Cesare Monetti, Avvenire 11/12/2012, 11 dicembre 2012
LA CORSA DI LALLI, IL KENIANO BIANCO CON IL MAL D’AFRICA
Un azzurro medaglia d’oro ai Campionati europei di cross, roba da fantascienza. Tutti meravigliati, tutti piacevolmente sorpresi e stupiti per una vittoria così importante, tranne il neo campione in persona, il 25enne finanziere Andrea Lalli, specialista fin da ragazzino delle corse campestri. «Io sono venuto a Budapest per vincere – racconta Lalli – quindi perché essere stupiti? La verità è che quando sto bene, quando non ci sono di mezzo infortuni o altri problemi, non ce n’è per nessuno. Almeno in Europa. No, non volevo partire in testa fin dal via ma, poi, dopo pochissimi chilometri, ho visto che a quel ritmo chi mi stava dietro sembrava soffrire particolarmente, mentre io mi sentivo bene. Allora, ho messo giù la testa, e sono partito».
L’allievo di Luciano Di Pardo ha dato spettacolo nel finale, negli ultimi metri ha trovato il tempo per sventolare la bandiera tricolore e il suo vantaggio sugli inseguitori si è dimezzato a soli dieci secondi, ma poco importa.
La sua vittoria non è mai stata in discussione. Un simile trionfo non è casuale, gli avversari sui prati innevati e nel gelo ungherese domenica mattina erano tosti, Lalli ha vinto perché ha classe ma anche perché da due anni ha cambiato vita. È voluto andare negli sterminati altopiani keniani dove nascono e si allenano i corridori più forti del mondo: sole, caldo, nuovi amici, serate silenziose: «La vita a Iten è la tranquillità, ci sono stato un mese in ottobre al camp di Gianni Demadonna per preparare questo Europeo. Ogni giorno ero sempre più convinto che sarei stato in grado di vincere. Il Kenya è la mia seconda casa, ormai, ci vado regolarmente da due anni. Laggiù c’è tutto quello che mi serve: compagni d’allenamento fortissimi, spesso perfetti sconosciuti da poco più di un’ora nella mezza maratona, condizioni ideali con un’altitudine di circa 2.400 metri sul livello del mare. Ora ho tanti amici». Una vittoria che vale un record, perché Andrea è già stato oro europeo di cross nel 2006 quando gareggiava tra gli juniores e nel 2008 tra gli under 23. Domenica il titolo assoluto, è il primo europeo a fare tripletta, merito anche del suo fisico minuto, 56 chili per meno di un metro e 70, leggero e veloce tra il fango e la neve, rapido tra le curve a gomito e i saliscendi di una campestre. Domenica con lui sul podio, al terzo posto, l’ingegnere pisano Daniele Meucci. Nessuna nazione ha mai piazzato due atleti sul podio. Ma Andrea ha parole e pensieri solo per la sua nuova vita: «È dura per tanti vivere là, ma non per uno come me che viene da un paese di montagna del Molise. I rapporti umani contano più di altre cose, quelle che chiamiamo comodità. Passare una sera a parlare con un paio di amici, vale molto più che guardare un programma alla televisione». In questi due anni c’è stata anche una difficile operazione di ricostruzione del tendine d’Achille: dolore e paura di non tornare, che ti fanno ancor di più apprezzare tutto ciò che ti gira attorno. «Qui mi allenavo da solo, là usciamo a correre in gruppi di cinquanta o cento ragazzi, tutti fortissimi, sconosciuti che danno il massimo per farsi notare dall’allenatore per essere portati in Europa a gareggiare. Sono poveri e una vittoria può cambiare loro la vita. Mi trascinano, così, a ritmi elevatissimi di corsa, non posso mai risparmiarmi.
Non seguono programmi molto precisi, sono spiriti liberi e indomabili. Chi gestisce tutto per conto del manager Demadonna, che sta a Trento, è il coach Renato Canova, un guru. I migliori talenti al mondo lo cercano». Mal d’Africa si dice in questi casi, eppure qualcosa dell’Italia mancherà: «Gli affetti più cari, amici e famiglia come è giusto che sia. Ma null’altro, mi adatto facilmente a tutte le situazioni così come all’alimentazione che è ben diversa dalla nostra. E poi faccio beneficenza. Appena posso do un po’ di denaro a chi ne ha bisogno più di me, gente molto meno fortunata di noi. La differenza più grande è che in Kenya ti rendi conto di quante cose inutili abbiamo qui in Italia. Inconsciamente è uno stimolo grandissimo per allenarti di più e dare il massimo, quasi come se fosse per rispetto a loro».
Un mese che è tornato in Italia e il richiamo si fa già forte: «Ripartirò presto, già i primi di gennaio. Ora faccio un paio di campestri e poi a marzo l’esordio alla maratona di Roma. Tornerò qui solo pochi giorni prima».