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 2012  dicembre 10 Lunedì calendario

ESORCISMO DA CAIMANO: TANTO NON SI CANDIDER

[Pericolo esodo nel partito di b: oggi si vedranno gli ex An vicini ad alemanno e i ciellini di Formigoni. L’ex leader replica: “magari mi libero di zavorra”] –
Silvio Berlusconi ha agitato troppo presto lo scalpo di Mario Monti, euforico per il quadro politico che si andava componendo: voto col Porcellum a marzo e campagna elettorale populista e antimontiana contro Bersani, con un centro “governativo” retrocesso a centrino. Invece la mossa del cavallo del premier, ossia l’accelerazione al timing della crisi, ha spiazzato anche B. e rischia di provocare un altro terremoto nel Pdl. Un altro choc nel giro di cinque giorni. Prima il ritorno in campo del Cavaliere, con la nota di mercoledì sera. Poi “le mani libere” di Monti, preludio a una clamorosa candidatura nel 2013.
Ieri tra molti parlamentari del Pdl c’è stato un fitto giro di telefonate, dopo aver letto di buon mattino lo sfogo che il Professore ha consegnato al direttore del Corriere della sera, Ferruccio de Bortoli. Domande e dubbi per la serie: “Ma tu ci credi che Monti si candida?”.
PERCHÉ se davvero la risposta dovesse essere sì, a quel punto nel Pdl si aprirebbe uno squarcio molto più grande del dissenso circoscritto ai soli Franco Frattini e Beppe Pisanu, i big filomontiani del partito berlusconiano che giovedì hanno continuato a dare la fiducia i tecnici, nonostante l’ordine di astenersi proveniente da Palazzo Grazioli. Attorno al Professore si potrebbero infatti ritrovare vari colonnelli e peones del centro-destra buttati nell’angolo “dal tradimento di Angelino”. L’ombrello per la fuga verso Monti è quello del Ppe, ieri reso ancora più attuale dall’attacco del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz: “Berlusconi è il contrario della stabilità e il suo ritorno può essere una minaccia per l’Italia e per l’Europa”. Parole pesanti che tratteggiano l’immagine di un Berlusconi isolato. Tanti parlamentari uscenti del Pdl lo seguiranno con il trepidante opportunismo di chi spera in un seggio sicuro tra i nominati del Porcellum. Ma altri, non solo Frattini e Pisanu, sono pronti all’esodo verso il centro montiano. Oggi si vedranno, per l’ennesima riunione, gli ex di Gianni Alemanno (tra cui Andrea Augello), il gruppo ciellino di Formigoni, Lupi e Mauro, ex ministri come Raffaele Fitto e Maurizio Sacconi, alcuni colonnelli della nomenklatura. Dietro la garanzia dell’anonimato dicono due autorevole partecipanti: “Le prossime 48 ore saranno decisive per capire le decisioni finali di Monti. Se si candida, sarà una rivoluzione”. Gli antiberlusconiani del Pdl sono convinti anche che la novità di “Monti in campo potrebbe indurre il Cavaliere a un altro ripensamento”. Fino a sabato pomeriggio lo schema seguito da Berlusconi aveva due pilastri: tenere unito il Pdl e tentare di amputare la vittoria di Bersani al Senato, grazie all’alleanza con la Lega in Lombardia e Veneto. Le “mani libere” del Professore rischiano di farlo saltare perché a quel punto B. non avrebbe più certezze su un recupero al centro, che con Monti passerebbe da centrino a centrone. I fedelissimi del Cavaliere però continuano a seminare certezze: “Il presidente è in campagna elettorale”. Ieri pomeriggio, al termine delle partite della Serie A, Berlusconi ha tenuto un vertice nella sua casa milanese di via Rovani. Niente Arcore.
SUL TAVOLO della discussione, ufficialmente, il ticket Maroni-Gelmini per le regionali in Lombardia. A parlarne è stato l’ex ministro Paolo Romani, subito rintuzzato dal governatore Roberto Formigoni, che tifa per la candidatura di Gabriele Albertini: “A Maroni e alla Gelmini preferisco Coppi e Bartali”. La riunione è iniziata poco dopo le diciotto. Presenti lo stesso Formigoni, Alfano, La Russa, Gelmini, Romani, Mantovani, Santanchè, Formigoni, Lupi, Brambilla e Casero. Il ritorno in campo di B. presuppone la ricostruzione del vecchio centrodestra con la Lega. Ed è per questo che il via libera a Maroni può arrivare solo con “un accordo a livello nazionale”, secondo le parole di Mario Mantovani, coordinatore del Pdl lombardo. Gli ex An del versante larussiano, distinti da quelli di Alemanno e anche da Giorgia Meloni (che ieri è tornata a criticare Berlusconi), sono ancora alle prese con il dilemma della scissione morbida, concordata con il Cavaliere. Questione di seggi. Tutti i nodi dovrebbero essere sciolti entro il 16 dicembre, domenica prossima, quando il “Centrodestra nazionale” degli ex An terrà una convention.
Sorpreso dall’effetto Monti, Berlusconi comunque va avanti per il momento. L’incontro di ieri, per lui, è stato “molto costruttivo e positivo”. Anzi, il paradosso è che tra esodo verso Monti e scissioni varie potrebbe liberarsi di un po’ di zavorra e dare più spazio alle “facce nuove”. Resta però la grossa incognita di una gara a tre, contro Monti e Bersani. Il Cavaliere fa sapere di non temerlo. Per un motivo: è convinto che alla fine il Professore non si candiderà. Un modo per esorcizzare i timori, in vista della battaglia del 10 febbraio, la data considerata più probabile per l’election day.
