R. Es., Il Sole 24 Ore 11/12/2012, 11 dicembre 2012
IL PIL DELLA SIRIA CROLLA DEL 20 PER CENTO
La Siria martoriata dalla guerra civile paga il conto anche sul fronte dell’economia. Il Pil del Paese quest’anno scenderà del 20% e per la fine del 2013 Damasco potrebbe esaurire completamente le riserve in valuta estera, bruciate dal regime per finanziare l’esercito, pagare stipendi e sussidi e per sostenere la moneta. Questa le previsioni dell’Institute of international finance, contenute in un report sulle economie del Medio Oriente e dell’Africa orientale.
Dall’inizio della rivolta per rovesciare Bashar Assad, il tasso d’inflazione è schizzato al 40% e la divisa ha perso metà del proprio valore rispetto al dollaro.
Lo scontro in Siria s’è fatto sentire sugli altri Paesi della regione. Il Libano, per esempio, crescerà quest’anno dello 0,6%, un terzo del 2011, quando il Pil avanzò dell’1,8%. Secondo Garbis Iradian, vice direttore del dipartimento Africa e Medio Oriente dell’Iif, se il Libano riuscirà a dotarsi di un Governo stabile, a migliorare la propria sicurezza interna e a realizzare riforme strutturali, la sua economia potrebbe crescere anche del 3,5% nel 2013. In caso contrario, difficilmente andrà oltre l’1%. Prima della crisi siriana, gli investimenti diretti esteri erano pari al 10% del Pil, ora sono crollati al 2%.
«Molti Paesi della regione - spiega George Abed, direttore del dipartimento Africa e Medio Oriente dell’Iif - sono ancora nel bel mezzo del processo di trasformazione politica e hanno rimandato le riforme economiche. La Libia ha fatto grandi progressi, ma ci sono seri problemi di sicurezza e di stabilità politica».
Quest’anno il Pil della Libia salirà comunque del 70%, dopo il crollo del 54% nel 2011, sempre secondo l’Iif.
Egitto, Giordania, Libano Marocco, Tunisia e Siria, le economie che non esportano petrolio, continuano quindi a fare i conti una crescita debole (quando non sono in recessione), ampi deficit pubblici e commerciali, disoccupazione in aumento. La ripresa nel 2013 sarà modesta, quando andrà bene.
Scenario diverso per i Paesi esportatori di petrolio, che continuano a crescere a ritmi sostenuti, anche se rallentati rispetto al 2011. Per loro il rischio è la frenata dell’economia globale, che potrebbe far scendere il prezzo del petrolio e rendere più precaria la finanza pubblica.