la Stampa 12/12/2012, 12 dicembre 2012
LA TECNOLOGIA PUÒ SALVARE IL PUGILATO
Da tempo ingenuamente mi domando come mai quasi tutti gli sport prevedano delle dotazioni obbligatorie di protezione per i praticanti professionisti, specie quelli a maggior impatto lesivo ove ne mancasse la dotazione ed invece il pugilato sia privo di adeguato casco (presente solo x i giovani nelle olimpiadi mi sembra). Ci sono i guantoni che attutiscono il pugno si dirà. Forse sì, ma forse a maggior protezione del pugno che della faccia che lo prende, in modo che il pugno possa continuare il suo lavoro. Troppo spesso sentiamo di gravi lesioni cerebrali acute e di altrettanto gravi esiti invalidanti permanenti, se non di morte. Come è possibile accettare una barbarie simile? Credo che solo una parte della gente voglia il sangue sul tappeto. Se si vuole mantenere lo sport senza alterarlo, sarebbe forse sufficiente a limitare i danni fisici al capo inserire nel casco un sensore che ci dice la sede, forza e il numero dei colpi ricevuti. Tale dato, unitamente agli altri parametri valutativi, propri della disciplina consentirebbero agevolmente ai giudici, ma anche al pubblico che guarda, di dire chi ha vinto senza drammi. Forse ci sono statistiche che non conosco che dicono che il pugilato non è tra gli sport più rischiosi. Può essere. Ma una cosa è farsi male con la prevista dotazione protettiva altra cosa è se accade senza, anche se con frequenza inferiore, a quel punto inaccettabile comunque. Ma perché pretendiamo che un muratore indossi un casco e delle scarpe con la punta rinforzata. Solo perché è un lavoro e non è uno sport? No, perché si vogliono tutelare le persone nella loro integrità psico-fisica e le loro famiglie, oltre che la società per le ripercussioni anche economiche che ne conseguono. E allora ciò deve valere anche nello sport. Credo sarebbe una azione di civiltà e di rispetto verso le persone-sportivi professionisti farsi promotori di una iniziativa di sensibilizzazione in questo senso che per ovvi motivi non può venire dai diretti interessati (pugili) né dal sistema che governa questo sport. Ma forse ci sono risposte che dicono che mi sto sbagliando. A me il pugilato piace e, avendo oggi 60 anni, molti anni fa guardavo senza patemi i grandi incontri di Cassius Clay, Benvenuti, M. Hagler «il meraviglioso» e tanti altri, ma oggi è diversa la mia sensibilità/conoscenza e vorrei poter continuare a guardare senza ansia, senza pensare che da un momento all’altro una persona potrebbe andare in coma irreversibile e suo figlio/figlia non vedere più suo padre. Così come è ora non riesco più a guardare.
Roberto Taddeucci
LUCCA