Cristina Lacava, IoDonna 8/12/2012, 8 dicembre 2012
DA GRANDE VOGLIO AVERE UNA STELLA
OGGI A SCUOLA è la giornata del riso: insalate, risotti, supplì, crocchette. I ragazzi rimescolano e spignattano sotto l’occhio vigile del prof. Chiedo preoccupata se il pranzo sarà monotematico ma vengo rincuorata: dopo il risotto alla zucca il menu prevede un’orata in crosta, poi la torta sbrisolona. I piatti sono cotti a puntino, gli studenti prendono il massimo dei voti. L’insegnante sorride, è fatta.
Siamo all’istituto alberghiero Carlo Porta di Milano, uno dei più quotati d’Italia: da qui è uscito Davide Oldani, patron del D’O di Cornaredo. Al Porta c’è una tale richiesta che ogni anno 150 ragazzi restano fuori: «Le domande sono al 60-70 per cento per l’indirizzo cucina» specifica la vicepreside, Paola Mattia. «Le altre due specializzazioni, sala e accoglienza, sono in crisi. La professione del cuoco oggi è considerata di altissimo livello, come in Francia. Tutti sognano di diventare Carlo Cracco». Nell’attesa, si accontentano di vedere il loro idolo in tv: giovedì 13 dicembre inizia la seconda stagione di Masterchef Italia (alle 21.10 su SkyUno HD), con gli stessi giudici della prima (oltre a Carlo Cracco, Joe Bastianich e Bruno Barbieri) che promettono di essere ancora più spietati.
Ma qual è il percorso giusto per diventare un artista dei fornelli? E come si passa dalla cucina di una scuola a quella di un ristorante stellato? Quanta teoria c’è, quanto sudore? Cerchiamo di capirlo proprio partendo da questa sala da pranzo, insieme allo staff del Carlo Porta. Il primo passo è chiaro, riguarda le iscrizioni alle superiori. E se nel 2012/13, a fronte di un calo nei licei, sono cresciute le domande per i tecnici e i professionali, l’aumento più sensibile lo hanno registrato soprattutto gli istituti alberghieri, che passano dall’8,50 per cento del totale nel 2011/12 al 9,50. I ragazzi che sperano in un futuro da chef sono sempre di più, quelli che preferiscono Omero, sempre meno. Una curiosità: l’indirizzo cucina è il preferito dai primi della classe. «Oggi servono buone basi di cultura generale e scientifica per fare il cuoco» chiarisce la vicepreside.
Il passaggio dalla teoria alla pratica è affidato agli stage. «Abbiamo convenzioni con i migliori alberghi di Milano, dal Four Seasons al Principe di Savoia, al Park Hyatt. Per i meritevoli è una buona opportunità: all’Armani Hotel hanno già assunto alcuni nostri alunni». Una volta ottenuto il diploma (la riforma Gelmini ha reso obbligatorio il quinquennio, tagliando però drasticamente le ore di laboratorio), agli aspiranti Gordon Ramsay si aprono diverse possibilità. La prima è mettersi subito in pista per cercare lavoro, e funziona. Secondo i dati appena resi noti da Unioncamere, su 10.000 richieste di assunzioni di diplomati nel settore alberghiero nel 2012, solo un quarto è rimasto inevaso.
Molti però preferiscono andare avanti nella formazione. All’istituto alberghiero di Sciacca si punta sull’internazionalizzazione: «Organizziamo corsi post maturità all’estero, finanziati da progetti europei» dice con orgoglio il preside Pietro Antonio Amato. «Un’esperienza lontana - i nostri vanno in Russia o a Montreal - è molto utile e fa curriculum».
Un’altra strada percorribile è l’iscrizione all’università, ai corsi di Scienze gastronomiche o Tecnologie alimentari negli atenei statali (per esempio a Milano, Padova, Parma) o privati, come l’università degli studi di Scienze gastronomiche di Pollenzo, in provincia di Cuneo (unisg.it), fondata da Slow Food nel 2004.
Ma per chi vuole dedicarsi esclusivamente ai fornelli, il percorso obbligato è un corso di perfezionamento privato. E costoso. «Si tratta di fare un investimento sul futuro. Chi sceglie l’università spende migliaia di euro per almeno quattro anni, senza nessuna certezza» dice Andrea Sinigaglia, direttore operativo di Alma, la scuola internazionale di Cucina italiana che ha sede nella Reggia di Colorno, e ha come rettore Gualtiero Marchesi. Nel settore, Alma è leader indiscussa. «Il nostro corso forma cuochi professionisti. Dura un anno, costa 12.000 euro ma permette un risultato sicuro: un mese dopo il diploma, il 90 per cento dei nostri alunni ottiene un lavoro in linea con la sua formazione» continua Sinigaglia. E questo grazie a una fitta rete di collaborazioni - 500 ristoranti italiani, 16 scuole all’estero, di cui una in Cina - e a un servizio di placement online, Almalink. Ad Alma si entra con un diploma di scuola alberghiera o dopo un’esperienza lavorativa biennale. Nel 2004 il Corso di Cucina aveva 17 studenti; oggi 160. Un terzo tra loro riceve un’offerta di lavoro prima di concludere gli studi.
Se Alma è la Bocconi delle scuole di specializzazione, ci sono però anche altre realtà, più piccole, molto interessanti. Come i Corsi di Cucina italiana professionale di Niko Romito a Castel di Sangro, in Abruzzo, unica struttura accreditata per il Centro-Sud. Nella sede di Casadonna, 15 studenti selezionati seguono un corso di 18 settimane, anche qui per 12.000 euro: «Per la parte teorica, ci affidiamo ai docenti dell’università di Pollenzo» dice Niko Romito, 2 stelle Michelin. «Per la pratica, la nostra forza è il fatto che ci troviamo in una riserva naturale, abbiamo l’orto, siamo inseriti nella realtà produttiva». Il nuovo corso partirà nella primavera 2013. Le altre (vedi box) restano tutte su numeri piccoli, però i prezzi sono più o meno gli stessi.
CONCLUSA LA FORMAZIONE scolastica non si finisce però di imparare. «Gualtiero Marchesi ripete spesso che noi formiamo cuochi, non chef. Tra 100 cuochi, solo uno o due potranno ambire alla qualifica più alta» dice Sinigaglia. I ragazzi devono armarsi di pazienza, essere umili e confidare nel proprio talento. Il percorso è appena iniziato. «Servono almeno altri 2-3 anni per affinare le competenze, lavorando in cucina, meglio se all’estero» dice Sinigaglia. I guadagni, in questa fase, si aggirano sui 1.000-1.200 euro al mese. Neanche male, per un giovane. E quando si fa carriera? «Un capopartita, cioè il responsabile di settore, prende intorno ai 2.500. Uno chef sui 4.000, ma c’è una parte variabile che dipende da eventi, catering...». In quanto all’Ibrahimovic del caso, siamo su un’altra scala, «perché spesso il grande chef è titolare del ristorante, scrive libri, fa programmi tv, pubblicità. Ma al top sono pochissimi». D’accordo, però è lecito sognare.