Francesco Merlo, la Repubblica 12/12/2012, 12 dicembre 2012
PRIGIONIERI DEL DÉJÀ VU
BERLUSCONI è il carceriere dell’Italia perché la imprigiona dentro il déjà vu. Quando per esempio, al telefono del suo déjà téléphoné Belpietro, parla contro l’Europa, contro la Merkel e contro i mercati non c’è italiano che non sappia cosa sta per dire perché Berlusconi lo aveva già detto e tutti lo avevamo già sentito.
Anche i suoi tic ormai lividi — «ma guardi», «mi consenta», «ma smettiamola» — sono per ciascuno di noi un déjà entendu, un già ascoltato, che è uno stato confusionale del Paese, una sorta di ekstasis,
una fuoriuscita dal tempo reale. È roba da fare ammattire perché il déjà vécu,
il già vissuto, è sostenibile solo quando è un lampo di pochi secondi. Qui dura da venti anni e non è mai finita.
E anche le reazioni della Merkel prudenti ma dure, l’angoscia del Partito Popolare europeo, le paure del presidente Martin Schulz, insomma il folclore italiano che di nuovo diventa malessere internazionale è la nostra trance sonnambolica, un deliquio che abbassa i poteri critici perché la dannazione del
déjà vu
è ormai la via italiana alla crisi internazionale. E i terribili titoli dei giornali più autorevoli del mondo sono il
déjà lu,
il già letto. Gli articoli scritti sull’Italia sono il
déjà écrit.
In tutte le lingue del mondo la coazione a ripetere è un’epidemia planetaria di
déjà vu.
E anche noi, anche io mi sorprendo a riproporre le parole che avevo già usato e a ritrovarle vuote, sospese nella surrealtà del
déjà moi-même,
il già me stesso, che è la malattia di chi non diventa grande: così Berlusconi ci nanizza. E i comici, che furono forse i soli a far fortuna grazie a Berlusconi, sputano oggi le bellissime antiche battute come malori dell’anima, perché senza lo slancio vitale non c’è riso, diceva Bergson. E il
déjà ri,
il già riso, è forse la peggiore tra le patologie del
déjà vu:
è un ristagno, un impaludamento.
Il
déjà vu,
che fa diventare seri persino i comici, toglie il respiro e la dignità anche agli intellettuali organici del berlusconismo e ai suoi astuti e abilissimi frondisti perché la ri-fronda è un’autosconfessione, prevedibile come l’obbedienza. E il
déjà vusmaschera
i collaterali che si fingevano equidistanti e disarma gli
organ house
perché i cani da guardia che rilatrano lo stesso bau diventano cani da macina che girano attorno a se stessi: il
déjà aboyé,
il già abbaiato, è un suono sordo e inespressivo. E la struttura delta, la macchina del fango, le campagne di propaganda, i capelli che crescono nelle fotografie, i trucchi di corte del ciambellano Signorini, le promesse da piazzista nei Porta a Porta di Vespa… sono il
déjà vu
della ciarlataneria, cioè il ciarlatano di se stesso.
Confessiamolo: appena Berlusconi dice che «lo spread è un imbroglio» oppure quando leggiamo il
déjà lu,
il già letto di Marcello Dell’Utri che si propone come unico ermeneuta accreditato del Cavaliere, noi italiani, compresi i tanti ex elettori del Pdl, ci sentiamo scaraventati in fenomeni paranormali, come in un vortice di metempsicosi, una sovrapposizione del passato sul presente che è l’allergia al futuro dell’Italia presa in ostaggio da un ossesso e dalla sua banda di sopravvissuti.
L’estetica della casa, le maglie nere a giro collo sotto il doppiopetto sempre più largo, le escort e l’ennesima nuova Minetti, la signorina Pascale presentata come fidanzatissima, che alla di nuovo spiritata Santanché pare «una cosa bellissima», il coordinamento di Verdini, la interruptio dei processi, il libro ripaga del ragionieri Spinelli, il conflitto di interessi, la reiterazione dello stalliere fantasma e l’aggiornamento dei soliti mostri da Brunetta a Samorì, da Lavitola a Briatore...: così il
déjà vu diventa
allucinazione estenuante a cui nessuno può sfuggire.
Ma se davvero Berlusconi provocherà il
déjà vu in
tutti, non ci saranno buchi di campagna dove nascondersi, dove sottrarsi al contagio di questa malattia. Lui dice «io sono stato uno dei capi di governo più autorevoli» e la frase da megalomane manicomiale risuona come un’eco diabolica perché il
déjà vu,
sosteneva già Sant’Agostino che di Tempo se ne intendeva, è un’affezione prodotta per influsso degli spiriti maligni, “il tempo a piramide” secondo il bel libro che il filosofo italiano Remo Bodei ha dedicato proprio al
déjà vu.
Come possiamo dunque salvarci da questa nuova trappola di Berlusconi che prima cercava di stupire e ora prova a instupidire? Ecco: per non lasciarci trasportare dal fiume di già visto, già vissuto, già detto e già fatto dobbiamo a tutti i costi abbandonare la surrealtà e ributtarci nella realtà. Concentriamoci subito sui veri protagonisti della prossima campagna elettorale, da Bersani a Monti, da Grillo al grande partito dell’astensione. Berlusconi era già ai margini ed è ancora ai margini. Vuole spaventarci con il
déjà vu come
spaventano la telecinesi, i venti gelidi, i tavolini che ballano, l’apparizione degli spettri. È questo il dinosauro che ha tirato fuori dal cilindro: il
déjà vu.