Roberto Raja, Foglio dei fogli 10/12/2012, 10 dicembre 2012
Lohengrin e’ un precario, come Mameli – Venerdì 7 dicembre, Prima della Scala: la stagione del bicentenario di Verdi e Wagner s’è aperta con il Lohengrin diretto da Daniel Barenboim
Lohengrin e’ un precario, come Mameli – Venerdì 7 dicembre, Prima della Scala: la stagione del bicentenario di Verdi e Wagner s’è aperta con il Lohengrin diretto da Daniel Barenboim. Lo spettacolo non ha esaurito le polemiche sulla preferenza accordata per l’occasione a un titolo wagneriano. In sala il presidente del Consiglio Monti, cinque ministri e il pubblico consueto delle Prime scaligere. Puntuale alle cinque della sera, Barenboim è salito sul podio e ha dato l’attacco all’orchestra. Nel pianissimo, sono risuonate le prime note del Preludio dell’opera. Tutto come da programma, se non fosse che in molti si aspettavano quelle dell’Inno di Mameli, che si esegue ormai per tradizione anche se il cerimoniale lo prevede, «obbligatoriamente», solo se è presente il capo dello Stato. E venerdì a Milano Giorgio Napolitano non c’era: qualche giorno prima aveva annunciato la sua assenza a causa del «momento cruciale» e degli «impegni istituzionali» che l’avrebbero trattenuto a Roma. [1] «Come in un giallo che si rispetti la soluzione arriva solo alla fine. Al termine dell’opera, dopo già cinque minuti di applausi (che si moltiplicheranno poi), si apre il sipario e Daniel Barenboim, con orchestra e coro sul palcoscenico, dirige l’Inno di Mameli. Applausi per tutti e tutti felici e contenti a casa sotto la neve. Ma l’enigma dell’Inno (e quale Inno), non eseguito in apertura, ha tenuto banco per tutta la serata con varie interrogazioni su cerimoniali da seguire, ruoli istituzionali, scelte politiche». [1] Scelta programmata, dimenticanza, rimedio in corso d’opera? «Una possibile risposta matura nel secondo intervallo. Poiché si attendeva anche José Barroso, presidente della Commissione europea, la Scala aveva predisposto di eseguire sia l’Inno italiano che quello europeo. Ma poiché Barroso è rimasto bloccato in aeroporto dalla neve il cerimoniale è andato sottosopra». [1] La versione della Scala: «Tutto concordato. Monti e Barenboim si sono sentiti e hanno deciso il da farsi: Inno sì, e con il coro. “È stata una decisione presa per non rovinare la magia del preludio e perché c’era il desiderio di premiare il coro, portandolo sul palcoscenico”, dice il sovrintendente Lissner». [2] La versione vera, secondo Alberto Mattioli: «Barenbùam è entrato in buca, è salito sul podio e... si è dimenticato dell’Inno. Il percussionista è rimasto con le bacchette a mezz’aria sul tamburo. Il maestro si è rivolto invece ai violini, prendendoli completamente di sorpresa (e infatti non è che l’attacco sia stato ineccepibile). Comunque alla fine Mameli ha santificato la festa alla grande, in ritardo ma con anche il coro». [3] Tutti molto applauditi gli interpreti, prevedibili contestazioni al regista Claus Guth. «Trionfo per Barenboim, trionfissimo per il protagonista Jonas Kaufmann, che è un ossimoro vivente: tenore e intelligente, bello e bravo. Nel successo c’è lo spazio anche per la storia di Annette Dasch, Elsa “last minute”. Va premesso che questo Lohengrin è stato funestato da uno strano virus che colpisce solo le donne della compagnia di canto e solo i soprani. […] Dopo la generale del 1° dicembre è finita fuori combattimento la primadonna titolare, Anja Harteros. Per la primina del 4, è stato chiamato un soprano di rimpiazzo, Ann Petersen. Ma prima della primona si è ammalata anche lei. Morale: giovedì pomeriggio la Scala ha chiamato la sostituta della sostituta, appunto la Dasch, che oltre a essere molto bella ha dei nervi d’acciaio». [3] Annette Dasch, berlinese, ha 36 anni: «Voce ben nota al Festival di Salisburgo, […] aveva già interpretato più volte il ruolo di Elsa a Bayreuth. Nel 2010 persino in coppia con Jonas Kaufmann». [4] È arrivata a Milano giovedì notte, dopo l’una, da Francoforte. Alle otto di venerdì era in teatro per un tour de force di prove con il regista e il direttore. «Con sé ha anche la figlia Fanny di dieci mesi e a ogni intervallo, sia delle prove che dello spettacolo corre ad allattarla». Sabato mattina è ripartita per la Germania: in serata doveva cantare nella Finta giardiniera di Mozart. [2] Piccolo imprevisto per la Dasch nel secondo atto: «Il suo vestito si è impigliato nella scenografia. Ma lei con grande sangue freddo l’ha sganciato continuando a cantare come se nulla fosse». [5] Il vestito da sposa di Elsa-Annette Dasch, «un omaggio all’abito che Claudia Cardinale indossa nella famosa scena del ballo nel Gattopardo» di Visconti. «Ma nel foyer alcune signore commentavano la somiglianza dell’abito da sposa con quello di Kirsten Dunst in Melancholia di Lars von Trier». [6] «Guth costruisce una storia