Mario Ajello, Il Messaggero 11/12/2012, 11 dicembre 2012
RIECCO LO SPREAD
Chi si rivede, lo spread. O lady Spread. Quasi quasi c’eravamo dimenticati di lui (o di lei: ma chi è, una perfida amica di Angela Merkel?) e invece rieccolo. Segnala, salendo o scendendo, e ora che Monti ha deciso di andarsene quello ha deciso di risalire, i passaggi politici. Diventa l’emblema, più del loden, del Professore che arriva e lo abbassa e che, quando se ne va, quello si rialza. «Uno spread ad personam», ironizza Tremonti. A cui lo spread, questo oggetto contundente, ha fatto assai male fino all’«estate dello spread», quella da cui cominciò la fine del penultimo governo. Come oggetto contundente, lo spread si farà sentire nella campagna elettorale che già s’è aperta in suo nome: «Tu togli l’Imu? E io abbasso lo spread!». O «Lo spredde», come da titolo di una poesiola romanesca che spopola on-line: «Stando a li tempi der monno adesso attuale, / è scappato fora ’sto fenomeno sociale / de interessasse a li problemi der paese / sulle tasse, le pensioni e lo stipendio a fine mese». Lo spread è l’arma con cui viene attaccato Berlusconi (e basta con il «terrorismo da spread», insorgono i berluscones), è lo spauracchio che viene agitato contro l’eventuale vittoria della sinistra (lo spread come prenderà l’arrivo di Vendola al governo? Si offenderà? Si vendicherà? Saprà convivere con Nichi magari cominciandolo ad amare?), è il boomerang scagliato addosso a Monti ogni volta che in questi mesi il differenziale tra i Bund e i Btp non è sceso quanto doveva. E il Cavaliere gongolava parlando di sè in terza persona: «Avete visto? Lo spread non è colpa di Berlusconi». Mentre adesso ci si chiede, in un rompicapo geopolitico: se si fa l’area di Centro, quella quanto sposta lo spread? E se non si fa l’aggregazione dei moderati, lo spread come la prende? E chissà con chi si sarebbe schierato lo spread, se avesse partecipato alle primarie del Pd: magari con i Marxisti per Tabacci. C’è mancato poco che perfino la recente polemica su Verdi e Wagner - di entrambi si celebra il bicentenario ma la Scala non ha scelto la Traviata e ha ospitato il Lohengrin con tanto di Monti sul palco reale - venisse condotta sulla base dello spread che divide Italia e Germania. E comunque il ballo hip hop dello spread fu inscenato, tra un Va’ pensiero e l’inno di Mameli, sotto le finestre del Quirinale nella sera in cui Berlusconi si è dimesso poco più di un anno fa: «Questo è il ballo dello spread, che va su su su / mentre gli italiani van giù giù giù. / Un chilo di patate ormai si compra a rate / ormai la farmacia è una gioielleria». Anche se poi, va detto, non bisogna esagerare con la retorica dello spread. C’è chi la pratica ricorrendo alla sindrome del complotto, come ha fatto ieri un senatore del Pdl, Raffaele Lauro, così: «Lo spread, manovrato dalla speculazione e dai poteri forti, è diventato il killer della democrazia». E qui siamo un po’ alla riedizione, ma da destra, alla teoria del Pci anni ’50 che faceva tutto risalire alla Fodria (Forze Oscure Della Reazione In Agguato). Ma c’è anche chi, e forse sono i più, in questa retorica dello spread si spinge al punto di considerarlo l’unico indicatore della salute di un Paese. Rischiando di distrarsi dal fatto che nel frattempo - mentre tutti stanno lì a dire: di quanto si è allargato lo spread? - l’andamento reale dell’economia peggiora e il Pil sta in sofferenza. Ieri su Twitter sono fioccate le ironie, del tipo: «Non ci posso credere, la prima notizia è di nuovo lo spread, la seconda è Ruby». Ma perchè stupirsi? A un certo punto, nel 2011, spread è risultata una delle parole più cliccate sulla Rete. In un testa a testa con Belén. Quando crollava lo spread, saliva Belèn. Quando cresceva Belèn, si rattrappiva lo spread. Adesso che Belén si è allargata, perchè incinta, lo spread dovrebbe rimpicciolirsi. Se non ci fosse la campagna elettorale.