Fabrizio d’Esposito

CASE LOW COST PER IL PALAZZO [Gli immobili, una passione bipartisan, dopo affittopoli e svendopoli, oggi va forte la plusvalenza: si compra per due soldi dagli enti e si rivende con enormi profitti] –
Se c’è una cosa che accomuna politici di destra e sinistra, è la passione per l’immobile con lo sconto. Il rapporto del politico italiano con il mattone non passa per gli annunci immobiliari, più spesso le case arrivano dallo sterminato patrimonio degli enti pubblici e privati. Affittopoli è stata scoperta dal Giornale nel 1995, svendopoli dall’Espresso nel 2007. Ora tocca a plusvalenzopoli. E il protagonista assoluto è sempre lui: Nicola Mancino. Come altri politici, dopo essere stato in affitto a un canone ridicolo, dopo aver comprato a prezzi stracciati, è riuscito a rivendere guadagnando una bella plusvalenza. L’ex presidente del Senato, indagato per falsa testimonianza a Palermo nell’indagine sulla trattativa Stato mafia, diceva nel 1995 a Il Giornale che lo punzecchiava per l’affitto: “È una brutta casa, piena di spifferi, non ha nemmeno un terrazzo e mi ci sento in gabbia”. La ottenne in affitto dall’Ina nel 1985 e la acquistò nel 2001. L’appartamento è molto grande, 200 metri quadrati, al terzo piano con 2 ingressi, un soggiorno, salone, 2 camere, una cameretta, 2 bagni, cucina e due soffitte. Il prezzo pagato allora fu 1 miliardo e 579 milioni di lire (815 mila euro). Nel 2008 i Mancino rivendono in euro al prezzo incredibile di 2 milioni e 800 mila euro, 90 mila euro valgono solo le soffitte, con tutti gli spifferi. Mancino incassa un reddito esentasse di 1 milione e 985 mila euro. A ruota segue Renato Brunetta, con una plusvalenza da 486 mila euro (vedi l’articolo a pagina 8). Mentre in buona posizione ecco il figlio minore di Clemente Mastella, Pellegrino. Nell’era di affittopoli i Mastella erano inquilini di una casa Ina-Assitalia sul lungotevere Flaminio ma riuscirono a comprarne altre quattro dalla società privata Initium che rilevò il patrimonio per venderlo. A Pellegrino ne andarono due. L’anno scorso ne ha rivenduto uno per comprare un appartamento più grande ai Parioli di 8,5 vani con 4 bagni, 2 camere, cucina, soggiorno grande e 2 balconi, in via Bruno Buozzi. Il salto è stato possibile grazie alla sua casetta ex Ina comprata a soli 175 mila euro nel 2004, ma venduta a 420 mila. La sua plusvalenza è stata di ben 245 mila euro. Un altro caso interessante di acquisto e rivendita è quello del deputato del Pdl di Lamezia Terme Giuseppe Galati. Il 26 maggio 2006 compra un appartamento di 5,5 vani a Milano dell’Inail in un palazzo di via Domenichino. Due mesi dopo lo rivende al suo amico fraterno Roberto Mercuri, poi indagato per le sue imprese nel settore dell’energia in Calabria. Mercuri non avrebbe potuto comprare direttamente perché nello stesso palazzo, allo stesso piano, aveva preso già nel 2005 un appartamento Inail di 9,5 vani catastali. La ratio dell’acquisizione del patrimonio degli enti sarebbe duplice: dare una casa a chi non ha i mezzi per potersela permettere e far cassa mettendo a reddito le abitazioni di pregio, in modo da dare un futuro agli associati. Peccato che guardando come Enasarco (l’ente di previdenza degli agenti di commercio) ha gestito in questi anni affitti e compravendite l’impressione è che sia stato mancato clamorosamente l’obiettivo. “Di solito la percentuale di iscritti all’ente tra gli inquilini è del 60%” dice Luca Gaburro della Federagenti “ma da noi è tanto se si arriva al 4%”. Insomma la stragrande maggioranza degli inquilini Enasarco con il commercio ha poco a che fare. Partiamo da Roma: Garbatella, circonvallazione Ostiense, dove c’è Angiolo Marroni, Pd, già consigliere della regione Lazio, e ora in pensione con un bel vitalizio da ex consigliere. Ha dichiarato di pagare 380 euro al mese per 80 metri quadrati: “Sto in questa casa da tantissimi anni”. Ma nello stesso stabile risiede anche Carlotta Cetica, figlia del ben più noto Stefano ex assessore al Bilancio della Regione Lazio e soprattutto braccio destro di Renata Polverini. Hanno lavorato a lungo insieme all’Ugl, il sindacato della governatrice e proprio la Polverini è stata anche nel collegio sindacale dell’Enasarco quando veniva assegnata la casa alla figlia del suo collega. Al quartiere Parioli il deputato Pdl Francesco Amoruso ha ottenuto una casa di oltre 140 metri quadrati a soli 1.141 euro al mese, con ristrutturazione inclusa, tra l’altro quando presiedeva la commissione parlamentare di controllo sugli enti.