che visivamente pare uscita dai Buddenbrook di Thomas Mann. I costumi di metà Ottocento, eleganti ma austeri, dichiarano la natura ordinata, austera della nuova borghesia: onnipresente in scena domina un pianoforte verticale, nero, simbolo di educazione, ma soprattutto di disciplina. Lì approderanno gli snodi emotivi del racconto. Lì vediamo la piccola Elsa muovere garbata le piccole mani, in un flash-back di suggestiva efficacia narrativa (brava Alice, una bimba delle voci bianche scaligere), lì la ritroviamo cresciuta, anche lei piena di nevrosi. Come Lohengrin». [7] Il protagonista: «Con gran dispetto dei tradizionalisti, che pur che appaia il cigno che trasporta Lohengrin, gli va bene anche piombato malamente dal cielo o cigolante su rotaie, Guth faceva apparire ogni tanto un ragazzo con una sola ala bianca, e anche pioggia di piume qua e là». [8] «Il Lohengrin di Kaufmann e Guth […] non è un eroe tutto d’un pezzo, ma un eroe a pezzi. Pronto per il lettino del dottor Freud. Un eroe fragile, dubbioso, incerto sul futuro: precario. […] Questo Lohengrin che si guarda preoccupato alle spalle anche quando conduce l’amata all’altare parla di noi». [3] Il presidente del Consiglio Monti è arrivato alla Scala con la moglie Elsa dieci minuti prima dell’inizio dello spettacolo. Nessuna dichiarazione. Solo una battuta all’uscita: «Il Re Sole si è un po’ allontanato da me». «Gli era stato fatto notare: “La vediamo un po’ pallido”». [9] Ma Monti è come Lohengrin? «Sì, forse, visto che l’aiuto nell’opera arriva dall’alto. Ed è quello che succederà anche al governo» (il ministro per i rapporti con il Parlamento, Piero Giarda). [10] Oltre a Monti e a Giarda erano alla Scala i ministri Ornaghi (Beni culturali), Grilli (Economia), Passera (Sviluppo economico), Terzi (Esteri). Rosanna Cancellieri (Interno) è rimasta a Scampia. In teatro, «un foyer elegante e non penitente, colorato e non mortificato. Con tocchi di rosso (tanti) e di verde, oltre al nero di ordinanza. E con due regine, entrambe in bianco: l’ereditiera kazaka Goga Ashkenazi, per mano a Lapo Elkann (lei veste Vionnet, il marchio che ha comprato, lui uno smoking di velluto color carta da zucchero, con cravatta, “come il duca di Windsor”), e Tea Falco, musa di Bernardo Bertolucci (di Alberta Ferretti la sua tunica). […] Veli, sete, broccati. Pellicce e gioielli, anche se tutti minimizzano attribuendoli ad avite eredità (ma gli smeraldi di Marta Brivio Sforza e i rubini di Marinella Di Capua brillano in tutto il foyer) o a fortunosi ritrovamenti (“lo zibellino? Era in un armadio…”)». [11] In sala, ospiti del sovrintendente in scadenza Stéphane Lissner, anche «la sua nuova datrice di lavoro, la ministra francese della Cultura Aurélie Filippetti e quello che, se in Italia i politici pensassero, sarebbe il suo successore più indicato, Alexander Pereira, sovrintendente di Salisburgo (che non a caso trova l’inaugurazione “impressionante, bellissima”)». [3] Fuori dal teatro, poca gente sotto la neve. Pochi anche i manifestanti (altra tradizione del Sant’Ambrogio scaligero). «Una contestazione piuttosto dimessa rispetto agli anni passati, con due centri sociali che portano in piazza circa settanta ragazzi. Tra cori e slogan ripetono il messaggio che tengono alto su uno striscione: “Fuck austerity”». [5] L’altro Lohengrin alla Prima della Scala nel 1981, sul podio Claudio Abbado, la regia era di Giorgio Strehler, le scene di Ezio Frigerio: «In sala c’è anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini. È in visita privata a Milano, ha lasciato il palco ai ministri (Rognoni, Signorello, Andreatta) e siede in una poltrona di quinta fila. All’ingresso in teatro lo ha salutato un lungo applauso, con tutta la platea in piedi. La Scala è affollatissima, si rivede qualche smoking e qualche toilette delle stagioni dell’opulenza, ma senza eccessive ostentazioni. Uno spettatore su tre è straniero». [12] «Caro Maestro, ricordo ancora con emozione di aver assistito alla rappresentazione del Lohengrin la sera del 7 dicembre 1981, in un magnifico Teatro alla Scala nel quale sedeva, in platea, il presidente della Repubblica Sandro Pertini. L’opera torna dunque a Milano per Sant’Ambrogio dopo trent’anni: e allora, buon ritorno, buona prima!» (Giorgio Napolitano nella lettera inviata a Daniel Barenboim). [13] (a cura di Roberto Raja) Note: [1] Pierluigi Panza, Corriere della Sera 8/12; [2] Paola Zonca, la Repubblica 8/12; [3] Alberto Mattioli, La Stampa 8/12; [4] Giuseppina Manin, Corriere della Sera 8/12; [5] Corriere della Sera 8/12; [6] La Stampa 8/12; [7] Carla Moreni, Il Sole 24 Ore 8/12; [8] Natalia Aspesi, la Repubblica 8/12; [9] Marco Galluzzo, Corriere della Sera 8/12; [10] Egle Santolini, La Stampa 8/12; [11] Annachiara Sacchi, Corriere della Sera 8/12; [12] www.cinquantamila.it; [13] www.unita.it, 2/12.