frammenti di pensieri congelati: pezzi di pietra ocra incisi con motivi geometrici (ed ecco il primo esempio di arte astratta), collanine di conchiglie (ed ecco gli archetipi dei gioielli), arnesi d’osso e altri in pietra finemente scheggiati (ed ecco l’emergere di una tecnologia che richiedeva la perfetta coordinazione tra intenzioni mentali e gesti fisici). Per non parlare delle minuscole, pressoché perfette, punte di freccia, scagliate da archi in legno andati perduti.
«Queste innovazioni, più molte altre che stiamo solo adesso scoprendo, dimostrano che i Sapiens del Sud Africa erano già definitivamente moderni e si comportavano, sotto molti aspetti, proprio come noi», ha osservato Henshilwood, interrogandosi anche sull’altra grande questione che intriga i paleoantropologi: se gli indizi sulla nascita delle supercapacità cognitive si accumulano, qual è la scintilla che le provocò? Ce ne fu più d’una, è l’ipotesi dello studioso. Ma tutte scatenate da rapidi cambiamenti climatici.
Le micro-tribù sopravvissute a lunghi periodi di siccità devono essere esplose in quantità, quando tornarono le fasi di piogge abbondanti, migliorando anche in qualità. Più individui significarono più scambi biologici di Dna e più scambi intellettuali di esperienze e tecniche, mentre la pressione del numero deve avere innescato un effetto domino di spostamenti a breve raggio e migrazioni di lungo respiro. Ma qui le certezze evaporano rapidamente in ipotesi via via più fragili. E Henshilwood continua le esplorazioni, intrecciando il tempo perduto con quello della memoria: le grotte in cui scava pazientemente, centimetro dopo centimetro, sono le stesse che suo padre gli fece scoprire, quando era un bambino irrequieto e curioso.