Vendite Quando sono agevolate
L’attuale ministro Patroni Griffi ha comprato una casa dall’Inps al Colosseo, 109 metri quadrati, primo piano, all’incredibile cifra di 177 mila euro grazie allo sconto inquilini che tra l’altro ricorsero al Tar contro l’ente e vinsero, facendo dichiarare lo stabile “non di pregio”. “Ero una persona normale quando ho acquistato casa, come me l’hanno avuta in molti” dice il ministro. Per esempio il parlamentare del Pdl Giuliano Cazzola nello stesso stabile nel 2008 compra un quinto piano di 93 metri quadrati a soli 167 mila euro. Beati loro verrebbe da dire. Ma anche l’attuale sindaco di Roma Gianni Alemanno non se la passa male. Nel 2006 ha preso dell’Inail 140 metri quadri in una via silenziosa dei Parioli per 533 mila euro. “Ho partecipato ad un bando pubblico e non ho avuto sconti perché è stata ritenuta di pregio”, ha detto il sindaco “dovremmo occuparci invece di chi la casa a Roma non ce l’ha, quella è la vera emergenza”. Emergenza che non ha toccato Pier Ferdinando Casini. L’onorevole abitava nel quartiere Trieste con la moglie Roberta Lubich e le due figlie. Dopo la separazione, la famiglia ha comprato l’intero stabile da una società di un amico del leader Udc, Franco Corlaita, che aveva acquistato alla dismissione del patrimonio ex Ina-Assitalia. Il prezzo totale è di appena 1 milione e 800 mila euro per un immobile di 4 piani. Un trattamento di favore? Lo stabile accanto aveva la stessa provenienza (Ina-Assitalia), ma ha seguito un destino diverso. Gli appartamenti sono arrivati, dopo alcuni passaggi, alla WXIII/IE Commercial 4 Srl del nuovo suocero di Casini, Francesco Gaetano Caltagirone, che però ha sfrattato gli inquilini senza riconoscergli il diritto di prelazione, sono infatti in causa. Qualcuno se n’è andato dopo aver lottato in tutti i modi, come Davide Morchio, mentre ad altri toccherà nel 2013. “Io mi sto aggrappando al milleproproghe con la speranza che venga fatto entro l’anno, altrimenti il 10 gennaio mi buttano fuori con la forza pubblica”, dice Anna Carelli una dei 3 “inquilini sopravvissuti” del palazzo. Sicuramente la signora Anna con un reddito inferiore ai 27 mila euro all’anno non riuscirà a comprarsi la casa in cui è stata 40 anni, anche perché Caltagirone un anno e mezzo fa ha ristrutturato il palazzo e vende a circa 11 mila euro al metro. Non certo il prezzo a cui ha comprato il genero.
Come se non bastasse Franco Corlaita ha regalato all’Udc 10 mila euro nel 2004 e la WXIII/IE Commercial 4 srl ha donato altri 100 mila euro nel 2008 al partito di Casini. Piove sempre sul bagnato.
Francesca Biagiotti

PER L’ARMA È UN EURO AL METRO –
Per tanti dirigenti e funzionari dello Stato come degli enti locali, gli immobili sono quasi gratis: e pure di gran pregio. A 44 tra generali e ammiragli sono concessi alloggi di servizio e rappresentanza. Appartamenti enormi, per i quali ognuno dei 44 paga un affitto di un euro per metro quadro. La casa per il capo di stato maggiore dell’Aeronautica, a Roma, si estende su 399 mq di parquet e 143 di marmo. E gode di un terrazzo da 275 mq. Il comandante della 1° Regione aerea è a Milano, in un alloggio da 450 mq, tutti in parquet. In totale per i vertici dell’Aeronautica ci sono nove appartamenti di lusso, forniti anche di personale di servizio. Come raccontato dal Corriere della Sera, tra pulizia, cucina e servizi vari costeranno oltre 2 milioni e 200 mila in quattro anni: tutti a carico dello Stato. Dalle stellette alle forze dell’ordine, si arriva agli appartamenti di alcuni dirigenti di polizia, a Roma: concessi dal Viminale “con criteri arbitrari legati a motivi di sicurezza” come spiegarono dal ministero . A fare l’elenco l’anno scorso è stato un dossier di un sindacato di polizia, il Silp Cgil . Spicca l’appartamento per l’ex questore, pur in pensione: 150 mq nel quartiere Salario. Una casa di pregio, grazie anche a sette ristrutturazioni in tre anni. Di certo ragguardevole anche l’alloggio per la segretaria del capo della Polizia, Antonio Manganelli: 200 mq, in piazza del Collegio Romano.
MA IL CASO più curioso è quello del direttore della banda musicale della polizia, Maurizio Billi, anche a lui una casa “di servizio”. “Tutto regolare, me lo diede anni fa il capo della Polizia” la sua replica. Ma i privilegi non sono solo alle divise. L’anno scorso gli ispettori del ministero dei Beni Culturali hanno scoperto che decine di appartamenti nei luoghi più belli di Firenze, tutte all’interno di siti museali, erano affittate a canoni ridicoli. Per un appartamento di 90 mq nello splendido giardino di Boboli, parco annesso a Palazzo Pitti, si pagavano 242 euro al mese. L’affittuario è l’ex soprintendente ai Beni Culturali di Firenze, Domenico Valentino. Non un caso, visto che la gestione diretta di 26 appartamenti a Boboli è stata affidata proprio alla soprintendenza. O gli 80 mq per Fulvia lo Schiavo, ex soprintendente archeologica, in pensione, che paga 231 euro al mese; quindi i 106 mq per la funzionaria Francesca Nannelli (282 euro mensili). I 26 canoni d’affitto sono comprensivi di riscaldamento, posto auto, custodia e vigilanza. Tutto a norma di legge, grazie a un regolamento della soprintendenza del 2005. Ma nella loro relazione gli ispettori del ministero hanno picchiato duro: “L’esame del regolamento e dei contratti evidenzia un notevole allontanamento dei canoni concessori applicati dai reali prezzi di mercato”. Sullo sfondo, ci sono le ricorrenti “affittopoli”, a Roma come a Milano. Case come quelle del Pio Albergo Trivulzio, nei quartieri bene di Milano, affittate a vip come il dg del Milan, Ariedo Braida, la ballerina Carla Fracci e il nipote dell’ex sindaco Pillitteri. Era il febbraio 2011, quando il caso esplose. Nell’elenco, anche la compagna del sindaco Pisapia, Cinzia Sasso: 6800 euro l’anno per 118 mq in pieno centro. Si difese con una lettera pubblica: “Avevo preso la casa nel 1989, quando ancora non conoscevo Giuliano: ho appena chiesto la disdetta del contratto scaduto nel 2008”.
