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 2012  dicembre 11 Martedì calendario

GRAZIE MARIO, MA BASTA: TROPPI ERRORI

Ora che il governo Monti si è avviato al naturale epilogo, purtroppo accompagnato dal ghigno macilento e distruttivo di Berlusconi, è giunto, forse, il momento di iniziare a riflettere imparzialmente sul suo bilancio. La mia sintesi è: grazie, signor presidente, ma lasciamoci così, senza lacrime. Grazie, perché se si andava avanti ancora un po’ con Berlusconi & Co. saremmo finiti come la Grecia o peggio. Grazie a Lei e a Mario Draghi perché insieme avete dato all’Italia una nuova possibilità di suicidarsi, ma soprattutto avete dato un contributo importante all’Europa . Ma lasciamoci senza lacrime perché le cose non fatte o fatte male sono tante. Le difficoltà erano enormi: governare per risanare l’Italia voleva dire fare cose contrarie a quelle che volevano Berlusconi & Co. Come farle con il sostegno del loro voto? La contraddizione non poteva durare oltre, ed è un bene che si sia, ora, svelata con la dignitosa e anche astuta mossa di Monti. Tutti gli analisti seri dicono da tempo che il livello abnorme della corruzione è una delle maggiori piaghe italiane. Come combatterla con il voto favorevole di chi della corruzione ha fatto uno strumento di governo? L’errore è stato quello di cercare la soluzione in una legge che non poteva venire fuori che tardi e male, mentre il metodo giusto sarebbe stato quello di lanciare una grande crociata nazionale sulla quale chiedere e suscitare il coinvolgimento e l’impegno di milioni di cittadini e non di un manipolo di parlamentari, molti dei quali corrotti e corruttori professionali. Il secondo grande flop del governo Monti è stato in materia di lavoro. Qui la difficoltà non era rappresentata dai berluscones, ma dal sindacato più arretrato d’Europa. Tuttavia l’occasione era grande per tentare un salto di civiltà in questa materia così importante. Il ministro Fornero con la sua enorme incompetenza in materia di lavoro, di organizzazione del lavoro, di impresa (nulla da dire, invece, sulla sua competenza in materia previdenziale), la sua supponenza, la sua presunzione, il suo egocentrismo quasi berlusconiano ha, invece, sin dall’inizio, cercato la rissa personale e l’ha trovata. Così invece di fare un salto di civiltà in avanti, abbiamo fatto un saldo indietro di oltre trent’anni e persino l’arretratissimo sindacato italiano è stato rilanciato non dalla Camusso ma dalla Fornero. Tanto che in un intervento a Parigi del 30 novembre 2012, il presidente della Bce, Draghi, ha detto. “In Italia il mercato del lavoro è da riformare”. Ma non l’avevamo testé riformato? Già molti hanno svolto precise critiche alla politica economica del governo Monti (peraltro, in gran parte, imposta da centri di potere internazionali). Molte di queste critiche sono di parte, prevenute, demagogiche e populiste. Ma alcune sono serie, profonde, giustificate. Meritano attenzione le critiche di coloro che sostengono che in materia di riduzione della spesa pubblica, le riduzioni a carico della casta sono state risibili, come lo sono state quelle a carico della spesa militare. Non possiamo lasciare questo argomento solo alla satira televisiva, perché è un argomento serio e importante, anzi decisivo.
Nel corso del governo Monti ha preso corpo una nuova lacerazione del Paese. Abbiamo assistito alla più grande operazione di centralizzazione burocratica ministeriale mai vista, forse neanche ai tempi del fascismo. Questo supercentralismo burocratico-ministeriale è in rotta di collisione con il nostro ordinamento ma, ancor più, con le esigenze di una società e di un’economia decentrate e complesse. Tre forze spingono in questa direzione: le pressioni della finanza internazionale; il gravissimo malgoverno che è stato fatto nelle autonomie locali; la mentalità di questo governo che composto, in gran parte, da professori poco competenti della cosa pubblica si sono affidati, mani e piedi, ai grandi burocrati (il profilo dominante di questo governo è infatti quello di monetaristi e di grandi burocrati). Il centralismo burocratico-ministeriale non si limita più a interferire nel governo degli enti locali, ma entra nelle autonomie funzionali (enti di ricerca, università, ospedali) dettando piante organiche, ordini del giorno, selezione del personale. Certo le autonomie degli enti territoriali locali (e soprattutto delle regioni) devono essere, in parte, ripensate e ridisegnate. Ma questa orgia di centralismo burocratico-ministeriale non ci porta da nessuna parte, se non alla rovina. Questo è certo, perché lo sviluppo può nascere solo sul campo, nelle città, nelle imprese, nelle università, in tutti i luoghi dove si lavora, e non certo nei corridoi ministeriali dove pochi uomini soli pensano di poter ridisegnare il Paese a colpi di accetta. La “spending review” sarà un fallimento, come lo è stata la riforma Brunetta. Bisogna “fare leva” sulla città e non soffocare le energie che vengono dalla stessa. Perciò, signor presidente, lasciamoci pure, almeno per il momento, ringraziandoLa vivamente, ma senza lacrime.