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 2012  dicembre 09 Domenica calendario

Doma i virus degli animali che minacciano gli uomini - La prima pa­rola in italia­no che Ri­chard, il ma­rito scozzese di Ila­ria Capua, ha im­parato da quando vive nel nostro Pae­se è un imperativo: «Guarda!»

Doma i virus degli animali che minacciano gli uomini - La prima pa­rola in italia­no che Ri­chard, il ma­rito scozzese di Ila­ria Capua, ha im­parato da quando vive nel nostro Pae­se è un imperativo: «Guarda!». Solo che per lui, a forza di sentirlo ripetere, è diventato un sostan­tivo anziché un verbo. Infatti il giorno in cui rovesciò una bottiglia d’olio dis­se alla moglie: «Mi dispiace tanto, ho combinato un guarda».Da allora - si so­no sposati dieci anni fa, dopo essersi co­nosciuti in aeroporto a Francoforte ­per entrambi le giornate sono popola­te di guarda , persone fisiche e cose uni­te da aspetti sorprendenti. «Nicole Mi­netti è una guarda d’Italia », esemplifi­ca lei. «Le vicende belle e brutte della vi­ta sono guarda . La nostra abitazione sui Colli Euganei è Casa Guarda , anzi “a real guarda ”. Tutto il Belpaese è un guarda , per uno straniero». Guarda! Esortazione più inutile non si potrebbe rivolgere a una scienziata che dal 1989, anno7 in cui si laureò con lode all’Università di Perugia, non ha fatto altro che questo: scrutare. Veteri­naria e virologa di fama mondiale, la Capua s’è specializzata nell’osserva­zione sul campo e al microscopio di quei terribili guarda che sono i virus emergenti, in gergo hot , caldi, ben con­sapevole che il 70% dei patogeni in gra­do di scatenare epidemie e pandemie letali per il genere umano sono di origi­ne animale. Fra questi, i temibili Ebola e Marburg portati dai pipistrelli; la feb­bre emorragica Crimean Congo tra­smessa dagli struzzi; il West Nile virus diffuso da uccelli e zanzare; gli Hanta­virus sparsi dai roditori. E poi la febbre della Rift Valley dei ruminanti, la rab­bia dei cani, l’influenza suina dei maia­li. Ma è soprattutto combattendo l’aviaria propagata da polli, tacchini e altri volatili che la ricercatrice è diven­tata una star nella comunità scientifi­ca internazionale. Perché nel 2006 ha fatto ciò che nessun altro, prima di lei, s’era mai sognato di fare:ha messo a di­sposizione dell’umanità, in Rete, la se­quenza genetica dell’H5N1, il primo ceppo africano di in­fluenza aviaria che ave­va isolato su un campio­ne inviatole dalla Nige­ria. «Per quale motivo l’ho fatto? Lo spiega il ti­tolo del libro che ho ap­pena scritto per Marsilio Editori: I virus non aspet­tano . I virus se ne frega­no delle precedenze umane. E non fanno di­stinzioni: per loro siamo tutti animali». Ilaria Capua dirige il di­partimento di scienze biomediche comparate dell’Istituto zooprofilatti­co sperimentale delle Venezie, dizio­ne che contiene un margine d’equivo­co: «Quando dico “zooprofilattico”, mi chiedono se facciamo preservativi per gli elefanti».Fu assunta per concor­so in quello d’Abruzzo e Molise: «Ho fatto la naia per sette anni a Teramo». Da quando s’è trasferita nella cittadel­la universitaria di Legnaro (Padova), la Ue,la Fao,l’Oms e l’Oie (Organizza­zione mondiale della sanità animale) hanno trovato in questo laboratorio il loro centro di referenza per aviaria, malattia di Newcastle e altre infezioni uomo-animale: «Ho cavalcato alcune tigri». I suoi 75 collaboratori sono per il 70% donne e per il 50% precari: «In que­sto momento ne ho due in Scozia, due in Ruanda e uno in Senegal». Lei stessa ha girato tutto il mondo, dal Giappone al Messico, ovunque vi fosse un foco­laio da spegnere o un congresso da illu­minare: «Mi hanno scambiato per la Madonna di Czestochowa. In media ero in viaggio tre mesi l’anno. Ora un po’ meno. In primavera sono attesa in Iran, dove nessuno vuol andare». Nata a Roma, la piccola Ilaria entrò subito in confidenza con gli animali, perché il padre Carlo, avvocato, tene­va sempre per casa cinque o sei cani da caccia e almeno due gatti. Oggi può tira­re il fiato:l’unico da accudire è Polpy,il criceto di sua figlia. Nella capitale ha frequentato la St.George’s british inter­national