Luca De Carolis

IL “FORTINO” RISERVATO AI FRATELLI DE GENNARO [Roma, in un parco nel cuore della città, uno splendido edificio di due piani, proprietà del ministero: ci abitava Gianni, poi i lavori e oggi è passato ad Andrea, generale] –
Le catacombe a due passi, il centro di Roma poco lontano, un edificio a forma di ferro di cavallo immerso nel verde, muri arancioni, tetti in cotto, infissi verde rustico. É l’ex sede della direzione investigativa antimafia, zona Salaria, Roma nord. Oggi l’edificio, di proprietà del Ministero dell’Interno, ospita la Scuola di perfezionamento per le Forze di polizia. Una parte è destinata a residenze private, due costruzioni sulla strada, un villino di due piani e un edificio poco più grande, di tre.
IL VILLINO è stato per un certo periodo l’abitazione dell’ex capo della Polizia ed ex capo della Dia Gianni De Gennaro. Una destinazione d’uso opportuna, data l’importanza e la delicatezza dell’incarico. Il cognome sul citofono è però ancora lo stesso. In questo che sembra un piccolo casolare di campagna nel cuore di Roma - sfitto per alcuni anni dopo la partenza di Gianni De Gennaro e poi ristrutturato - abita infatti il fratello dell’attuale sottosegreatrio all’Interno, il generale della Guardia di Finanza Andrea De Gennaro, ora al vertice della Direzione centrale per i servizi antidroga (Dcsa), organo interforze (polizia, Gdf, Carabinieri) alle dipendenze del Ministero dell’Interno e del vicecapo della Polizia. Francesco De Gennaro (figlio di Gianni) abitava invece ai Parioli, in un alloggio dell’Enasarco poi ceduto al capo della Polizia Antonio Manganelli, il quale potrà acquistarlo con lo sconto riservato agli inquilini nonostante continui - come lui stesso ha raccontato a Piazzapulita - a tenerlo sfitto, anche perché ha già a sua disposizione un alloggio di servizio.
Quello del generale De Gennaro è un incarico di rilievo e l’abitazione di servizio non è di per sè uno scandalo. Tuttavia lo stretto grado di parentela che lega gli inquilini ripropone il tema dei criteri di assegnazione da parte dei vertici della Polizia delle numerose abitazioni destinate gratuitamente o affittate a canoni irrisori a personale (e personalità) alle dipendenze del ministero dell’Interno. Un tema sollevato un anno fa dal sindacato di Polizia Silp Cgil che realizzò un monitoraggio su 230 appartamenti (dai 100 ai 250 metri quadrati, quasi tutti in quartieri prestigiosi della Capitale) di cui circa cinquanta occupati da persone apparentemente senza alcun titolo (tra cui pensionati, ex mogli, figli e parenti vari).
“LE ASSEGNAZIONI - dichiara Gianni Ciotti del Silp Cgil - dovrebbero avvenire per graduatorie, per attività di servizio, per provenienza. Invece decine di appartamenti vengono assegna-ti a discrezione del capo della polizia senza controllo”.
Domande forse legittime anche in relazione agli inquilini della palazzina accanto al villino De Gennaro. Nell’edificio un tempo adibito all’ospitalità dei testimoni di giustizia troviamo un dirigente appartenente alla Direzione centrale per le risorse umane del Dipartimento della Ps e la segretaria del Capo della Polizia Antonio Manganelli poi addetta all’Ufficio Relazioni esterne del Dipartimento della Ps e Responsabile di Progetto Pon “Sicurezza per lo Sviluppo”. Adesso lavora alla Scuola superiore di Polizia. Poi c’è un terzo funzionario che - al pari degli altri due - non sembra corrispondere alla figura del poliziotto “operativo” soggetto a particolari rischi cui dovrebbero spettare quegli alloggi: “Effettivamente - dichiara Filippo Bertolami, dirigente del sindacato Italia Sicura - non si comprende bene in base a quali criteri siano stati assegnati, ma sicuramente questi alloggi sono stati distolti ai tanti poliziotti operativi che rischiano quotidianamente anche con le loro famiglie, sarebbe stato forse più opportuno non dare la sensazione di scelte che possono apparire poco trasparenti, soprattutto in un periodo di spending review”.
Criteri di assegnazione davvero misteriosi se è vero che, nel 2004, furono fatti brillare i vetri di un’auto sospetta parcheggiata davanti al villino De Gennaro. Il giorno dopo si presentò in Commissariato uno dei massimi dirigenti della polizia stradale assegnatario di uno degli alloggi. La macchina era sua.
