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 2012  dicembre 06 Giovedì calendario

METTI UNA DONNA IN CURVA


GOOOL!!!L’urlo mi esplode in gola e, prima che me ne renda conto, mi metto a stampare pacche sulle spalle a vicini sconosciuti, mulinando le braccia come un hooligan. Come ci sono finita io, allo stadio, a esultare in modo sgangherato per un tiro messo a segno da un calciatore di cui ho memorizzato il nome solo qualche minuto fa? Tocca invocare la moviola.
CINQUE GIORNI PRIMA
«Ti prego, non parlarmi di calcio», imploro al telefono Laura, una collega che lavora a Sky Sport.
Che t’ha fatto, il calcio?
«Mi ci sono immolata. Con due figli maschi, sono una specie di vestale del pallone. Ma è una relazione senza passione, la nostra. Fredda, è la parola giusta. Credo di aver scaldato gli spalti di ogni campetto brumoso di Milano e provincia».
Allora sarai un’esperta!
«Macché, per quanto mi concentri, intorno al decimo minuto mi cala un provvidenziale effetto-dissolvenza e prendo a fantasticare per conto mio. Perdendomi puntualmente le azioni salienti dei figli».
Ma qui si parla di Champions, Europa league, dai, roba più avvincente...
«Sentimi bene, ho un marito interista, un figlio adolescente juventino, un piccolo snob che tifa Barcellona e due fratelli milanisti. Il palinsesto televisivo della mia settimana è popolato di omini su sfondo verde. Ma potrei starmene comodamente altrove, per l’attenzione che mi dedicano». E allora stupiscili! È fatta, settimana prossima ti porto nel posto preciso in cui vorrebbero stare i tuoi: dentro gli stadi della Champions. Il telecomando lascialo a loro.
È andata così: dopo anni a sabotare weekend e feste comandate con campionati e partite amichevoli; a scrostare a mano scarpini e parastinchi (sono una fan dei campi sintetici!); ad ammonticchiare bucati acrilici, tra divise, tute e "completi da passeggio"; a curare gli esiti bronchiali del "niente di meglio di una sgambettata sotto la pioggia, per temprare il fisico". Insomma, dopo il tipico calvario che tocca in sorte a ogni mamma del calcio, finalmente, un martedì mattina, esco di casa col mio bel trolley fiorato. Direziono Torino, per Juventus-Chelsea, e poi Bruxelles, per Milan-Anderlecht, partite cruciali per le squadre italiane in Champions league.
Se mai mi fossi illusa di diventare per qualche giorno l’eroina di famiglia, lo "sgrunt" cubitale che i tre maschi di casa hanno dipinto in fronte provvede a smontarmi. Meglio così. Addio. Anzi: adieu!
1’: «È nuovissimo, uno dei più belli d’Europa»: lo Juventus Stadium di Torino inorgoglisce i miei accompagnatori. Per non fare la figura della frescona, oppongo un’imperscrutabile arietta smaliziata. In realtà per me è tutto nuovissimo, da togliere il fiato: è il mio battesimo dello stadio. Sssh. All’inizio sembra solo tutto più grande, più vivido e rumoroso... Quasi mi commuovo notando che, dalla mia postazione, leggo nitidamente i nomi dei giocatori, che le riprese televisive a volo d’uccello rendevano, al mio sguardo presbite, intercambiabili come gli omini del Subbuteo.
5’: C’è da dire che imparo in fretta: in cinque minuti sciorino con destrezza espressioni come: "i blues", "la vecchia signora", "i gobbi" (per voi profane: i giocatori del Chelsea, la Juve, gli juventini). Registro l’accezione pallonara di altri termini, come "fraseggio" e "percussione". Mi esercito col vicino, un distinto signore coi baffi, imbastendo frasi a caso, tipo: «Impressionante la percussione di Oscar, ne conviene?».
11’: Un ululato rimbalza tra gli spalti segnalandomi la prima palla pericolosa per la Juve. E finalmente noto Gigi Buffon. Incredibile che mi sia sfuggito fin qui, con la vistosa tonalità di rosa del suo completo da portiere (a occhio una nuance Barbie). Sui pigiamini di Buffon sono molto ferrata: ore da spettatrice passiva di Mondiali ed Europei hanno scatenato la mia fantasia. Mi sono sempre chiesta: li conserverà in un armadio, allineati in ordine cromatico? Si farà aiutare dalla Seredova o sceglie da sé? E qual è il criterio? Coordinarsi con la squadra? Col portiere nemico? Ama l’effetto ton sur ton o predilige il fluo, per ipnotizzare gli attaccanti?
20’: A riportare la mia attenzione in campo, o almeno intorno al suo perimetro, e (orrore!), un manipolo di tifosi del Chelsea a torso nudo. Il mio pensiero corre alle loro mamme, cui ora toccherà scoprire la bravata in mondovisione. Mi par quasi di vederle, quelle povere signore londinesi dai capelli cotonati, congedarsi dagli scriteriati in trasferta con un bacio in fronte: «Copriti, che allo stadio fa freddo!». Per conto mio, col piumino da missione artica, comincio ad accusare un po’ di soffoco.