school, dov’era in classe con Alessandro Gassman, fu­turo attore; Andrea Guer­ra, futuro amministrato­re delegato di Luxottica; e Natalia Augias, futura giornalista del Tg1 : «La terza era la più secchio­na. Io studiavo, ma senza ammazzarmi. Mi sono ri­scattata all’università. Una fatica da morire».Sic­come è cugina di Roberta Capua, miss Italia 1986, e si nota, ogni tanto le capi­tano dei guarda c­he lei rie­sce a rievocare con stizza temperata da ironia. Come quella volta che, nel bel mezzo di un vertice con funzionari mi­nisteriali e insigni cattedratici, un alto papavero le sibilò all’orecchio, a voce neanche troppo bassa: «Non mi ricor­davo che avessi questo bel paio di tet­te », e lei replicò: «Non ti do una gomita­ta in bocca perché sono una persona educata».Più imbarazzante dell’infor­tunio occorsole a Bamako, nel Mali, quando da un computer degli organiz­za­tori africani partì, anziché la sua pre­se­ntazione sulla diagnostica di labora­torio, un film porno: «Con audio spara­to a palla. Su maxischermo». Che cosa sono i virus emergenti? «Macchine da guerra che si muovono in formazioni compatte. A volte fanno il salto di specie, cioè passano da un ospite animale all’uomo.A quel punto le conseguenze sono imprevedibili, potenzialmente catastrofiche. Per questo li teniamo sotto controllo. Nel mondo globalizzato basta un battito d’ali a diffonderli. Lei ricorderà l’epi­demia di Sars, originata da un virus del pipistrello, che uccise 900 persone, fra cui il dottor Carlo Urbani, il primo a in­dividuarlo. Tutto ebbe inizio una deci­na d’anni fa da uno zibetto infetto, una specie di puzzola, a Hong Kong. Il mammifero fu macellato in un merca­to di animali e portato a casa appena dissanguato. Il virus contenuto nel sangue dell’animale infettò una perso­na. Poi prese a diffondersi per via aero­gena. Una donna, di ritorno in Canada dalla Cina, contaminò un intero alber­go di Toronto attraverso l’impianto di climatizzazione delle stanze. Molti dei 257 clienti infetti erano stranieri, per cui portarono il virus in aeroporto e, da lì, in tutto il mondo». Il suo battesimo di fuoco lo ebbe nel 1996 col virus Ebola. «Ero andata in Sudafrica per un foco­laio di Crimean Congo haemorrhagic fever in un allevamento di struzzi. Ap­pena giunta a Pretoria, il professor Ro­bert Swanepoel, veterinario dell’Istitu­to nazionale di virologia di Johanne­sburg, mi spiegò che era alle prese con un’emergenza ben peggiore:un medi­co che assisteva i malati di Ebola nel Gabon s’era sentito male e aveva avu­to la brillante idea di salire su un aereo per farsi ricoverare in un ospedale del­la capitale sudafricana. A nessuno dis­se che poteva trattarsi del virus Ebola. Quella volta morì solo un’infermiera, mentre il medico spregiudicato se la cavò». Di Ebola non si parla più. «Oggi ci sono ancora due focolai, uno in Congo e uno in Uganda». Il virus H5N1 dell’aviaria era ugual­mente pericoloso? «Uccideva il 100% degli animali e il 50% delle persone, giudichi lei. Era esploso in 40 Paesi, migrando dall’Asia all’Eu­ropa e penetrando per la prima volta in Africa. Per questo, quando si seppe che lo avevo isolato e sequenziato, mi telefonarono dall’Oms di Ginevra: “Tu ci dai l’impronta digitale del virus e noi la mettiamo in un database ad accesso limitato”. In cambio mi offrivano la password di quell’archivioriservatoai 15 principali laboratori di ricerca del mondo. Risposi: se è un’emergenza planetaria, è giusto che tutti possano studiarla. E misi in Gen Bank, banca da­ti ad accesso pubblico, la sequenza ge­netica indispensabile per sviluppare test diagnostici e vaccini. Mi pareva il minimo. Fra l’altro ho scoperto che il server del database chiuso si trova nel Los Alamos national laboratory, dove fin dagli anni Quaranta la Difesa degli Stati Uniti sviluppa armi nucleari». L’influenza aviaria è descritta in Italia fin dal 1878 e non ha mai ucciso nessuno, a par­te le galline. «L’H5N1 ha un motore particolare. È una Ferrari dei virus. Ha una poten­zialità esplosiva. Si pro­paga molto velocemente ed è tuttora endemico in 10 Paesi ad alta densità di allevamenti avicoli, fra cui