Stefano Caselli

IL VIMINALE SOTTO SFRATTO “NON PAGANO GLI AFFITTI” –
Un ministero, quello degli Interni, con un bilancio in profondo rosso. E dove i tagli sono ormai all’ordine del giorno: personale, autovetture, carburante e soprattutto i costosissimi affitti degli stabili sono stati colpiti da tagli orizzontali. A reclamare al Viminale, che è il primo affittuario d’Italia, è una folla di proprietari di case occupate a vario titolo che non vengono pagati da sei mesi, un anno, a volte anche di più.
LORO, i proprietari degli appartamenti, i soldi dal ministero non li incassano ma ci devono comunque pagare le tasse sopra. Entro il 17 dicembre andrà versata l’ultima rata dell’Imu e siamo al paradosso che alcuni cittadini dovranno chiedere un prestito, per essere in regola con il fisco di uno Stato che nei loro confronti è moroso.
Di fronte ai mancati pagamenti siano essi comuni cittadini, società o enti, hanno avviato procedure di sfratto. In alcuni casi la via legale è stata scelta per tornare in possesso di appartamenti che il ministero affitta per alloggiarvi i collaboratori di giustizia. Per questi ultimi il Viminale stipula con i locatori contratti definiti “speciali”, ai sensi dell’articolo 26 lett. A della legge 392 del 27/07/1978, per cui non si applicano ai medesimi i criteri di calcolo del canone e delle altre disposizioni previste a norma di legge. In Toscana, Emilia Romagna, Lombardia sono numerosi e arrabbiati i proprietari di queste case. Non ne conosciamo il numero esatto. Il ministero mantiene il riserbo sulla questione per tutelare l’incolumità degli ospiti. “Ci sono stati dei ritardi”, è la risposta a chi protesta. Ma su quando saranno corrisposti gli affitti dovuti scende il silenzio.
A risentire di questi ritardi tra le forze dell’ordine sono in primis carabinieri e polizia, che hanno una distribuzione capillare dei loro uffici su tutto il territorio nazionale, ma gli stessi disagi colpiscono il personale dei vigili del fuoco. Il Viminale è sommerso da debiti.
I CARABINIERI di Cesena devono versare ancora 150 mila euro di arretrati per la loro sede, briciole tutto sommato in confronto al debito di 1 milione e mezzo contratto dalla questura di Napoli con la Provincia. C’è poi la caserma dei pompieri di via santa Barbara a Treviso. Mancano all’appello 800 mila euro e i vigili del fuoco potrebbero essere costretti a tornare all’ex Salsa, un edificio di-smesso da anni che necessiterebbe di almeno 15 mila euro per essere recuperato. Lo sfratto è arrivato a metà agosto ma dopo quasi 4 mesi nessuno si è mosso. Caso analogo sul lago Maggiore nel Comune di Verbania, dove Digos e squadra mobile hanno ricevuto sfratto esecutivo dopo 11 mesi di insolvenza. Si sono trasferiti? No. Il prefetto ha firmato delle proroghe che hanno concesso ai poliziotti di restare nelle palazzine occupate. Anche gli enti pubblici, da nord a sud reclamano crediti dal ministero. Vicino a Verbania, il primo cittadino di Premosello ha chiesto aiuto al prefetto perché nelle casse del suo municipio mancavano 36 mila euro di affitti della caserma dei carabinieri per gli anni 2010 - 2011. Inoltre tra le 103 prefetture italiane assai indebitate sono quelle di Genova che vanta un non lusinghiero ammanco di 5 milioni di euro e quella di Caserta che segue con “solo” 740 mila.
“I PROBLEMI non sono solo negli affitti non pagati” commenta Domenico Pianese, segretario generale aggiunto del Coisp, coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia. “La polizia ha 10 milioni di debito con i distributori di carburante”.
Enrico Bandini

COME PAGARE (SOLO) 1,2 MILIONI LA VILLA A MILANO –
La casa degli arresti domiciliari di Alessandro Sallusti, non è al suo debutto nella cronaca. Dodici anni fa questo villino dall’aspetto allegro con le luminarie natalizie dove il direttore del Giornale trascorrerà, ospite della sua compagna Daniela Santanché, la detenzione ingiusta ed esorbitante che gli è stata inflitta, è stato teatro di uno dei fatti di cronaca che hanno sconvolto Milano. Villa Santanché 8 anni fa era intestata alla società di Giuseppe Loggi Longostrevi, il re Mida delle cliniche, come veniva definito nelle cronache giudiziarie della fine degli anni novanta. Proprio in questo stabile, dodici anni fa, il medico, arrestato nel 1997 con l’accusa di avere corrotto i medici di famiglia per far prescrivere analisi nelle sue cliniche, si tolse la vita con un’overdose di barbiturici.
NEL NOVEMBRE del 2004 il villino passa per 1,2 milioni a Daniela Santanché e alla sua società. “Un prezzo molto più basso del suo valore di allora”, dice la figlia del medico, Valeria Poggi Longostrevi al Fatto. Per capire come si sia arrivati a vendere a quel prezzo questo villino cielo terra di due piani, più soffitta e seminterrato a due passi da Corso Vercelli, è utile partire dagli atti. L’immobile era intestato alla società Centro Medico Milanese degli eredi che avevano affidato la gestione allo studio del commercialista Stefano Verna, oggi 48 enne.
