Vittorio Lingiardi, Il Sole 24 Ore 9/12/2012, 9 dicembre 2012
IL MANUALE DEI DISTURBI
L’American Psychiatric Association (Apa) ha appena approvato i criteri diagnostici finali per la quinta edizione del Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali (Dsm-5), che uscirà nella primavera del 2013. Revisioni dell’ultima ora saranno possibili, ma questi criteri sono considerati definitivi. L’ultimo processo di revisione del manuale psichiatrico più diffuso e più influente del mondo (di cui su queste pagine abbiamo dato ampi resoconti; vedi per esempio «Dsm, la rivolta dei medici» in Domenica del 4 dicembre 2011, pag. 31) è durato più di un decennio e ha coinvolto oltre 1.500 esperti di 39 nazioni.
Quali i cambiamenti principali? Il più clamoroso è un non cambiamento, cioè il ritorno ai vecchi criteri per le diagnosi dei disturbi di personalità. Era stata annunciata una rivoluzione, nulla cambierà: niente approccio dimensionale (valutare l’intensità di un tratto, più che la sua presenza/assenza), niente ancoraggi forti al biologico, nessuna riduzione del numero di etichette diagnostiche (dopo che anche il tentativo di espellere il disturbo narcisistico era fallito). Rimane solo l’inclusione della metodologia di valutazione tratto-specifica, ma in una sezione separata, di solito destinata all’oblio: quella di incoraggiamento a ulteriori studi. Di fatto, la direzione dell’Apa ha rigettato le proposte della sua task force sulla personalità. Che dire? Un’occasione sprecata. Tanto rumore per nulla. Il fallimento di un gruppo di lavoro. Ma anche, il meglio è nemico del bene. Franata, sotto il peso di infinite critiche, la costruzione ambiziosa di un progetto troppo accademico e tutto sommato lontano dalle esigenze del clinico, si ritorna ai rassicuranti (per i ricercatori), ma forse superati (per i clinici), prototipi, quasi teofrastiani: il paranoide, lo schizoide, il borderline, il dipendente eccetera. Detto questo, anche i più disincantati non possono nascondere un moto di ammirazione per la capacità mostrata da una macchina da guerra (anche economica, per costi e ricavi) come quella del Dsm di tornare sui propri passi e dire «scusate, ci siamo sbagliati».
Cambiamento dalle molte implicazioni sarà invece l’eliminazione del sistema multiassiale: la diagnosi Dsm non descriverà più il paziente per assi separati (disturbi psichiatrici maggiori, disturbi di personalità, condizioni mediche associate), ma cercherà di combinare le diverse aree, aggiungendo notazioni separate per i fattori psicosociali (ex Asse IV) e per il funzionamento globale (ex Asse V).
Naturalmente è prevista l’introduzione di nuove etichette diagnostiche, con relative luci e ombre. Tra queste, il disturbo dello spettro autistico (che include diverse diagnosi tra cui autismo, sindrome di Asperger, disturbo disintegrativo dell’infanzia e che dovrebbe spingere i clinici a essere più specifici e accurati nel diagnosticare l’autismo); il binge eating disorder (alimentazione incontrollata) come disturbo autonomo; il disruptive mood dysregulation disorder (per bambini con persistente irritabilità ed episodi frequenti di comportamento esplosivo); lo skin-picking disorder (dermatillomania) come nuova categoria nel contesto del disturbo ossessivo-compulsivo; il disturbo da accumulo, per persone con persistenti difficoltà di eliminare o separarsi dai beni, indipendentemente dal loro valore reale; il disturbo neurocognitivo minore per le piccole dimenticanze quotidiane legate alla vecchiaia (col rischio di creare, con una diagnosi inutile, più ansia che beneficio, oltre a una valanga di falsi positivi per demenza). Altre novità prevedono la rimozione del lutto dai criteri di esclusione per la depressione maggiore (il che significa sì riconoscere il lutto come grave evento stressante, ma anche medicalizzarlo e banalizzarlo) e la combinazione di abuso e dipendenza in un’unica diagnosi (rischiando di confondere i tossicodipendenti cronici con chi fa uso di sostanze stupefacenti).
Avrà anche il dente avvelenato, Allen Frances, ma certo non ha peli sulla lingua quando scrive che l’Apa ha approvato un Dsm-5 sbagliato, che promuove cambiamenti nosografici poco sicuri clinicamente e poco fondati scientificamente. E quando consiglia ai medici, alla stampa e al pubblico in generale di accogliere il nuovo manuale con scetticismo, considerando con attenzione il rischio di iperdiagnosticare e, di conseguenza, iperfarmacologizzare l’approccio ai disturbi mentali. Una critica non da poco, se pensiamo che, chi la avanza, è il leader della precedente edizione del Dsm.