29’: Mi ridesta dalle fantasticherie una gomitata del signore baffuto, con cui ormai ho fatto amicizia: «Destro rischioso di Ramires del Chelsea!», mi informa con sollecitudine. Sarà che il ragazzo in questione – Ramirez, non il baffo – risulta piuttosto aitante, ma si fa largo nei miei pensieri la seguente evidenza: in campo succeda quel che succeda, ma il match dell’eleganza è vinto a tavolino dai giocatori del Chelsea. Surclassando la già notevole maglia istituzionale, un lupetto blu elettrico coi profili bianchi, i blues sfoggiano per l’occasione una versione grande soirée, impreziosita da numeri d’oro zecchino sulla schiena.
30’: Fatico a condividere le mie osservazioni estetiche col baffo, ora completamente imbozzolato da sciarpe bianconere. Va anche peggio col suo compagno, paonazzo per il tifo e meno amichevole, che comincia a domandarsi chi sia questa aliena infagottata e fuori sincrono: sono l’unica anima dello stadio seduta composta, quando un tiro chirurgico manca di poco la porta juventina. Mi consolo: dalla mia posizione posso vedere tutti i 41mila spettatori congelati in piedi con le mani sulla testa: conferma vivente che gli studi degli antropologi sulle reazioni istintive ci vedono giusto.
33’: L’effetto wow non dura. Fortuna che a scaldarmi ci pensa la curva sud, una specie di polifonica ruggente: è chiaro che sono quelli che si divertono di più, prima che me ne renda conto, sto canticchiando i loro irripetibili coretti.
38’: Juventus-Chelsea 1-0: Il mio aplomb resiste al primo goal di Quagliarella, mentre intorno a me si libera un boato di esultanza. Con enfasi da sagra paesana, lo speaker celebra l’autore del gol: «Faaabio Quagliarellaaa», e giù musica da far ancheggiare pure i guardalinee. Come spesso accade in queste circostanze, provo un moto di compassione per il portiere del Chelsea. Che per di più, povero, indossa una cuffia protettiva, chissà cosa si è fatto.
40’: Registrato il gol, mando un messaggio ammiccante ai ragazzi, ma da casa mi oppongono un silenzio dignitoso.
INTERVALLO. Rientro, sempre più accaldata e incrocio lo sguardo di Alena Seredova, sfinge bellissima e un po’ annoiata. Vorrei chiederle dei pigiamini del marito, ma desisto. Diamine, siamo seri: basta fantasticherie e dissolvenze. Mi riprometto di riscattare il mio deficit d’attenzione nel secondo tempo.
14’: Ragazze, ripetete con me: «Un giocatore si dice in fuorigioco quando – nel momento in cui un compagno gioca il pallone — si trovi al di là della linea del pallone e tra lui e la linea di porta avversaria non ci siano almeno due giocatori avversari". Quante volte ve l’hanno spiegato? Riuscireste a ripeterlo? Io neanche a fare un disegnino. Il fuorigioco è un rovello di circostanze avverse, una regola inutilmente vessatoria. Insomma, sono contro. Ciò nonostante, talvolta mi capita di riconoscerne uno e, come una scolara secchiona, segnalo quello del bianconero Quagliarella. Pignoleria non troppo apprezzata, nel cuore della tifoseria juventina.
16’: Ah, ma sul gol del 2-0 di Vidal la mia imparzialità vacilla; stringo la mano al signore coi baffi che, per tutta risposta, mi cede una delle sue sciarpe, così sintetica che temo possa incendiarsi alla minima frizione. Reprimendo la naturale avversione al merchandising di ogni tifoseria, la drappeggio intorno al collo con sobria gratitudine (in fondo sul piumino bianco non stona poi troppo), augurandomi che nessuna delle 17 telecamere vantate dalla collega di Sky mi stia inquadrando proprio in questo momento.
33’: Ma ormai sono calda, mi accorgo che tutti quegli anni a presidiare i campetti mi hanno quantomeno preparata ad aspettarmi che a una determinata azione segua un calcio d’angolo o una rimessa dal fondo. Tutta questa saccenteria mi fa sentire una cosa sola con lo stadio: esulto, protesto, respiro con gli altri. Siamo davvero "una squadra bellissimi".
40’: La mia partecipazione al gioco però subisce un’impennata quando ammoniscono per gioco scorretto l’algido Marchisio, per rendere l’idea, l’Helmut Berger dei centrocampisti. Intorno a me i tifosi insorgono: «Quello è un fenomeno». Trovo anch’io che lo sia, ma dubito che intendiamo la stessa cosa. A scanso di equivoci, mi unisco alla protesta.
46’: «Goool, Giovinco Giovinco Giovinco». Sul 3-0 parte ogni freno inibitorio: salto, agito la sciarpa dell’amico baffuto sfidando il rischio roghi, mi unisco ai cori, producendo gorgheggi in controcanto che non sfigurerebbero un B movie degli anni Settanta. L’emozione è tale che, a un certo punto, mi par persino di ricordare di essere stata juventina da bambina (per la cronaca, il giorno dopo, davanti ad AnderlechtMilan 2-1, mi pungerà vaghezza d’aver tifato, un tempo, per il Milan). Ma proprio mentre, libera dal piumino, saltello come un’ape impazzita sugli spalti, uno dei miei figli, il piccolo, finalmente rompe il riserbo e si decide a richiamare. Potrei declamargli a memoria l’intera telecronaca. «Mamma hai visto il palo?», mi chiede invece lui, evocando l’episodio meno rilevante di questa epica serata. Il palo? Che palo? Dannata dissolvenza.