Il 19 novembre del 2004 davanti al notaio Stefano Rampolla di Milano, Daniela Garnero Santanché e Stefano Verna, nella sua qualità di presidente di Centro Medico Milanese Srl, stipulano due atti differenti. Nel primo Daniela Santanché compra i due piani più alti della villa composti di sei locali al piano primo e i due locali al piano mansarda con servizi e accessori per una superficie catastale di 235 metri quadrati più la quota del cortile spettante. Le parti dichiarano un prezzo di 400 mila euro che sembra effettivamente vantaggioso per chi compra. Subito dopo Santanché e Verna stipulano un secondo atto. I piani più bassi della villa che, secondo quello che risulta nelle carte, sono adibiti a uso ufficio, passano nella disponibilità della Dani Comunicazione di Daniela Santanché mediante un leasing immobiliare con il Credito Artigiano. La banca versa il prezzo di 800 mila euro e la Dani Comunicazione, amministrata dal socio unico Daniela Santanché prende l’immobile, ripagando poi a rate un leasing decennale.
Stavolta a passare di mano sono i tre locali al piano rialzato, più un archivio e un ulteriore locale al piano seminterrato. La superficie catastale è di 245 metri quadrati ma le parti dichiarano che la vendita è fatta a un prezzo doppio della porzione superiore, cioé 800 mila euro. Complessivamente i Poggi incassano 1,2 milioni per 480 metri quadrati catastali. Nell’atto sono citati anche i versamenti di circa 100 mila euro effettuati prima dell’atto per sanare gli abusi edilizi.
A GIUGNO 2004 parte la richiesta di sanatoria e il 4 novembre 2004, il comune di Milano sigla la concessione n. 1212. Il commercialista Stefano Verna ha potuto vendere legittimamente a quel prezzo a Daniela Santanché perché aveva ricevuto apposita delega dal cda. “Non sono più amministratore del Centro Medico, da anni. Ai tempi c’era in consiglio – spiega Verna al Fatto – un componente della famiglia Poggi, il figlio Fabrizio. Io non ho trovato l’acquirente né ho seguito la parte estimativa, c’era un agente immobiliare incaricato di questo. A distanza di 8 anni, non sono in grado di giudicare se il prezzo fosse alto o basso. Però c’era una delibera del consiglio perché la vendita era funzionale alla sistemazione delle poste debitorie del padre”. Effettivamente il 3 giugno del 2004 il consiglio della società dei Poggi si riunisce e delibera la vendita. Ma ci sono solo il presidente Stefano Verna, e un consigliere, Beatrice Lombardini. Spiega il verbale, che il consiglio “si è riunito a seguito di precedenti intese” e “dopo breve discussione conferisce all’unanimità al presidente Stefano Verna ogni più ampio potere per trattare e formalizzare la vendita del suddetto immobile a un prezzo minimo di euro un milione e 50 mila euro”.
DOPO 8 giorni, il cda offre all’unanimità allo stesso Verna la possibilità di cedere l’immobile frazionato a più acquirenti. Poi arriva la doppia vendita. In entrambe le riunioni del consiglio non era presente Fabrizio Poggi Longostrevi. “Non è possibile – si lamenta la sorella Valeria – vendere una proprietà come quella a una cifra così bassa. Quella casa per me vale 4 milioni di euro. Mio fratello non stava bene e io ero all’estero. Noi avevamo dato al dottor Verna il mandato di gestire l’eredità ma lui non ha curato bene i nostri interessi”.
I figli e la moglie del medico, provati fisicamente e psichicamente per la tragedia, però in tanti anni non hanno mai contestato formalmente l’operato dell’amministratore.
Marco Lillo

IL SENSO DI BRUNETTA PER IL MATTONE (DELL’ENTE) –
L’ultimo doppio colpo è una plusvalenza da 486 mila e 700 euro su una casa Inpdai che gli ha permesso di comprare una magione nel verde dell’Ardeatina. Non c’è dubbio: l’ex ministro del Governo Berlusconi più bravo in materia immobiliare è Rena-to Brunetta. Le proprietà dell’onorevole vanno dal nord al sud: una casa a Venezia, nel sestiere Dorsoduro, la striscia di terra proprio di fronte a piazza San Marco, un casale con piscina e terreno in un borgo vicino a Todi. Una casetta (un ex rudere in ristrutturazione), affacciata sul mare delle Cinque Terre e una villetta a Ravello, sulla costiera amalfitana. Non poteva mancare Roma. Qui Brunetta si stabilisce nei primi anni Ottanta in un immobile dell’Inpdai, cassa di previdenza per i dirigenti di azienda. Il giovane professore, nominato consulente del ministero del lavoro da De Michelis, ottiene un quarto piano tra San Giovanni e l’Appia Antica. Il canone? Soli 350 euro al mese. Sulle assegnazioni dell’Inpdai c’è anche chi ha scritto un libro, è Tommaso Pomponi.