Cina, Vietnam, Indo­nesia, India ed Egitto». Ci fecero credere che ci saremmo salvati solo vaccinandoci in massa con due antivirali: il Tamiflu, che co­stava 48 euro, e il Relenza, che ne co­stava 31,50. Il ministero della Salu­te ne prenotò 35 milioni di dosi, fini­te nella spazzatura. Qualcuno ci ha rimesso e qualcuno guadagnato. «Sì, anch’io ho letto che Dick Cheney, il vice del presidente George Bush, era azionista della Roche, produttrice del Tamiflu. Ma quando un virus parte dal Messico e in cinque giorni migra fino alla Nuova Zelanda, che fai? Non pre­pari le scorte di vaccino o di antivirale? Meglio correre ai ripari che non avere munizioni». L’influenza stagionale di quest’an­no è particolarmente pericolosa? «No, è figlia dell’influenza suina, co­me quella dell’anno scorso. Mi preoc­cupano molto di più i super virus co­struiti nei laboratori, le cosiddette chi­mere, che hanno la letalità dell’aviaria e la trasmissibilità nell’uomo. Prima di Natale sarò a Washington, convoca­ta dal Dipartimento della salute, per di­scutere proprio sull’opportunità di continuare questi esperimenti». Sono opportuni o no? «Si dice che la ricerca non deve porsi li­miti. Ma dove non esiste sufficiente si­curezza sociale? In Egitto, durante la primavera araba, sono stati saccheg­giati anche i laboratori della centrale di ricerca veterinaria. Se avessero cu­stodito una di queste bombe biologi­che che cosa sarebbe accaduto? Ecco perché una decisione in proposito non può essere demandata agli scienziati». Come le arrivano i virus che studia? «In provette con reperti organici o in li­quidi di coltura. Piccole fiale blindate dentro involucri che potrebbero ospi­tare 20 bottiglie di vino». E dove li tenete? «Abbiamo una banca dei virus, anche questa blindata. Si possono congelare fino a meno 80 gradi senza che perda­no l’infettività. Li testiamo in laborato­rio e siamo pronti a fornirli in ogni mo­mento per creare dei vaccini». Quale aspetto hanno? «Al microscopio elettronico sembra­no paste mignon o biscotti». Dell’Hiv che idea s’è fatta? «È un virus che ha fatto il salto di spe­cie, dalle scimmie centrafricane all’uo­mo, per contatto di sangue. È molto fur­bo: si diffonde subdolamente senza dare nell’occhio. Ai primi sintomi, sei già malato di Aids. Non come Ebola, as­sai più stupido, che si manifesta subito con emorragie interne ed esterne». A che cosa sta lavorando in questo momento? «A uno studio in collaborazione col gruppo del dottor Lorenzo Piemonti, endocrinologo dell’ospedale San Raf­faele di Milano. Siccome i virus in­fluenzali negli animali crescono nel pancreas, ci stiamo chiedendo se acca­de la stessa cosa anche nell’uomo. Il che consentirebbe di ipotizzare un nesso causale fra i virus influenzali e il diabete mellito di tipo 1, malattia au­toimmune che insorge nell’infanzia e nell’adolescenza,attaccando le cellu­le beta del pancreas deputate alla pro­duzione di insulina». Perché Nordesteuropa.it ha lancia­to un appello «per tenere Ilaria Ca­pua in Italia»? «Dal 2008 è in atto un progetto di poten­ziamento delle nostre attività che tro­verebbe una soluzione logistica inno­vativa nella Torre di ricerca appena inaugurata nell’area Cnr di Padova. Ma, per una serie di veti incrociati, non so se si riu­scirà a raggiungere l’obiettivo entro la sca­denza del 31 dicembre. In quel caso mi troverei a ripensare il mio futuro. Tanto varrebbe accetta­re una delle offerte che mi arrivano periodica­mente, l’ultima dal Cdc di Atlanta, il centro del go­verno Usa per la preven­zione delle malattie». Vuole diventare an­che lei uno dei tanti cervelli in fuga? «Il Veneto è casa mia. Sarei triste per tre anni, se emigrassi. Ma non voglio ri­schiare l’esaurimento nervoso. Qui è come spingere un dinosauro in salita». Come concilia l’attività di scienzia­ta con quella di madre? «Con grande fatica e senso di inade­guatezza. Terribile il giorno in cui mi telefonò la maestra dell’asilo nido: “Si­gnora, volevo dirle che oggi è il 3 giu­gno e fuori ci sono 30 gradi. Sua figlia ha i piedini lessi. Magari potremmo to­glierle le pantofoline di lana e metterle i sandalini, che dice? Me li fa avere?”».