Angelo Aquaro, la Repubblica 12/12/2012, 12 dicembre 2012
TROPPO FRASTUONO IN FONDO AL MARE PARTE LA SFIDA PER ABBASSARE IL VOLUME
Preferisci il rumore del mare? Prova un po’ a spiegarlo alle balene che laggiù, grazie all’incessante attività del solito uomo, stanno diventando sorde: e adesso nuotano senza radar verso l’estinzione. C’era una volta
Il mondo del silenzio.
Ma al celebre film di Jacques Cousteau oggi andrebbe rifatta per intero la colonna sonora. Mai gli oceani furono più chiassosi:
come facciamo a continuare a non sentire? La situazione è così tragica che gli espertoni della Noaa, la National Oceanic and Atmospheric Administration, hanno redatto una mappa per far vedere come si sente laggiù: una mappa sonora che usa colori accesi per indicare i rumori che si irradiano in profondità, coprendo quindi il blu degli oceani con tutto quel chiassosissimo arancione. Ma com’è stato possibile rompere quel silenzio che risale alla notte dei tempi? E tutto nel gi-
ro di pochissimi decenni.
Proprio per abituarsi al mondo del silenzio le balene hanno per esempio perfezionato un udito delicatissimo. A quelle profondità, nel regno del buio, i rumori sostituiscono la luce, che non arriva più. Beh, gli scienziati hanno calcolato che almeno 250mila esemplari sono ormai irrimediabilmente malati: sordi o giù di lì. Con irreparabili danni per l’orientamento e quindi per l’alimentazione e per la cura della
specie.
No che prima non era così. Il
New York Times
tira fuori una citazione (letteraria) d’epoca. E ricorre addirittura a
Ventimile leghe sotto i mari:
«Che pace, che silenzio, che pace!» esclamano i protagonisti del romanzo di Jules Verne mentre Capitan Nemo spinge sul fondo il Nautilus. Era il 1870. Ma oggi?
La pace degli oceani è rotta dalle esercitazioni militari navali. Dalle esplosioni e dai trivellamenti per la ricerca di petrolio e gas. Dal moltiplicarsi delle rotte commerciali. Il tutto accentuato dalla particolare capacità di propagarsi in profondità che hanno le onde sonore — superiore a quella della luce. Dalla rivoluzione industriale in poi, si sa, avevamo già alzato il volume sulla terraferma, in un crescendo per niente orchestrale culminato nel “Secolo del rumore”, come lo storico
Stefano Pivato ha ribattezzato il Novecento. Adesso tocca appunto agli oceani: che coprono il 70 per cento della superficie terrestre. E siccome, secondo la lezione di Charles Darwin e la vulgata di Lucio Dalla, “dai pesci discendiamo tutti”, tutto quello che accade laggiù ci riguarda, appunto, profondamente.
Peccato che abbassare il volume, adesso, non sia più così facile. Sì, qui in America, nella potenza mondiale che dovrebbe muoversi per prima perché più responsabile
dell’inquinamento acustico, ci sono un paio di leggi che si chiamano Endangered Species Act e Marine Mammal Protection Act: ma il potere dello stato di regolare il rumore è debole — e per di più tutto ciò che è militare non si può toccare. Riusciranno i colori allarmanti delle nuovissime mappe a smuovere le coscienze? O perfino di fronte al rumore del mare ci rinchiuderemo nel consueto silenzio assordante?