L’EX DIRIGENTE Rai, in qualità di iscritto all’Inpdai riteneva di avere diritto e raccontò nel libro “Casa nostra” di come, alla fine degli anni ‘80, tentò di prendere una casa in affitto cercando di convincere i manager dell’ente senza riuscirci. “Era praticamente impossibile” ribadisce ancora oggi. Brunetta invece, anni prima di Pomponi, ce la fece e rimase in affitto per circa 20 anni. A novembre 2005 però l’Inpdai vende. Anche Brunetta compra la sua casa di 74 mq con veranda. Il prezzo, appena 198 mila euro, è già bassissimo ma scende ancora applicando lo sconto per gli inquilini e quello ulteriore per il condominio che compra l’intero palazzo. Alla fine Brunetta tira fuori solo 113 mila e 300. Una somma che già nel 2005 era appena sufficiente per acquistare un box in quella zona. La storia prosegue: a marzo 2011 Brunetta decide di comprare una casa su via Ardeatina, a soli 20 minuti dal Colosseo. La villa è in un complesso di sei stabili contornato da un grande terreno che pro quota (un quinto) appartiene all’ex ministro. L’abitazione è distribuita su due piani e conta 14,5 vani catastali. Al piano inferiore un bagno, cucina e 4 camere, a quello superiore 4 bagni, 6 camere, più giardino e cortile esterno di 1.319 metri quadrati. L’onorevole ha acquistato tutto questo soprattutto grazie alla casa dell’Inpdai. Infatti l’appartamento comprato da Brunetta nel 2005 è stato dato in permuta per l’acquisto ed è stato valutato ben 600 mila euro. In pratica in soli 6 anni ha più che quintuplicato il suo valore, garantendo all’onorevole una plusvalenza di 486 mila euro. Per comprare la sua villa da un milione e 70 mila euro, Brunetta ha aggiunto 470 mila euro in assegni. “L’onorevole ha appena finito di ristrutturare” racconta una vicina. E forse proprio per ristrutturare, Brunetta accende un mutuo a febbraio 2012 quando i tassi erano altissimi, soprattutto era alto lo spread (il guadagno della banca) che insieme all’Euribor, nei mutui a tasso variabile, compone il tasso finale.
LO SPREAD medio era di 3,5%. Non per gli onorevoli con conto al Banco di Napoli come Brunetta, che risolve il problema in due minuti. Esce dal Parlamento, attraversa la strada, e va nella sede del Banco che accorda da sempre a tutti i deputati condizioni agevolate. A febbraio Brunetta stipula un mutuo di 476 mila euro a un tasso di ammortamento variabile basato sull’Euribor a un mese (allora era lo 0,71 oggi è sceso allo 0,11) più uno spread di solo il 2%.
Francesca Biagiotti

ADDIO ALLO YACHT MEGLIO UNA STALLA –
Conosce la villa di D’Alema? “È quella dove ci sono gli operai”. Qui si perdono anche i satellitari, ma la voce dell’arrivo del prestigioso vicino circola.
Estate 2011, nel silenzio della campagna umbra lavorano le betoniere del podere Madeleine, un appezzamento coltivato a viti e ulivi con due edifici in costruzione. Un investimento doloroso per Massimo D’Alema: “Non ci possiamo permettere la barca e l’azienda agricola”, gli ha detto la moglie Linda Giuva. Così addio all’adorato Ikarus e alle crociere. Ma non alle polemiche. L’investimento immobiliare è finito sui giornali anche per il ricorrere di nomi noti alle cronache. Come risulta da documenti in possesso del Fatto, il rappresentante delegato a gestire il podere è Adolfo Orsini, area dalemiana, politico di primo piano in Umbria, ma soprattutto lo stesso uomo che per la Regione Umbria ha guidato l’Agenzia Regionale che sorveglia proprio sull’Agricoltura.
NON SOLO: Orsini è anche socio di Vincenzo Morichini (procacciatore di finanziamenti della fondazione dalemiana Italianieuropei) che ha patteggiato dopo essere stato accusato di aver diviso una mazzetta con Franco Pronzato (amico e consigliere di Pierluigi Bersani). Niente di illegale, ma visto che D’Alema è uomo pubblico, questioni che meritavano di essere chiarite. Per questo il Fatto ha chiamato il leader Pd, senza ottenere risposte. Ma un avvertimento: “In gran parte sono sciocchezze, devo aver fatto anche alcune denunce penali per alcune di queste cose… Se voi volete procedere, io procederò con lo stesso criterio, potete scrivere quello che volete poi dopo provvedo io, non c’è dubbio”. Dai dati catastali risulta che il “podere” intestato a Giulia e Francesco D’Alema, figli del Lider Maximo, costa 650.000 euro più spese di ristrutturazione. I giornali di centrodestra cercano bucce di banana: diritti di edificazione, finanziamenti e varietà delle vigne impiantate. Ci sono i permessi richiesti per la tutelatissima campagna umbra? Sì, ha verificato il Fatto, il permesso è stato concesso perché le costruzioni sono delle semplici stalle e non sono destinate al proprietario, ma al custode e agli animali. Di lusso, visto il prezzo, ma sempre stalle. Il comune di Narni permette “la creazione di un alloggio da destinare al salariato incaricato di condurre il fondo”. Tassativo il divieto ad altri, quindi anche alla famiglia D’Alema, di abitarvi per 15 anni. Solo il custode potrà godersi i risultati dei lavori che vanno avanti da oltre un anno.
Veniamo alle vigne. L’azienda è fresca di finanziamenti europei all’agricoltura: 57.000 euro. Forse sono questi che fanno ingelosire le aziende rivali, in attesa da anni dei soldi europei. Così c’è chi ha accusato la Madeleine di aver piantato, in mezzo ai tralci tipici di Narni, anche specie non permesse da queste parti: Marselan e Tannat. Comunque sia, le piante “incriminate” vengono estirpate e una parte dei finanziamenti europei, 13.000 euro, vengono restituiti perché “non spettanti” (Il Fatto è in possesso della documentazione).
