Alessandra Coppola, IoDonna 8/12/2012, 8 dicembre 2012
CUBA LA NOSTRA REVOLUCIÓN NELLA VALIGIA
PER LA PRIMA VOLTA Ramón programma le vacanze: «Un mese intero in Russia, da mio figlio». Non sarà impresa facile con 30 euro di stipendio, ma tra lavori extra e cantieri illegali, entro l’estate l’architetto conta di riuscire a mettere da parte abbastanza pesos per biglietto e passaporto. A 55 anni, dice, vuole finalmente scoprire com’è fatto il mondo oltre Cuba. Non è l’unico. David sogna di partire per l’Ecuador e, possibilmente, di restarci; Pepe progetta un viaggio in Messico; Iliana si prepara a raggiungere il marito in Canada. Rachel, dipendente di una Ong, pensa che sia più facile adesso andare a trovare la famiglia in Svizzera. E la stessa Yoani Sànchez, la più nota tra i blogger-dissidenti, è convinta di avere qualche chances di poter accettare almeno uno dei numerosi inviti che le arrivano dall’estero.
All’Avana, all’improvviso, s’è aperto il planisfero. Da quando il 16 ottobre la Gaceta Oficial ha pubblicato la nuova "Ley de migración", i cubani immaginano rotte e destinazioni. Gli effetti reali si definiranno solo all’entrata in vigore, il 14 gennaio prossimo, ed è già chiaro che la discrezionalità del governo su arrivi e partenze resterà forte. Ma dall’avvento della Rivoluzione castrista, mezzo secolo fa, è la più vigorosa riforma delle politiche migratorie. E alcune conseguenze saranno inevitabili. Sull’isola si parla innanzitutto, e con grande emozione, del ritorno dei campioni. Battitori di baseball, pallavolisti, lo schermidore olimpico Elvis Gregory che ha preso la via dell’emigrazione (non autorizzata) durante il mondiale di Portogallo, nel 2002, e non ha mai conosciuto la figlia Sydney. «Erano anni che aspettavo questa riforma» dice da Roma, dove allena al fioretto i ragazzini dai 9 ai 13 anni «appena entrerà in vigore mi organizzerò per tornare». Ci sono dei limiti: il fuggitivo deve essere andato via dopo il 1990 e non più di otto anni fa. Ma tanti atleti, artisti, personaggi celebri, allo stesso modo di figli, cugini, nipoti e parenti sconosciuti di gente comune, potranno per la prima volta rientrare in patria. Magari portando dollari e investimenti.
Molti altri, in compenso, vogliono partire. Gli Stati Uniti osservano con preoccupazione e già temono "un nuovo esodo di Mariel", la fuga di massa di 125 mila cubani tra aprile e ottobre 1980 dal porto di Mariel, autorizzato da Castro in accordo con il presidente Usa Jimmy Carter. Allora, a essere incoraggiati a partire furono soprattutto le "escorias", carcerati, malati, teppisti, personaggi considerati dal regime marginali e irrecuperabili. "Scorie", appunto.
Adesso, a sognare di poter fare le valigie sono tutti, professionisti e disoccupati, studenti e pensionati. Le maglie si sono allargate. Non è più necessaria la famigerata "tarjeta bianca", il permesso di uscita; non bisogna più procurarsi un invito ufficiale dall’estero. Con un risparmio di 350 euro, che sono il reddito medio annuo di un cubano. Non serve il visto per atterrare in 35 Paesi: dal Botswana alla Cambogia alle Isole Samoa. Non sono le mete più ambite, ma è comunque un’apertura. Costa di più fare il passaporto, 100 pesos convertibili, che corrispondono più o meno a 100 euro. Ma è accessibile. E soprattutto si è autorizzati a restare lontani dall’isola da 11 a 24 mesi senza perdere la residenza a Cuba (come accadeva prima). David, 25 anni, potrebbe farcela. Dopo aver frequentato con scarsi risultati un istituto tecnico, ha fatto il muratore, il venditore ambulante di gelati, e un’altra serie di mestieri più opachi che preferisce non confessare. Con la fidanzata, Yanet, ha preso una decisione definitiva: «Andremo in Ecuador e cercheremo lavoro lì» per non tornare. È facile che le autorità dell’Avana non li trattengano.
Pepe, invece, è in ansia. Primario di chirurgia pediatrica, è considerato un bene prezioso per il Paese, nonostante uno stipendio ridicolo di 35 euro al mese con il quale non riuscirebbe a prendere neanche un taxi collettivo per andare in ospedale. Esce di casa ogni giorno alle 6, un’ora di fila per salire su un autobus, due guardie notturne alla settimana, e una collezione infinita di casi drammatici e urgenti. Nonostante tutto, però, non intende lasciare Cuba per sempre: vorrebbe solo andare a trovare Michel, il figlio, che non è disposto a fare la stessa vita faticosa del padre e prima di terminare gli studi di Medicina, pagando un funzionario per accelerare il permesso, s’è trasferito a Città del Messico. Avrà il timbro per l’espatrio sul passaporto? La categoria di Pepe è tra quelle "a rischio": medici, ingegneri, sportivi, militari, pilastri del socialismo castrisia, non sono viaggiatori da lasciar partire senza cautele. Il Messico, in più, molto spesso è guardato con sospetto: una via facile per gli Stati Uniti, dove è ancora in vigore The Cuban Adjustment Act (basta toccare il suolo per essere accolti). Potrebbe essere più facile per Iliana, ingegnere civile che ha già lasciato il lavoro, perché è da tempo che programma di raggiungere il marito a Toronto. Lei è fiduciosa: «Aspetto che entri in vigore la nuova legge e per marzo, al massimo, compro il biglietto». Meglio affrettarsi, pensa: non c’è cubano che non abbia fatto in queste settimane un progetto di viaggio. Ma se tutti vogliono fuggire, i fratelli Castro potrebbero tirare di nuovo su la barriera. Oppure accettare definitivamente il crollo anche di questo muro.
(ha collaborato Elisa Alè)