Anna Maria Speroni, IoDonna 8/12/2012, 8 dicembre 2012
CONFONDO REALTÀ E FANTASIA PERCIÒ MI INNAMORO DEGLI ATTORI"
[Ma quando lavoro non mi preoccupo di sembrare bella o brutta precisa Lunetta Savino. Ora al cinema sarà una settantenne. A noi ha raccontato di quando si esibiva come insegnante di sesso... Very hot] –
AL POSTO suo, un’altra si sarebbe offesa: interpretare la mamma di Antonio Albanese, solo sette anni meno di lei? (e su chi sembri più giovane tra i due, con tutta la simpatia per Albanese, ci sarebbe da discutere). Invece Lunetta Savino non si è scomposta: «Non mi preoccupo mai di apparire bella o brutta quando lavoro: quello che funziona per il ruolo, per me va bene: Mi piace trasformarmi e lavorare sul corpo». In Tutto tutto niente niente, al cinema dal 13 dicembre, Savino è, appunto, la madre di Frengo, uno dei tre personaggi di Albanese nel film: parrucca grigia, una specie di divisa militare addosso, davvero nulla a che vedere con la signora elegante che ci troviamo di fronte, sul divano bianco della sua casa romana. «Sono una di quelle madri che sfruttano il ricatto morale (ecco, mi trascuri...) per incastrare il figlio».
Lei, invece, che tipo di mamma è?
Una tipica mamma del Sud: continuo a rifornire mio figlio di derrate alimentari, forse perché è magro.
Lo è anche lei, anzi ha dichiarato di piacersi di più oggi che a scanni. Un consiglio per le donne meno fortunate?
Non lo so. Io davvero mi vedo meglio adesso. Con l’età sono riuscita a dare di me un’immagine che mi corrisponde, e non è solo questione di come vestirsi o truccarsi: mi sento più "compatta". Prima, mi stavo cercando. E avevo difficoltà a trovare soluzioni ai momenti bui. Adesso so come fare.
Ce lo dica?
Li affronto. Ho capito che non puoi sfuggire il dolore: devi accoglierlo. Ho imparato a non lasciarmi sopraffare, a compensare in fretta con ciò che ho di buono. Questa casa, per esempio: a volte quando arrivo al portone guardo il palazzo e mi dico "però Lunetta, che brava sei stata, guarda dove vivi". E siccome è tutta farina del mio sacco che come una formichina sono riuscita a mettere insieme, per me è un rifugio dalle intrusioni esterne, un luogo dell’anima oltre che uno spazio fisico.
Nel lavoro è arrivata tardi al successo. Nella vita sentimentale?
Esiste un successo nella vita sentimentale? Non riesco a pensare alla mia in maniera lineare. E quando vedo coppie di amici (sempre più rari, in verità) che reggono nel tempo 30 o 40 anni, sono curiosa di capire se c’entra la fortuna di aver incontrato la persona giusta in giovane età o se, come credo, sia l’indole che ti porta a essere costante. Non che io sia incostante, ho avuto storie importanti. Però non quella che dura tutta la vita. E non so fino a che punto vi aspirassi, se è stato per scelta o per caso. Adesso ho un compagno da sette anni, Paolo Bessegato, attore soprattutto teatrale. Mi sono innamorata spesso degli attori, anche perché facevo un po’ di confusione tra realtà e fantasia.
Succede anche a chi è del mestiere?
Sì, ho questo tipo di romanticismo un po’ ingenuo: mi piace talmente il mondo della finzione che a volte confondevo il personaggio con Fattore. E successo con mio marito, per esempio (Franco Tavassi, attore e regista, ndr).
Il mondo della finzione le piace, ma a un certo punto aveva deciso di smettere.
Mi sentivo tradita. Il mestiere non mi restituiva quello che avevo investito: lavoravo poco ed ero mal pagata. Così, quando nell’88 è nato mio figlio, non è stato difficile rinunciare. Poi, in un momento difficile (mi ero separata da poco) mi è capitata un’occasione. Le cose importanti mi sono sempre accadute nei periodi di crisi, come se toccare il fondo mi avesse costretto a una virata veloce in un’altra dirczione. L’occasione si chiamava Prova orale per membri esterni: uno spettacolo in cui ero una professoressa che dava lezioni di fellatio come se il tema fosse matematica o fisica. Provavo il monologo chiusa in bagno per non farmi sentire da mio figlio e mi esibivo nei locali, dopo aver bevuto qualche gin tonic per farmi coraggio. Recitavo anche ai festival dell’eros...
Quel pubblico coglieva poco l’ironia, immagino.
Per niente. Aspettavano il momento in cui mi sarei spogliata, cosa che ovviamente non accadeva. È stata dura. L’ho fatto per soldi, solo per soldi. Ma le recensioni furono ottime ovunque, e arrivò la tv con Un medico in famiglia. Due anni fa è arrivato anche Se non ora quando: il movimento l’ha coinvolta dall’inizio. E cambiato qualcosa in questi due anni e mezzo? Secondo me sì. E non solo perché il nome del gruppo è entrato nel linguaggio collettivo. Giuliano Pisapia, per esempio, in giunta a Milano ha messo in pratica l’ipotesi del 50 per cento di rappresentanza femminile. Che non è un fine, ma un mezzo per scompaginare l’uniformità E di sguardo. In apparenza è neutro, perché per tale viene spacciato, in realtà maschile. La realtà è pensata, immaginata, declinata al maschile: lo sguardo femminile non è – previsto. Purtroppo neppure le donne hanno molta fiducia in sé.
Quindi c’è una responsabilità femminile secondo lei?
Sì. Perché se una donna si presenta candidata e ha tutte le carte in regola le prime a sospettare sono le altre? L’invidia femminile non riconosce il merito e si nutre di sfiducia. Qualcosa del tipo: io non so se ce la faccio a stare al tuo posto, però piuttosto che rinunciare tiro giù anche tè. Noi aspiriamo alla perfezione, come se chi ci rappresenta dovesse essere un concentrato di virtù assoluta. Invece siamo imperfette, proprio come lo sono gli uomini. E allora accettiamola, questa imperfezione, e proviamo a vincere la sfida mettendoci in gioco veramente.