A SUSCITARE la legittima curiosità del cronista, più delle vigne, è l’uomo chiamato a gestirle: Adolfo Orsini, appunto, diventato nel 2010 amministratore di Arusia, Agenzia per l’Agricoltura della Regione (centrosinistra ). Lo rivelano 7 scritture private (in possesso del Fatto) siglate tra il 15 e il 18 aprile 2009 che presentano Orsini come “rappresentante delegato della società agricola Madeleine” nell’acquisto dei “diritti di reimpianto” di viti.
Orsini,ritenuto vicino a D’Alema, è un dipendente Asl in aspettativa diventato sindaco di Città di Castello nel 1997. Ha poi collezionato poltrone pubbliche e private. Si occupa della redazione del Piano sanitario regionale, di quello dei rifiuti, è presidente del cda dell’Azienda perugina di mobilità e membro del cda dell’Autorità di ambito Umbria 1. Infine approda ad Arusia (commissariata nel 2011).
“Arusia gestisce tutta la parte agricola della Regione”, spiega l’imprenditore Pio Piccini nella sua deposizione. Piccini è l’amministratore di Agile e presidente e amministratore di Omega, gruppo che ha assorbito il ramo informatico della società di telecomunicazioni Eutelia. Una vicenda per la quale finì in manette. E davanti ai pm di Roma raccontò di aver finanziato la Fondazione Italianieuropei di D’Alema. Soldi dichiarati e, quindi, puliti. L’operazione sarebbe stata suggerita dal “faccendiere” del centrosinistra (definizione dei verbali) Vincenzo Morichini, amico di vecchia data di D’Alema. Morichini di mestiere fa il lobbista, il procacciatore di affari, attraverso una società chiamata Sdb, Soluzioni di business.
MA CHE COSA ci azzeccano le società di Morichini con la cascina di D’Alema? Orsini, responsabile agricoltura della Regione Umbria e rappresentante della Madeleine è anche socio della Sdb di Morichini. Secondo Piccini, Orsini ne era il referente per gli affari in Umbria nel campo della sanità e dell’agricoltura. Era colui che gli avrebbe fatto incontrare “tutti i direttori generali della Asl e delle aziende ospedaliere” allo scopo di sottoporre loro i suoi progetti. Niente di illegale, ma il cronista deve chiarire. E il politico, forse, rispondere magari per escludere incompatibilità anche solo politiche o morali.
Filippo Barone

UN FORNO, UN FONDO E UN CAMPETTO PER RENZI –
Chi l’avrebbe mai detto che nel passato immobiliare di Matteo Renzi ci fosse anche un forno a Rignano sull’Arno, dove il sindaco è cresciuto e hanno sede la sua famiglia e l’impresa fondata dal papà? Il 23 luglio del 2001 il futuro sindaco compra la quota indivisa di mezzo fondo adibito a panificio con laboratorio, forno, deposito farina, bagno, antibagno e spogliatoio. Locali raggiungibili – specifica il notaio nel rogito – dalla via attraverso il locale adibito alla vendita, il prezzo è 80 milioni di lire. Tuttora a quell’indirizzo c’è la rivendita Pagnotta. Il “vice-leader” Pd spiega: “Un’idea di mio padre, l’immobile era intestato a me, ma lo comprò lui”. Effettivamente passano tre anni e Renzi, ormai divenuto presidente della provincia di Firenze, rivende tutto a papà Tiziano per 35 mila euro. Poco dopo Renzi si trasferisce a Pontassieve e compra casa (dove vive) da un ente religioso: l’Opera Assistenza Malati Impediti di Firenze, l’Oami. Il 4 ottobre del 2004 il fondatore dell’Opera, Monsignor Enrico Nardi, classe 1916, poi deceduto, cede il villino a Renzi. L’Oami gestisce case famiglia e ha rapporti con la Provincia ma il presidente Renzi viene trattato come gli altri potenziali acquirenti. Per questo villino in tre livelli, compreso terreno e sottotetto, Renzi paga ben 660 mila euro dei quali 250 mila provenienti dal mutuo di 300 mila euro contratto con la Cassa di Risparmio di Firenze. Tasso: 2,9% più Euribor, 240 rate. Il resto con risorse proprie. “Monsignor Nardi sapeva far fruttare i beni dell’Opera e fece una piccola gara. Alla fine la spuntai su un carabiniere” , ricorda il sindaco. Sulla casa il 22 dicembre del 2009 viene posta l’ipoteca per un secondo mutuo di 160 mila euro da restituire in 300 rate, contratto per far fronte alle spese della campagna per sindaco. Il 28 luglio del 2010 Renzi e la moglie Agnese Landini hanno costituito un fondo patrimoniale per mettere la casa di famiglia al riparo dalle mire dei creditori che volessero pignorarla e metterla poi all’asta. Una scelta legittima per chi è esposto a cause e vuole tutelare la famiglia da sorprese spiacevoli. A chi gli chiede se temesse il verdetto della Corte dei Conti che indaga su di lui, Renzi sorride: “Quell’indagine non mi preoccupa. Il fondo era stato creato perché c’era una causa civile che poi ho vinto”. Nell’atto Renzi dichiara che il villino vale un milione di euro. Una rivalutazione di 340 mila euro dovuta anche ai lavori di ristrutturazione. La casa include 4 stanze, un salone e due grandi bagni più due bagni piccoli a corredo delle ampie soffitte e cantine. Senza contare il giardino di mille metri con le porticine per tirare due calci al pallone. In zona si dice che Renzi abbia tentato di vendere davvero la villetta a un milione, ma non abbia trovato un acquirente.
Marco Lillo